Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22368 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/09/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12600/2014 proposto da:

D.F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA

121, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO COMITO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIA CRISTINA SARACENO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato MAURO RICCI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLEMENTINA

PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1626/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 16/10/2013 R.G.N. 1179/2011.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 16 ottobre 2013, la Corte d’Appello di Messina, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Messina, rigettava la domanda proposta da D.F.M. nei confronti dell’INPS avente ad oggetto l’indennità di accompagnamento;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di dover aderire alle conclusioni della CTU, secondo cui la D.F., per quanto facesse registrare uno stato di invalidità al 100%, non versava in condizioni tali da non poter attendere autonomamente ai normali atti della vita quotidiana; che per la cassazione di tale decisione ricorre la D.F., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

Diritto

CONSIDERATO

– che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la nullità della sentenza, lamenta il carattere apparente della motivazione della Corte territoriale per fondarsi questa sulle conclusioni a loro volta superficiali della CTU;

che, con il secondo motivo, denunciando la nullità del procedimento, imputa alla Corte territoriale di aver consentito al CTU il deposito dell’elaborato peritale in anticipo rispetto al termine concesso alle parti per la replica alle stessa, così pregiudicando il diritto di difesa della ricorrente;

che, nel terzo motivo, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è predicato con riferimento all’omessa considerazione da parte della Corte territoriali degli elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della propria pronunzia;

che si deve rilevare l’infondatezza del primo motivo, non potendo sostenersi il carattere apparente della motivazione della sentenza impugnata in ragione dell’asserita carenza dell’accertamento peritale su cui la decisione si fonda, carenza del resto nella specie sostenuta sulla base delle censure di cui ai successivi motivi, da ritenersi inammissibili per essere basate su argomenti che secondo quanto deduce la stessa ricorrente, riportando pedissequamente il testo, sono i medesimi esposti nella memoria di costituzione in grado di appello, atteso che, da un lato, si avvalora il giudizio di irrilevanza del deposito anticipato della CTU rispetto al termine di replica concesso alle parti espresso dalla Corte territoriale ai fini del pregiudizio al diritto di difesa dalla ricorrente lamentato con il secondo motivo, senza contare che tale ragione di nullità concernente la CTU, avendo carattere relativo ed essendo pertanto soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., doveva necessariamente farsi valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata (cfr., per tutte e da ultimo, Cass. n. 15747/2018), del che parte ricorrente non dà conto, non allegando neppure, nè documentando, di aver tempestivamente sollevato in sede di merito tale eccezione di nullità e, dall’altro, si rende ragione di un iter logico valutativo condotto dalla Corte territoriale avendo piena contezza di quegli elementi probatori che la ricorrente nel suo terzo motivo assume siano stati non considerati, risolvendosi così la censura nella sollecitazione ad un riesame nel merito del giudizio, come detto, inammissibile in questa sede;

che, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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