Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2237 del 26/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 26/01/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 26/01/2022), n.2237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9493/2020 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la “AZA GENCOGAS S.p.A.” (già “ABRUZZO ENERGIA S.p.A.”), con sede in

(OMISSIS), in persona dell’amministratore delegato pro tempore,

rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Giuseppe Maria Cipolla e

dall’Avv. Filippo Verna, entrambi con studio in Roma, giusta procura

in allegato al controricorso di costituzione nel presente

procedimento;

– controricorrente/ricorrente incidentale –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

dell’Abruzzo – Sezione Staccata di Pescara il 31 luglio 2019 n.

729/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15 dicembre 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo – Sezione Staccata di Pescara il 31 luglio 2019 n. 729/07/2019, la quale, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IVA relativa all’anno 2014, in relazione alla detraibilità dei costi per la prestazione di servizi ricevuti in dipendenza di un contratto per la manutenzione di una centrale di cogenerazione a ciclo combinato, ha accolto l’appello proposto dalla “AZA GENCOGAS S.p.A.” nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara 11 giugno 2018 n. 199/02/2018, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha riformato la decisione di primo grado sul presupposto che l’incontroversa effettività dei costi fatturati ponesse a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di provare l’antieconomicità o l’elusività dell’operazione consistita nell’adeguamento del corrispettivo convenuto tra le parti alla variazione del tasso di cambio tra Euro e Franco Svizzero al fine di escluderne la detraibilità per difetto di inerenza. La “AZA GENCOGAS S.p.A.” si è costituita con controricorso, proponendo ricorso incidentale avverso la sentenza impugnata. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta redatta dal relatore designato è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. La controricorrente ha depositato memoria, chiedendo la rimessione della causa alla pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con riguardo al ricorso principale.

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 60, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto che la contribuente fosse esonerata dalla prova dell’inerenza dei costi deducibili rispetto all’attività svolta.

2. Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere stato deciso l’appello con motivazione assolutamente inesistente in ordine all’inerenza dei costi all’attività svolta dalla contribuente.

Con riguardo al ricorso incidentale.

Con unico motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso di pronunziarsi sui motivi di appello che censuravano la carenza di decisione del giudice di prime cure sul terzo motivo e sul quarto motivo del ricorso originario.

Ritenuto che:

1. Ragioni di priorità logica suggeriscono di invertire l’esame dei motivi rispetto all’ordine di prospettazione nel ricorso principale.

1.1 Ciò posto, il secondo motivo è infondato.

1.2 Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9975).

Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627).

1.3 Nella specie, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia insufficiente o incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’adeguata esposizione delle ragioni sottese all’accoglimento dell’appello della contribuente (al di là di ogni considerazione sul piano della loro fondatezza in diritto), con particolare riguardo all’inerenza ed alla congruenza dei costi rispetto all’attiva di impresa.

A tal proposito, premesso che “non è posta in discussione l’effettività dei costi fatturati ma solo l’inerenza dei costi all’attività di impresa”, la sentenza impugnata ha messo in risalto che “spettava all’amministrazione finanziaria fornire la prova – nella specie mancante e neanche desumibile dagli elementi di valutazione emergenti ex actis dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione (…) o del carattere abusivo o leusivo di tale operazione (…)”. Per cui, è evidente che la illustrata motivazione del decisum raggiunge la soglia del minimo costituzionale.

2. Anche il primo motivo è infondato.

2.1 Secondo questa Corte, in tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dal medesimo D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, ora art. 109, comma 5, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. Peraltro, l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul contribuente (Cass., Sez. 5, 11 gennaio 2018, n. 450; Cass., Sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30366; Cass., Sez. 5, 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass., Sez. 5, 2 febbraio 2021, n. 2224). Per cui, l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelatori della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa (Cass., Sez. 5, 6 giugno 2018, n. 14579; Cass., Sez. 5, 26 settembre 2018, n. 22938).

La nozione di inerenza, dunque, implica quella di congruità, sicché deve escludersi la deducibilità di costi sproporzionati o eccessivi, in quanto non inerenti (Cass., Sez. 5, 30 maggio 2018, n. 13596), attenendo alla compatibilità, coerenza e correlazione dei costi non ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi (Cass., Sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12738; Cass., Sez. 5, 12 novembre 2019, n. 29179; Cass., Sez. 5, 17 gennaio 2020, n. 902).

2.2 Così, descrivendo il riparto ed il contenuto dell’onere della prova in materia di inerenza, si è sottolineato che quest’ultima integra un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, quindi con natura qualitativa (Cass., Sez. 5, 17 luglio 2018, n. 18904; Cass., Sez. 5, 28 dicembre 2018, n. 33574; Cass., Sez. 5, 8 giugno 2021, n. 15932). Spetta, però, al contribuente l’onere della prova “originario”, che quindi si articola ancora prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa. Soltanto quando l’amministrazione finanziaria ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati oppure riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare gli elementi allegati, può contestare l’inerenza con due modalità. Da un lato, può contestare la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e, quindi, la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza, mentre dall’altro può addurre l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa (da ultime: Cass., Sez. 5, 2 febbraio 2021, n. 2224; Cass., Sez. 5, 6 luglio 2021, n. 19168).

2.3 In materia di IVA ben diversa è l’incidenza, sulla valutazione di inerenza, del giudizio di congruità, che non condiziona, né esclude il diritto a detrazione, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, e dunque esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, sia “tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA”, per cui “la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante” (Corte Giust., 20 gennaio 2005, causa C-412/03, Hotel Scandic Gasaback AB – vedansi anche: Corte Giust., 9 giugno 2011, causa C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio; Corte Giust., 26 aprile 2012, cause C-621/10 e C129/11, Balkan; Corte Giust., 2 giugno 2016, causa C263/15, Lajve’r; Corte Giust., 2 maggio 2019, causa C-133/18, Sea Chefs Cruise Service GmbH; Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2017, n. 2875; Cass., Sez. 5, 30 gennaio 2018, n. 2240; Cass., Sez. 5, 7 luglio 2018, n. 18904; Cass., Sez. 5, 14 giugno 2019, n. 16010; Cass., Sez. 5, 30 marzo 2021, n. 8716; Cass., Sez. 5, 7 luglio 2021, n. 19212).

2.4 Con riguardo all’IVA, pertanto, il giudizio di congruità non investe il giudizio di inerenza, ma la contestazione dell’Ufficio e, in particolare, i contenuti della prova posta a suo carico, che non può essere soddisfatta adducendo la mera antieconomicità dell’operazione, di per sé priva di rilievo (Cass., Sez. 5, 14 giugno 2019, n. 16010). Ciò significa che, in materia di IVA, “l’inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa” (Cass., Sez. 5, 7 luglio 2018, n. 19804; Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2019, n. 2867; Cass., Sez. 5, 14 giugno 2019, n. 16010; Cass., Sez. 5, 30 marzo 2021, n. 8716).

Pertanto, non può attribuirsi rilevanza all’allegata antieconomicità dell’operazione in difetto della prospettazione (e della prova) del suo carattere manifesto e macroscopico, esulante dal normale margine di errore di valutazione economica e tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA (Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2019, n. 2867).

In definitiva, la contestazione dell’amministrazione finanziaria non può limitarsi all’individuazione di un mero scostamento dell’entità dei costi da presunti “canoni di normalità del mercato” (condotta che, peraltro, non risulterebbe legittimata da nessuna disposizione normativa prevista nell’ordinamento tributario), ma deve consistere nella positiva affermazione che tali costi, sulla base di elementi oggettivi, siano estranei all’attività d’impresa concretamente esercitata, così da determinare un giudizio di inerenza negativo; diversamente si realizzerebbe un’ingiustificata e intollerabile ingerenza nelle scelte imprenditoriali.

2.5 Nella specie, in conformità al principio enunciato, il giudice di appello ha correttamente ritenuto che l’onere di provare l’assoluta incongruenza e la manifesta antieconomicità dei costi non contestati (in relazione all’aleatorietà insita nella clausola di adeguamento del corrispettivo convenuto tra le parti alla variazione del tasso di cambio tra Euro e Franco Svizzero) rispetto all’attività di impresa gravasse sull’amministrazione finanziaria anziché sulla contribuente, essendo necessaria la dimostrazione di un’evidente e palese disallineamento rispetto ai valori medi di mercato. Là dove, secondo l’accertamento fattone dal giudice di appello, nessun elemento significativo era stato fornito a riscontro di tale allegazione.

3. Il ricorso incidentale è inammissibile.

3.1 Invero, pur non essendosi espressamente pronunziato sui motivi di appello circa l’omessa pronunzia del giudice di prime cure sui motivi nn. 5) e 6) del ricorso originario della contribuente, l’appello è stato accolto nella sua interezza, senza alcuna limitazione o restrizione a specifici motivi. Per cui, a fronte dell’integrale riforma della decisione di prime cure e del conseguente accoglimento del ricorso originario, la contribuente non aveva alcun interesse (art. 100 c.p.c.) alla proposizione del ricorso incidentale.

3.2 Invero, avendo accolto in toto l’appello della contribuente, la sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione pregiudizievole per la contribuente, che possa giustificare la proposizione di un ricorso incidentale al fine di propiziarne una qualche riforma in melius.

Ora, in tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (Cass., Sez. 1, 12 aprile 2013, n. 8934; Cass., Sez. 3, 29 maggio 2018, n. 13395). Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il ricorso incidentale per cassazione, anche se qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che sia risultata completamente vittoriosa nel giudizio di appello (tra le tante: Cass., Sez. 2, 5 gennaio 2017, n. 134; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27581; Cass., Sez. 5, 15 maggio 2019, nn. 12937 e 12938; Cass., Sez. 5, 3 ottobre 2019, n. 24676; Cass., Sez. 5, 13 dicembre 2019, n. 32851; Cass., Sez. 5, 19 agosto 2020, n. 17329; Cass., Sez., 5, 11 settembre 2020, nn. 18859, 18860, 18861 e 18862; Cass., Sez. 6-5, 7 ottobre 2020, n. 21614; Cass., Sez. 5, 24 dicembre 2020, n. 29552; Cass., Sez. 5, 27 aprile 2021, n. 11027; Cass., Sez. 2, 19 maggio 2021, n. 13629; Cass., Sez. 6-5, 15 ottobre 2021, n. 28400); in particolare, poi, il ricorso per cassazione proposto al solo scopo di modificare la motivazione della sentenza impugnata fermo restando il dispositivo – deve, ritenersi inammissibile per difetto di un interesse attuale ad ottenere la rimozione di una pronuncia sfavorevole, tanto più ove risulti investita, come nel caso di specie, la motivazione in diritto, che può essere autonomamente corretta dalla Corte di Cassazione, ex art. 384 c.p.c., comma 2, (Cass., Sez. Lav., 5 settembre 2003, n. 13010; Cass., Sez. Lav., 14 agosto 11 2020, n. 17159; Cass., Sez. 1, 15 febbraio 2021, n. 3862; Cass., Sez. 5, 20 maggio 2021, n. 13813; Cass., Sez. 6-5, 15 ottobre 2021, n. 28400).

4. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, il ricorso principale deve essere rigettato ed il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

5. La reciprocità della soccombenza giustifica la compensazione delle spese giudiziali.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara l’inammissibilità del ricorso incidentale; compensa le spese giudiziali; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente incidentale, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022

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