Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22371 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. I, 26/10/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 26/10/2011), n.22371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

G.S. e V.G.;

– intimati –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il 13 maggio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 19 ottobre 2011 dai Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Amministrazione (con atto al limite dell’ammissibilità in considerazione della tecnica di redazione) ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha accolto il ricorso degli attuali intimati con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata della procedura fallimentare in corso da circa unici anni e nella quale gli stessi erano stati ammessi allo stato passivo ma non soddisfatti.

Gli intimati non hanno proposto difese.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo con il quale si deduce violazione di legge per avere la Corte d’appello ritenuto ragionevole una durata della procedura fallimentare di anni quattro è infondato in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte detta durata può variare, in base alla complessità della procedura da un minimo di anni tre (per un fallimento con pochi creditori e privo di contenzioso (Cass. n. 2195 del 2009), ad anni cinque per una procedura di media complessità (Sez. 1^, sentenza 7 luglio 2009 n. 15953), fino ad un massimo di sette anni per fallimenti comportanti un impugno particolare nell’accertamento del passivo, nella liquidazione dell’attivo e nella gestione del contenzioso (Sez. 1^, sentenza 24 settembre 2009, n. 20549) e la valutazione del giudice del merito non si è posta al di fuori dei richiamati parametri.

Con il secondo motivo si deduce ancora violazione di legge sotto il profilo dell’omessa pronuncia in quanto la Corte di merito non avrebbe rilevato la dedotta inammissibilità della domanda alla luce dell’avvenuto intervento del fondo di garanzia che, corrispondendo la quasi totalità del credito insinuato, avrebbe fatto venir meno il patema d’animo derivante dalla pendenza del procedimento.

Il motivo è infondato in quanto la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., presuppone la mancata valutazione di una domanda o di una eccezione e tale non è la richiamata argomentazione difensiva, fermo restando che se invece la ricorrente intendesse qualificare la sua argomentazione come vera e propria eccezione di inammissibilità della domanda la mancata pronuncia non sarebbe censurabile trattandosi di reiezione implicita di eccezione infondata in quanto è giurisprudenza costante quella secondo cui la modestia della posta in gioco non esclude di per sè il diritto all’indennizzo e comunque la questione attiene semmai alla fondatezza della domanda e non alla sua ammissibilità.

Il terzo motivo con il quale si deduce il vizio di carenza di motivazione in ordine alla quantificazione dell’indennizzo è infondato dal momento che il giudice del merito si è sostanzialmente attenuto la parametro minimo (Euro 1.000 per anno di ritardo) e tale valutazione non necessità di particolari argomentazioni nè gli elementi di fatto evidenziati dalla ricorrente (parziale pagamento del credito) sono tali da far ritenere illogica o incongrua la medesima.

Con il quarto motivo si deduce violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, per avere omesso d rilevare la Corte d’appello la decadenza in cui erano incorse le parti presentando fa domanda di equo indennizzo ben oltre il termine semestrale dopo la conclusione del giudizio di opposizione allo stato passivo.

Il motivo è infondato in quanto il procedimento della cui irragionevole durata si dolgono le parti è quello fallimentare, giustamente definito come contenitore di processi, per cui non assumono autonomo rilievo, ai fini della decadenza, i diversi procedimenti che dallo stesso traggono origine, una volta che dagli stessi non consegua l’estromissione dalla procedura fallimentare dell’interessato.

Il quinto motivo con il quale si deduce la carenza di motivazione in ordine alla rilevanza della durata dell’opposizione allo stato passivo sulla durata dell’intera procedura è infondato in quanto ciò che rileva, ai fini di valutare la complessità del procedimento, non è la durata del singolo giudizio che dallo stesso può derivare ma il numero dei giudizi e dei sub procedimento che dal fallimento sorgono in quanto idonei a mettere in difficoltà un’organizzazione pur predisposta adeguatamente ad affrontare procedura di normale complessità.

Il sesto motivo con il quale si deduce ancora violazione di legge per avere la Corte d’appello omesso di considerare quale dies a quo quello in cui era divenuto definitivo il giudizio di opposizione allo stato passivo è ugualmente infondato dal momento che non è dato intendere la ragione per cui il tempo per far accertare in giudizio il diritto di partecipare al riparto non dovrebbe essere considerato al fine di valutare se il mezzo processuale posto a disposizione de creditore per il soddisfacimento della sua pretesa abbia corrisposto alla lecita aspettativa del medesimo in tempi ragionevoli.

Il ricorso deve dunque essere rigettato. Non si deve provvedere in ordine alle spese stante l’assenza di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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