Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22362 del 26/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 26/09/2017, (ud. 11/11/2016, dep.26/09/2017),  n. 22362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15992/2012 proposto da:

P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

V. VENETO 7, presso lo studio dell’avvocato DONATO BRUNO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE FAUCEGLIA;

– ricorrente –

contro

C.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ATANASIO KIRKER 7, presso lo studio dell’avvocato IASONNA STEFANIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati DOMENICO NAPOLITANO, ANTONIO

CANDELA;

– controricorrente –

e contro

DECA DI C.M. & C SAS IN LIQUIDAZIONE, IN PERSONA DEL

LIQUIDATORE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 287/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 15/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Fauceglia Giuseppe difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Candela Antonio difensore del controricorrente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Nel 1992 la società DE.CA snc costituita nel gennaio 1992 dai soci C.M. e D.P.G. si aggiudicava all’asta esecutiva presso il Tribunale di Salerno l’opificio industriale della ex Sud Infissi spa.

Il 1 giugno 1994 il cespite veniva venduto dalla società al C..

Nell’ottobre 1996 P.A. agiva contro C.M. e la DE.CA snc in liquidazione per far accertare che egli stesso era acquirente degli opifici industriali.

L’attore chiedeva accertarsi l’interposizione fittizia o in subordine l’interposizione reale, con obbligo del trasferimento da C. a P..

Egli produceva scrittura priva di data del C. in cui questi dichiarava di aver ricevuto da P.A. unmilardo239 milioni di Lire a saldo di quanto da lui anticipato per l’acquisto da parte di DE.CA dell’opificio e con cui C. si impegnava a semplice richiesta a recarsi dal notaio per trasferire la restante parte dell’immobile (87.50%) al P. o a persone da lui indicate.

Produceva anche una lettera con cui nel gennaio 1994 DE.CA invitava C. a trasferire a P. gli immobili sulla premessa che era fittizia la stessa società, costituita da P. per acquistare l’immobile Sud Infissi messo all’asta dal tribunale di Salerno.

C. resisteva e proponeva querela di falso con riferimento sia alla sottoscrizione del documento che all’abusivo riempimento di esso ad opera di P.A..

DE.CA snc in liquidazione si costituiva e, stando alla sentenza impugnata, allegava “argomenti a suffragio della domanda proposta dal P.”.

La querela veniva accolta dal tribunale di Salerno, convinto della autenticità della firma, ma della apocrifia del contenuto della dichiarazione. Il tribunale riteneva inoltre inverosimile la circostanza che P. avesse consegnato in contanti al D.P., socio di C., una somma così ingente.

Pertanto il tribunale rigettava la domanda.

2) La Corte di appello di Salerno il 15 marzo 2012 ha ritenuto che la scrittura senza data a firma del C. fosse “vera e genuina”, ma ha ugualmente respinto l’appello di P.A..

Ha ritenuto che l’atto pubblico di vendita da DE.CA a C. del 1 giugno 1994 era effettivo e reale, poichè la scrittura C. non vi faceva alcun riferimento, ma si riferiva solo all’asta vinta da DECA.

Ha aggiunto che “la cosiddetta controdichiarazione” non può mai essere anteriore all’atto pubblico simulato.

Ha rilevato inoltre la mancata partecipazione del terzo soggetto, la DE.CA, alla interposizione fittizia, osservando che anche la lettera di sollecito spedita da DE.CA a C. era precedente all’atto pubblico asseritamente simulato e quindi inconferente.

La sentenza impugnata ha infine analizzato i movimenti bancari operati sul conto della società e l’esistenza di un credito del C. stesso; ha spiegato perchè non poteva dirsi provato l’immediato diretto ed esclusivo finanziamento del primo acquisto ad opera di P..

Ha concluso che era evidente la natura transattiva dell’atto pubblico di vendita del 1 giugno 1994, e indicato le circostanze che smentivano la tesi attorea secondo cui C., che nel dicembre 1993 aveva avanzato istanza di sequestro conservativo nei confronti della società, non era effettivo acquirente.

2.1) Quanto alla interposizione reale nell’atto pubblico di compravendita la Corte ne ha negato la configurabilità, perchè mancava l’indispensabile mandato scritto ad acquistare in favore del C..

2.2) Avverso questa sentenza, P. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 2 luglio 2012, con tre motivi illustrati da memoria.

C. ha resistito con controricorso.

DE.CA è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3) Con il primo motivo di ricorso vengono denunciati violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 e vizi di motivazione.

Parte ricorrente contesta che la scrittura senza data sia riferibile all’aggiudicazione di DE.CA e non al successivo acquisto di C.; sostiene che l’impegno del C., assunto personalmente, e non per la DE.CA, si fonderebbe proprio sull’acquisto del 1994 anteriore alla dichiarazione.

La corte di appello, secondo il ricorso, non avrebbe indagato sul fatto che C. non aveva i poteri in DE.CA e che il convenuto avrebbe riconosciuto che proprietario era solo P. proprio perchè C. era già titolare di un diritto di cui con quella dichiarazione negava la formale attribuzione.

Parte ricorrente interpreta poi la lettera inviata dal rag. D.P. quale liquidatore di DE.CA, pur anteriore all’atto pubblico, come confermativa della realizzazione di tutta l’operazione in ragione di un rapporto fiduciario con il finanziatore P.. A tal fine nega che abbia rilievo la risultanza contabile, valorizzata in sentenza, che imputava a C. la provenienza di 700 milioni utilizzati dalla società; secondo il ricorrente al D.P. erano ignote tutte le anticipazioni fatte dal P., sicchè anche i finanziamenti della società attribuiti dal D.P. al C. avrebbero potuto essere provenienti da finanziamenti P..

Pertanto erroneamente la sentenza avrebbe tratto da questa dichiarazione il convincimento che non sussisteva la prova da cui dedurre “l’immediato, diretto ed esclusivo finanziamento del primo acquisto ad opera del P.”.

La censura merita il rigetto.

Va in primo luogo rilevato che, come eccepito in controricorso, essa difetta di specificità, giacchè non analizza integralmente il testo della scrittura di cui postula una diversa interpretazione, ma si limita ad estrapolarne, per la critica, l’ultima parte.

In tal modo risulta omesso l’esame – e dunque non è convenientemente censurato – il rilievo decisivo (sentenza pag. 16) in forza del quale la Corte di appello ha stabilito che non solo manca in quello scritto un esplicito riferimento all’atto pubblico DECA – C., ma che vi è invece un “richiamo” espresso alla aggiudicazione all’asta del compendio immobiliare alla DECA.

Questa conclusione è ineccepibile; si regge sull’interpretazione letterale, che non è scalfita dalle alternative congetture formulate in ricorso, le quali si scontrano con un dato letterale e logico elementare: se veramente le parti, dopo la stipula del 1994, avessero redatto una controdichiarazione volta a far emergere la simulazione dell’atto pubblico, vi avrebbero fatto riferimento, invece di tacerne e di fare esplicito riferimento all’asta esecutiva di due anni prima.

Da questo accertamento di fatto la Corte di appello ha tratto la conseguenza che non può assumere dignità di controdichiarazione un qualunque scritto formato prima che l’atto pubblico asseritamente simulato sia stato stipulato. Ed ha, sempre correttamente, ribadito che di interposizione fittizia non si poteva discutere in assenza della partecipazione del terzo contraente DECA (cfr. Cass. 4738/15; 17389/11).

Non giovano, a contraddire questi rilievi, le osservazioni svolte in memoria circa gli elementi desumibili dalla consulenza tecnica contabile, ancorate non a certezze, ma a valutazioni e ipotesi del consulente, limitate a non escludere la possibile provenienza dal P. di versamenti sui conti della società, ma superate dalla globale visione ricostruttiva dei giudici di merito.

Mette conto infine aggiungere che, come rilevato dal Procuratore Generale, l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, solo per violazione delle regole ermeneutiche, o per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Tuttavia la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima; la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica e la denuncia del vizio di motivazione esigono la specifica indicazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni dell’obiettiva deficienza o contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata.

Nel caso di specie si assiste invece a una alternativa lettura dei fatti, che non riesce però a dimostrare un vizio logico o letterale di quella data dal giudice salernitano, che è invece connotata da plausibilità insindacabile in questa sede.

4) Il secondo motivo lamenta omessa pronuncia e omessa motivazione “per quanto riguarda l’attribuzione del compendio immobiliare” all’attore.

Parte ricorrente deduce che aveva svolto domanda ex art. 2932 c.c., posta in via alternativa rispetto all’accertamento della interposizione fittizia, sempre per conseguire il trasferimento da parte del C. del complesso di fabbriche industriali.

Sostiene che sarebbe stata omessa la pronuncia sul trasferimento coattivo, basata sull’obbligo portato dalla scrittura rilasciata dal C. e riconosciuta genuina dai giudici di appello, obbligo da riconnettere alla compravendita del 1994 o comunque da adempiere procurando il bene promesso al compratore. La censura è per più profili inammissibile.

In primo luogo va chiarito che tanto in primo grado che in appello la domanda volta a conseguire la proprietà del bene è stata articolata sotto due sole vie: interposizione fittizia o in subordine interposizione reale del C. nell’acquisto riferibile a P..

Ciò si desume sia dalla sentenza di primo grado (v. specialmente pag. 16), quanto dal tenore inequivocabile dell’atto di appello (fine pag. 11 e inizio pag. 12). Non vi è stata un’altra autonoma domanda di trasferimento coattivo, basata su altri fatti costitutivi, come ora sembra essere prospettato sulla base delle conclusioni di ricorso riassunte nel dar conto di questo secondo motivo.

In sede di appello infatti non risulta essere stata denunciata alcuna omissione di pronuncia, come sarebbe stato indispensabile per poter esporre in cassazione una persistente omissione di decisione su un profilo di domanda tempestivamente introdotto in causa e non esaminato. Ogni domanda ignorata dal primo giudice deve essere infatti coltivata in appello, lamentando l’omissione della relativa pronuncia.

Consta in atti che il tribunale ha esaminato la domanda subordinata sviluppata sull’ipotesi di interposizione reale. L’ha disattesa osservando che il mandato che avrebbe dovuto essere alla base di questo acquisto non era stato prodotto, sebbene dovesse essere necessariamente rilasciato in forma scritta.

Questa ratio decidendi, che non è significativamente attaccata, è stata ribadita puntualmente dalla sentenza di appello per rigettare il “motivo subordinato di gravame, dispiegato con riferimento alla interposizione reale sottesa allo stesso atto pubblico di compravendita”.

Inoltre la configurabilità di una domanda ex art. 2932 c.c., svincolata dalle due rationes iniziali (con le quali era coerente il richiamo a questa norma, che viene ora brandita in ricorso) non solo non è stata colta dai giudici dei due gradi di giudizio, ma non viene neppure dimostrata con una conveniente indicazione e analisi dello specifico atto del giudizio precedente e di quello anteriore in cui la domanda ignorata sarebbe stata svolta (Cass. 23675/13; 26200/14). Non può quindi giovare a parte ricorrente l’accumulo nel motivo di richiami di massime estratte da sentenze rese su ben diversi presupposti di fatto.

5) Il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 2720,2730,1988 c.c..

Parte ricorrente sostiene che la scrittura oggetto della causa costituirebbe un atto di ricognizione del diritto di proprietà con valore confessorio, idonea a dichiarare l’obbligo del C. di trasferire il bene, “se pure non ritenuta rilevante ad integrare il cd pactum fiduciae connesso all’interposizione reale, quale negozio indiretto”.

Anche questa censura è per un verso inammissibile, per altro verso infondata. E’ inammissibile perchè pone una questione nuova, come rilevato dal Procuratore Generale in udienza. Di essa non vi è traccia nella sentenza di appello, nè in ricorso si dice quando vennero svolte le tesi e i correlati richiami concettuali e giurisprudenziali che sono adesso esposti.

E’ infondata perchè, cercando di valorizzare pronunce interstiziali e risalenti, si pone in contrasto con orientamenti consolidati di questa Corte, secondo i quali: “La possibilità di attribuire efficacia costitutiva ad una dichiarazione ricognitiva dell’altrui diritto dominicale su un bene immobile presuppone che anche la causa della dichiarazione risulti dall’atto, atteso che, trattandosi di un bene immobile per il cui trasferimento è necessaria la forma scritta ad “substantiam”, tutti gli elementi essenziali del negozio debbono risultare per iscritto. (Sez. 2, Sentenza n. 20198 del 13/10/2004).

Ed ancora: “Ai fini dell’acquisto a titolo derivativo della proprietà di un bene immobile non può ritenersi idoneo un negozio di mero accertamento, che può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo, sicchè è irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato” (Cass. n. 7055 del 11/04/2016).

In mancanza di tutto questo, va escluso ogni valore di una mera dichiarazione ricognitiva quale quella descritta in atti.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 10.000 (diecimila) per compenso, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2017

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