Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22359 del 26/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 26/09/2017, (ud. 12/09/2017, dep.26/09/2017),  n. 22359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5754-2016 proposto da:

IPER AQUILA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO 1, presso lo

studio dell’avvocato ANGELO MALEDDU, rappresentata e difesa

dall’avvocato FAUSTO CORTI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DELL’AQUILA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO DE NARDIS;

GICOM S.R.L., AQUILANA CALCESTRUZZI S.R.L., in persona dei rispettivi

legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

CARLEO, rappresentate e difese dagli avvocati GIAMPIETRO BERTI DE

MARINIS e CLAUDIO VERINI;

– controricorrenti –

e contro

ARAP – AZIENDA REGIONALE DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4012/2015 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 26/08/2015;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2017 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli avvocati Fausto Corti, Claudio Verini e Giampietro Berti De

Marinis.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Iper Aquila s.r.l. chiedeva al Tar Abruzzo l’annullamento degli atti del Comune de l’Aquila e del Consorzio per lo sviluppo industriale che avevano autorizzato l’apertura di due esercizi commerciali da parte della Aquilana Calcestruzzi s.r.l. e della Gicom s.r.l. in zona limitrofa, di fronte al centro commerciale di proprietà di Iper Aquila, facendo valere essenzialmente la violazione del parametro del lotto minimo d’insediamento di cui al PUC del Comune e delle NTA del Consorzio, atteso che l’intervento in contestazione era sorto su due lotti di mq. 4355 e 5480, il primo di proprietà esclusiva della Aquilana Calcestruzzi ed il secondo di Gicom, sostenendo l’irrilevanza della presentazione della domanda da parte delle due società costituite in Ati, tenuto conto della diversità dei due interventi sul piano funzionale e dell’utilizzo.

Si costituivano il Comune, Aquilana Calcestruzzi e Gicom.

Il Tar, con sentenza n.561 del 2014, accoglieva il ricorso, ritenendo fondato il secondo motivo, e quindi l’indebito aggiramento del rispetto del lotto minimo.

La sentenza veniva appellata da Aquilana Calcestruzzi.

Con sentenza n. 412 del 2015 del 26 agosto 2015, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello, ritenendo che, pur in astratto corretto il ragionamento del Tar, nel caso era da escludersi la portata elusiva del comportamento delle parti, a ragione dell’avvenuto asservimento di una porzione del lotto di superficie maggiore rispetto ai mq. 5000, sia a fini edificatori che commerciali, così supplendosi all’insufficienza degli spazi di proprietà di Aquilana, “risolvendosi (l’atto), in definitiva, in uno strumento negoziale alternativo alla cessione, comunque rispettoso delle esigenze urbanistiche che sorreggono la normativa del lotto minimo”.

Ha proposto ricorso ex art. 362 c.p.c. Iper Aquila s.r.l., facendo valere la violazione degli artt. 103,111 e 117 Cost., del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, artt. 7 e 34 per avere il Consiglio di Stato travalicato dai limiti esterni della giurisdizione, effettuando una valutazione riservata alla P.A.

Aquilana Calcestruzzi e Gicom si sono difese con unico controricorso; non hanno svolto difese il Comune e l’ARAP.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Aquilana Calcestruzzi deduce che il Consiglio di Stato, al fine di riformare la sentenza del Tar e respingere il ricorso, ha considerato determinante l’atto di asservimento del 20 novembre 2008, successivo al provvedimento impugnato dell’8 ottobre 2008, che quindi non era entrato nel procedimento amministrativo, e che in tal modo il Giudice amministrativo non si è limitato a giudicare della legittimità dell’atto gravato, ma si è spinto oltre, sostituendosi alla Pubblica Amministrazione, svolgendo una valutazione prognostica degli effetti del successivo atto sul provvedimento impugnato, nel senso di ritenere l’idoneità in concreto dell’asservimento a rimuovere le cause di illegittimità.

Il Consiglio di Stato, secondo la ricorrente, si sarebbe dovuto limitare ad esercitare i poteri di annullamento, vertendosi nella materia edilizia rientrante nella giurisdizione esclusiva ex art. 133, lett. f) cod. proc. amm., e non già sostituirsi alle valutazioni della P.A., sussistendo tale potere solo nei casi della giurisdizione di merito ex art. 7, comma 6 cod. proc. amm.

Ciò posto, va in via preliminare respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sollevata dalle controricorrenti e comunque rilevabile d’ufficio, per la mancata indicazione della fase processuale in cui è stato prodotto e della sede processuale di rilevabilità dell’atto di asservimento, atteso che nel ricorso, nella parte espositiva, a pag. 9, Iper Aquila ha indicato che Aquilana Calcestruzzi in sede di appello ha aggiunto che erano stati asserviti a proprio favore dalla Gicom, con atto pubblico a firma notaio B. de L’Aquila del 20/11/2008, i diritti di utilizzazione edificatoria e commerciale espressi dall’area di proprietà, al fine di consentire alla stessa Aquilana Calcestruzzi il raggiungimento della superficie di mq. 5000, e detto documento (del cui specifico contenuto non si fa questione nel presente giudizio) è espressamente menzionato nella sentenza impugnata.

Superato detto profilo processuale, deve peraltro concludersi per l’inammissibilità del ricorso in via preliminare di merito.

Come affermato nelle recenti pronunce Cass. Sez. U. 29/3/2017, n. 8117 e 30/3/2017, n. 8245, per costante giurisprudenza, i motivi inerenti alla giurisdizione vanno identificati o nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale (come quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure, al contrario, quando abbia negato la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non potesse formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale), o nell’ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (ipotesi, questa, che ricorre quando il Consiglio di Stato abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito).

E secondo la ricorrente, vertendosi in materia edilizia e rientrandosi nelle giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, lett. t) cod. proc. amm., e non nella giurisdizione di merito, il Consiglio di Stato si sarebbe dovuto limitare ad esercitare i poteri di annullamento attribuiti dall’art. 34, lett. a) cod. proc. amm., e non già sostituirsi all’Amministrazione nella valutazione dell’atto di asservimento.

Ciò posto, va rilevato che ai sensi dell’art. 7, commi 3-6 cod. proc. amm., la giurisdizione amministrativa si articola in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito; nella prima, rientrano ” le controversie relative ad atti, provvedimento o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi”; nella seconda, “il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi””; la giurisdizione estesa al merito si esercita infine “…nelle controversie indicate dalla legge e dall’art. 134” ed è contraddistinta dal fatto che nell’ambito della stessa “il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione” (comma 6, u.p.).

E l’art. 34 cod. proc. amm., al comma 1, lett. d), dispone che il giudice amministrativo “nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato.”

Nella giurisdizione estesa al merito, pertanto, il giudice non solo valuta l’attività dell’Amministrazione, ma pondera anche l’interesse pubblico con quello privato e può anche adottare un nuovo atto (e secondo l’art. 21 cod. proc. amm., se deve sostituirsi all’amministrazione, può nominare come ausiliario un commissario ad acta).

Venendo al caso di specie, è di chiara evidenza come non vi sia stata alcuna sostituzione del Giudice all’Amministrazione, avendo il Consiglio di Stato semplicemente ritenuto la legittimità dei provvedimenti assunti dalla P.A., con valutazione limitata proprio a detto ambito, senza in alcun modo sconfinare nella diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, nè surrogandosi alla P.A. al di là della formula definitoria adottata (sul principio, ed in particolare su detta ultima statuizione, la stessa pronuncia citata dalle controricorrenti nella memoria, Sez. U. 9/11/2011, n.23302): ne consegue l’inammissibilità del ricorso, visto che la ricorrente vorrebbe sostanzialmente far valere nel presente giudizio quale travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione quella che è prospettata come un’errata decisione da parte del Consiglio di Stato.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 6000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2017

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