Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22371 del 26/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 26/09/2017, (ud. 11/07/2017, dep.26/09/2017),  n. 22371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25550/2014 proposto da:

F.A., rappresentato e difeso in forza di procura

speciale rilasciata in calce al ricorso dall’avvocato Massimo Pacini

e dall’avvocato Michele Lovaglio, elettivamente domiciliato presso

lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Tuscolana 9;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), rappresentato e difeso in forza di procura

speciale rilasciata in calce al controricorso dall’avvocato

Alessandro Nicolodi, elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 773/2014 della Corte d’appello di Firenze,

depositata il 9 maggio 2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 luglio 2017 dal Consigliere Dott. Gianluca Grasso;

viste le memorie ex art. 380 bis 1 c.p.c., depositate dalle parti

costituite.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il condominio di (OMISSIS) conveniva in giudizio F.A. dinanzi al Tribunale di Firenze esponendo che il convenuto era stato nominato amministratore nella assemblea condominiale del 17 ottobre 1996 e che, nominato nell’assemblea del 12 maggio 2003 un nuovo amministratore, all’atto del passaggio delle consegne, avvenute il 3 luglio 2003, erano emerse alcune irregolarità nella situazione di cassa e contabile (sbilancio di cassa di oltre Euro 19.000,00 tra il dare e l’avere, n. 25 fatture per Euro 20.814,64 relative alla gestione 2000/2001 non portate mai a consuntivo). Il condominio chiedeva pertanto che il convenuto venisse dichiarato obbligato a rendere il conto e condannato a corrispondere le somme di cui fosse risultato debitore;

che il F. si costituiva in giudizio rilevando che la questione traeva origine solo da un mero errore materiale che si era verificato durante la sua gestione, nell’effettuare il passaggio delle consegne amministrative, e che tale errore era consistito nel non includere alcune fatture emesse da un’impresa che aveva eseguito lavori per il condominio nel consuntivo 2000/2001, fatture che erano state regolarmente pagate tramite il conto corrente del condominio;

che il Tribunale di Firenze, con sentenza depositata in data 5 maggio 2009, all’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio, condannava il convenuto al pagamento in favore del condominio dell’importo di Euro 18.344,56 con interessi legali dal 7 novembre 2008, oltre l’eventuale differenziale tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi e il tasso degli interessi legali; compensava le spese di lite e poneva quelle di C.T.U., in via definitiva, a carico delle parti in ragione di una metà ciascuna;

che la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 9 maggio 2014, rigettava il gravame proposto dal F. e, in accoglimento dell’appello incidentale del condominio, condannava il F. al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio;

che F.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi;

che il condominio di (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e dell’art. 163 c.p.c., comma 2, nn. 3) e 4). Al riguardo, parte ricorrente si duole della genericità e indeterminatezza della domanda con la quale, nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, si chiedeva di condannare, “ove la parte attrice risultasse creditrice, il convenuto a pagare al Condominio attore quanto di sua spettanza”. Tale domanda non sarebbe stata meglio definita neanche in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, all’udienza del 7 novembre 2008, avendo parte attrice semplicemente concluso “come da atto di costituzione in atti”, nè in comparsa conclusionale, avendo meramente confermato le precisate conclusioni;

che il motivo è infondato;

che l’interpretazione della domanda giudiziale è operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua e adeguata, avendo pertanto riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione testuale nonchè del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (Cass. 24 luglio 2012, n. 12944; Cass. 9 settembre 2008, n. 22893; Cass. 2 novembre 2005, n. 21208);

che ai fini di una corretta interpretazione della domanda, il giudice di primo grado è tenuto a interpretare le conclusioni contenute nell’atto di citazione, alle quali si è riportato l’attore in sede di precisazione delle conclusioni, tenendo conto della volontà della parte quale emergente non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte nella citazione, ma anche dall’intero complesso dell’atto che le contiene, considerando la sostanza della pretesa, così come è stata costantemente percepita dalle parti nel corso del giudizio di primo grado, tenendo conto non solo delle deduzioni e delle conclusioni inizialmente tratte nell’atto introduttivo, ma anche della condotta processuale delle parti, nonchè delle precisazioni e specificazioni intervenute in corso di causa (Cass. 16 settembre 2004, n. 18653);

che l’onere di determinazione dell’oggetto della domanda è validamente assolto anche quando l’attore ometta di indicare esattamente la somma pretesa dal convenuto, a condizione che abbia però indicato i titoli posti a fondamento della propria pretesa, ponendo in tal modo il convenuto in condizione di formulare le proprie difese (Cass. 28 maggio 2009, n. 12567);

che, nel caso di specie, la corte d’appello ha correttamente inteso la domanda formulata nei confronti del F. riguardo alla richiesta di pagamento delle somme di cui fosse risultato debitore nei confronti del condominio all’esito del rendiconto;

che nessuna lesione del principio del contraddittorio risulta verificata, tenendo conto delle difese approntate dalla controparte;

che con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e dell’art. 342 c.p.c.. La corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che il F. non avesse impugnato l’affermazione del Tribunale di Firenze riguardo alla ripartizione dell’onere della prova, con riferimento alla circostanza che sarebbe stato a suo carico dimostrare che le spese di cui alle fatture erano riferite a lavori eseguiti in favore del condominio, in quanto non inserite nel bilancio condominiale e contestate. Contrariamente a quanto indicato in motivazione, nell’atto di appello, il F. aveva contestato la tesi del primo giudice, definendola “assai singolare”, mentre le risultanze dei lavori eseguiti a beneficio del condominio avrebbero dovuto indurre la corte d’appello ad affermare che era onere del condominio dimostrare che il F. avesse pagato spese non inerenti alla gestione condominiale;

che con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e dell’art. 342 c.p.c.. In particolare, il ricorrente contesta la declaratoria di inammissibilità delle nuove argomentazioni contenute nella comparsa conclusionale in relazione al secondo motivo d’appello, ove si contesta l’erronea decisione circa l’onere della prova a carico del F., che secondo il primo giudice sarebbe derivato dal mancato inserimento della fatture nel bilancio condominiale e dalla loro contestazione, evidenziando che tale motivo era già stato dedotto nell’atto di appello e che nella conclusionale non erano state introdotte nuove argomentazioni, che in quanto tali sarebbero state comunque ammissibili. La corte d’appello avrebbe dunque dovuto considerare quanto evidenziato in conclusionale, cioè che in realtà le fatture erano già state inviate al nuovo amministratore del condomino prima dell’introduzione della causa, in data 29 dicembre 2003, con lettera indirizzata dal F. al nuovo amministratore, e che, malgrado tale conoscenza, nell’atto di citazione introdùttivo del giudizio di primo grado non vi era alcuna contestazione, da parte del condominio, delle prestazioni risultanti dalle fatture. Esse sono poi state acquisite anche in corso di CTU e contestate genericamente solo dopo il deposito della relazione peritale;

che il secondo e il terzo motivo, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente;

che le doglianze sono inammissibili;

che anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare a ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. 20 luglio 2012, n. 12664);

che le deduzioni riguardanti la contestazione del riparto dell’onere della prova e della sua mancata contestazione, così come la ritenuta inammissibilità delle nuove argomentazioni contenute nella comparsa conclusionale, risultano inammissibili per difetto di autosufficienza, essendosi la parte limitata a richiamare alcuni profili delle questioni, senza trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria a consentirne il sindacato di legittimità, nè parte ricorrente può limitarsi a rinviare all’atto medesimo;

che inammissibile risulta la diversa valutazione delle risultanze istruttorie, non avendo la Corte il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio;

che la corte d’appello, dando atto dell’inammissibilità delle nuove argomentazioni contenute nella comparsa conclusionale, ha respinto la censura nel merito, evidenziando che il condominio ha più volte contestato le fatture e le prestazioni addotte dal F. e che a fronte delle contestazioni provenienti dal condominio sarebbe stato necessario dimostrare puntualmente la regolarità contabile;

che con il quarto motivo il ricorrente si duole dell’erronea e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e dell’art. 116 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La Corte d’appello avrebbe omesso di valutare che il F. aveva evidenziato che la prova dell’avvenuta deliberazione dei lavori di cui alle fatture emergeva dalla documentazione relativa alla detrazione fiscale da parte dei condomini dei lavori eseguiti e dai pagamenti delle fatture risultanti dal conto corrente condominiale, omettendo così di considerare che, in atti, vi era la prova di quanto affermato. Nella relazione integrativa alla C.T.U. depositata il 18 ottobre 2006 e dai documenti a essa allegati, nel verbale delle consegne al nuovo amministratore redatto il 3 luglio 2003 e nella comunicazione 14 gennaio 2004 inviata dal legale del condominio al F., risulta l’attivazione della procedura per la detrazione IRPEF del 36% a favore dei condomini in forza della L. n. 449 del 1997, grazie alle fatture che la corte d’appello ha ritenuto di non prendere in considerazione;

che il motivo è inammissibile;

che in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è consentito denunciare in cassazione oltre motivazionale che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomparabile” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), solo il vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472);

che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali e i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784);

che le doglianze relative al mancato esame della documentazione indicata nel motivo di ricorso difettano di autosufficienza (documentazione bancaria e fiscale, delibera condominiale, relazione integrativa della consulenza tecnica d’ufficio), stante l’inidoneità dei richiami contenuti nella parte motiva per consentire alla Corte di esercitare il sindacato di legittimità (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784);

che le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 3700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2017

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