Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22365 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. I, 26/10/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 26/10/2011), n.22365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 17532/09 proposto da:

C.O., con domicilio eletto in Roma, via Barberini n.

86, presso l’Avv. Ilaria Scatena, rappresentato e difeso dall’Avv.

Defilippi Claudio, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, come sopra domiciliato e difeso;

– ricorrente incidentale –

contro

C.O.;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Torino n.

793/08 R.V.G. depositato il 25 marzo 2009.

Nonchè sul ricorso n. 17811/09 proposto da:

V.M., con domicilio eletto in Roma, via Barberini n. 86,

presso l’Avv. Ilaria Scatena, rappresentato e difeso dall’Avv.

Claudio Defilippi, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, come sopra domiciliato e difeso;

– ricorrente incidentale –

contro

V.M.;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Torino n.

794/08 R.V.G. depositato il 25 marzo 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 19 ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale e l’inammissibilità o il rigetto di quello

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.O. e V.M. ricorrono separatamente per cassazione nei confronti dei decreti in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 21.000 per anni dieci e mesi sei di ritardo, ha accolto parzialmente i loro ricorsi con il quale e stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata della procedura relativa ai loro fallimenti quali soci della Officina carpenteria Metallica O.C.M. di Vasi Mario e Casagrande Oscar s.n.c. iniziata avanti al Tribunale de La Spezia in data 26.6.1995 e non ancora conclusa alla data dei presentazione della domanda (6.6.2008).

In entrambi i giudizi resiste l’Amministrazione con controricorso e propone ricorso incidentale cui non replica l’intimato.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi principale e incidentale debbono preliminarmente essere riuniti in quanto proposti nei confronti dello stesso decreto.

Ma anche i ricorsi principali debbono essere tra loro riuniti benchè siano stati proposti avverso decisioni diverse. Premesso che sono principi già affermati quelli secondo cui “La riunione dei procedimenti, in applicazione della norma generale di cui all’art. 274 c.p.c., è ammessa anche nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, atteso che, tra i compiti di quest’ultima, oltre a quello istituzionale di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, rientra anche l’altro di assicurare l’economia ed il minor costo dei giudizi, risultati cui mira la menzionata norma del codice di rito civile (Cassazione civile, sez. 3, 20/12/2005, n. 28227) e “La riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dai legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiuntd’ (Cassazione civile, sez. 2, 17/06/2008, n. 16405), non vi è dubbio che le ragioni che giustificano la trattazione congiunta nella fattispecie sussistano in quanto le pretese delle parti traggono origine dalla durata, ritenuta eccessiva, dello stesso giudizio al quale hanno congiuntamente partecipato nella stessa posizione giuridica e non sono stati evidenziati elementi che differenzino le diverse posizioni in questa fase.

Il primo motivo dei ricorsi principali, identico in entrambi, da valutarsi nei limiti in cui è sintetizzato nel quesito di diritto, con cui si deduce violazione di legge per avare il giudice del merito liquidato l’indennizzo solo per il tempo eccedente quello di ragionevole durata è infondato alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “il tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, densi solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta Legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza.

Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo (Sez. 1, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

Il secondo motivo con il quale si lamenta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale è inammissibile in considerazione del tenore del quesito con il quale ci si limita ad interpellare la Corte senza indicare alcun principio di diritto di cui si sollecita l’enunciazione. Se poi tale principio dovesse essere quello dell’automaticità del riconoscimento dell’indennizzo per danno patrimoniale quale conseguenza dell’irragionevole durata del processo, il motivo sarebbe infondato, posto che “La L. n. 89 del 2001, nel ricollegare l’equa riparazione alla mera constatazione dell’avvenuto superamento del termine di ragionevole durata del processo, attribuisce alla relativa obbligazione natura indennitaria, la quale esclude la necessità di una verifica in ordine all’elemento soggettivo della violazione, non vertendosi in tema di obbligazione “ex delicto”, ma non comporta alcun automatismo in favore del soggetto che lamenti l’inosservanza dell’art. 6, par. 1, della CEDU, non configurandosi il pregiudizio patrimoniale indennizzabile come “danno evento”, riconducibile al fatto in sè dell’irragionevole protrazione del processo, pertanto incombe al ricorrente l’onere di fornire la prova della lesione della propria sfera patrimoniale prodottasi quale conseguenza diretta ed immediata della violazione, sulla base di una normale sequenza causale (Sez. 1, Sentenza n. 1616 del 24/01/2011).

Il terzo motivo con il quale si deduce violazione di legge censurandosi la parziale compensazione delle spese è infondato, avendo congruamente motivato la statuizione il giudice del merito richiamando l’accoglimento solo parziale della domanda.

Il primo motivo dei ricorsi incidentali, identico in entrambi, con il quale si censura l’impugnato decreto per difetto di motivazione per avere il giudice del merito assunto quale dies a quo per determinare la durata del processo presupposto quella della dichiarazione di fallimento e non quella dell’intervenuta esecutività dello stato passivo è infondato dal momento che è con la dichiarazione di fallimento che il debitore assume un diverso status e la pendenza della procedura provoca indubbie conseguenze di ordine psicologico, senza considerare che è altresì da tale data che il fallito assume obblighi e diritti connessi alla pendenza del procedimento.

Inammissibile è il secondo motivo con il quale si lamenta, sotto il profilo della violazione di legge, la valutazione del termine triennale come termine della ragionevole durata della procedura de qua.

Premesso che la durata ragionevole del fallimento, non è suscettibile di essere predeterminata ricorrendo allo stesso standard previsto per il processo ordinario, in quanto ciò è impedito dalla constatazione che il fallimento è, esso stesso, un contenitore di processi, con la conseguenza che la durata ragionevole stimata in tre anni può essere tenuta ferma solo nel caso di fallimento con unico creditore, o comunque con ceto creditorio limitato, senza profili contenziosi traducentisi in processi autonomi (Cass. n. 2195 del 2009), nella fattispecie il giudice del merito si è attenuto a tale principio precisando che erano state presentata meno di una decina di domande di insinuazione e che lo stato passivo si era chiuso in una sola udienza.

Poichè dunque non vi è stata violazione di alcun parametro legale nell’individuazione del termine di ragionevole durata del processo e l’Amministrazione evidenzia ulteriori fatti (comportamento illecito del primo curatore, azione di responsabilità) che avrebbero dovuto indurre ad una diversa valutazione in concreto da parte del giudice del merito e di cui non è traccia nel provvedimento la censura avrebbe dovuto essere proposta sotto il profilo del difetto di motivazione evidenziando specificatamente, come impone l’art. 366- bis, il fatto in ordine alla cui sussistenza la medesima sarebbe omessa, insufficiente o incongrua.

Tutti i ricorsi debbono dunque essere rigettati e ciò giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

la Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA