Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22369 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 15/10/2020), n.22369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10630/2014 R.G. proposto da:

L.G.G., rappresentato e difeso dall’Avv.

Gianvito Giannelli, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Giuseppe Guizzi in Roma, piazza dell’Emporio n. 16/A come

da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 56/10/13, depositata il 15 marzo 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre

2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1-Letto il ricorso per cassazione proposto da L.G.G. avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 167/5/2010 della Commissione tributaria provinciale di Bari, che a sua volta aveva accolto il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso dall’Agenzia delle entrate con cui erano stati recuperati a tassazione maggiori tributi (Iva Irpef e Irap) per l’anno di imposta 2006, con applicazione degli standards reddituali previsti dallo studio di settore.

2.- Considerato che la sentenza impugnata ha ritenuto che, a differenza di quanto deciso dai primi giudici, gli studi di settore costituiscono una fonte di prova presuntiva” semplice, ancorchè prevista dalla legge, del maggior reddito accerta in presenza di gravi incongruenze rispetto a quanto dichiarato dal contribuente e che nel caso specifico sussistono tali gravi incongruenze, che non sono state giustificate dal contribuente in sede di contraddittorio.

3.- Considerato che il ricorrente chiede cassarsi la sentenza impugnata, con la condanna dell’Ente resistente al pagamento delle spese processuali dei tre gradi di giudizio, proponendo il seguente articolato motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 2 nn. 3, 4 e 5, ed articolato nei seguenti punti.

3.1- a) l’Amministrazione Finanziaria non avrebbe contestato adeguatamente le giustificazioni fornite dal contribuente in sede di contraddittorio; b) la Commissione tributaria regionale non si è pronunziata sulla eccezione relativa ai beni strumentali; c) la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto non necessari altri elementi e motivazioni a supporto dei ricavi presuntivi derivanti dall’applicazione dello studio di settore, male applicando lo strumento giuridico della presunzione; non sussisterebbe in particolare alcuna “grave incongruenza” fra il reddito dichiarato e quello presumibile, onde non sorgerebbe alcun onere di giustificazione a carico del contribuente.

4.- Rilevato che il motivo di ricorso proposto prospetta promiscuamente diversi vizi di legittimità, con una tecnica espositiva consistente nell’accomunare gli stessi argomenti sotto una rubrica plurima, per cui non è agevole cogliere a quale vizio specifico si riferisca ciascun argomento. Il ricorso, pertanto, è inammissibile perchè privo di specificità. Il giudizio di cassazione, infatti è “a critica vincolata” della sentenza impugnata, nel senso che la valutazione della Corte è delimitata dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa del vizio di legittimità denunziato, con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dalla legge; ogni motivo di ricorso, dunque, deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità e deve essere formulato in modo da consentire agevolmente la verifica che il vizio denunciato rientri in una delle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., senza possibilità, in mancanza, di interventi integrativi o anche solo interpretativi della Corte. Pertanto “è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo – o come nella specie, senza alcuna articolazione di motivi – sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile”. (Cass. ordinanza 19959/14 Civile, Ord. Sez. 6 Num. 11603 Anno 2018). Rilevato inoltre che:

4.1 Il rilievo di cui sopra al punto a) censura l’avviso di accertamento e non la sentenza impugnata, rivelandosi perciò inammissibile.

4.2- Il rilievo di cui al punto b) è inammissibile perchè lamenta l’omessa valutazione da parte del giudice a quo di documenti ed argomenti che però non indica specificamente, non trascrive nel ricorso nella parte ritenuta rilevante, nè allega ad esso, ed infine non “localizza” nell’ambito del giudizio di merito con l’indicazione dei modi e dei tempi della loro produzione per cui non possiede l’autonomia indispensabile per consentire alla Corte, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni proposte.

4.3- Il rilievo di cui sopra al punto i) è inammissibile perchè, sotto l’apparenza delle censure mosse, contrasta in realtà la valutazione di merito della sentenza impugnata, mediante la prospettazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta da parte del giudice a quo rispetto alle risultanze di causa; questione che attiene alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1, ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

4.3.1- Tale rilievo inoltre è anche infondato, perchè la Commissione tributaria ha ritenuto legittimo l’accertamento argomentando non solo dalla presunzione di maggior ricavo emergente dallo studio di settore, come sostenuto nel ricorso, ma anche dalla inosservanza del contribuente all’invito del’Amministrazione finanziaria a “mettere a disposizione dell’ufficio la pertinente documentazione onde consentirgli di accertarne l’effettiva consistenza ed entità”. Valutazione che appare rispettosa dei principi sul riparto dell’onere della prova indicati dalla Sezioni unite di questa Corte, che ha precisato che è valutabile dal giudice il comportamento non collaborativo del contribuente nella fase amministrativa (Cass. Sez. Un. 18 dicembre 2009 n. 26635).

5.- Ritenuto pertanto che il ricorso debba essere rigettato, per i motivi indicati, senza obbligo di spese per il soccombente, dato che l’Agenzia delle entrate non ha contrastato il ricorso in giudizio, ma che debba darsi atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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