Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22359 del 04/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 04/11/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 04/11/2016), n.22359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10486/2015 proposto da:

C.A., F.A., C.M., C.F., tutti

quali eredi di Cu.An., R.S., A.I.,

G.A., quali eredi di G.G., CA.CA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati GIANLUCA RUBINO,

PAOLO GRECO, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1509/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO

del 22/01/2014, depositata il 28/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. E’ impugnata – ai sensi dell’art. 348 ter – la sentenza del Tribunale di Catanzaro 9.11.2011 n. 2795, con la quale è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno proposta dagli odierni ricorrenti nei confronti del Ministero della Salute, ed avente ad oggetto il risarcimento del danno da infezione susseguente ad emotrasfusione.

L’appello, proposto dagli odierni ricorrenti avverso la suddetta sentenza, venne dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Catanzaro con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., datata 28.1.2014.

2. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti formulano quattro censure:

(a) il Tribunale ha errato nel trascurare che il Ministero aveva riconosciuto il proprio debito, così interrompendo la prescrizione;

(b) il Tribunale ha errato nell’applicare il termine di prescrizione quinquennale, ex art. 2947 c.c., comma 1, sentenza considerare che nella specie sussisteva il delitto di epidemia colposa, e quindi si sarebbe dovuto applicare il più lungo termine di cui all’art. 2947 c.c., comma 3;

(c) il Tribunale ha errato nell’individuare l’exordium praescriptionis nella data di presentazione, da parte del danneggiato, della domanda di concessione dei benefici di cui alla L. n. 210 del 1992;

(d) il Tribuna le ha errato nel non considerare che il credito risarcitorio degli eredi di Cu.An. e G.G., deceduti a causa della malattia postrasfusionale, in quanto scaturente da un illecito che integrava gli estremi colposo, si sarebbe dovuto applicare il più lungo termine prescrizionale di cui all’art. 2947 c.c., comma 3.

3. Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

3.1. Il motivo sub (a) è infondato in quanto l’offerta transattiva, di per sè, non costituisce ricognizione di debito, noto essendo che presupposto della transazione è la sussistenza della res dubia.

3.2. Il motivo sub (b) è infondato alla luce dei principi già affermati dalle SS.UU. di questa Corte con la sentenza n. 581/08: ovvero che il reato di epidemia colposa presuppone la volontaria diffusione di germi patogeni, sia pure per negligenza, imprudenza o imperizia, condotta non ravvisabile con l’addebito di responsabilità a carico del Ministero, prospettato in termini di omessa sorveglianza sulla distribuzione del sangue e dei suoi derivati. Osservazioni che non sono minimamente scalfite dai ricorrenti.

3.3. Il motivo sub (c) è infondato, alla luce del principio – altrettanto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – secondo cui chi invoca i benefici di cui alla L. n. 210 del 1992, dimostra, per ciò solo, di ritenere che il contagio sia derivato da una trasfusione: altrimenti non avrebbe avuto titolo alcuno per pretenderli.

3.4. Il motivo sul) (d) è inammissibile, in quanto i ricorrenti non indicano – in violazione del principio di autosufficienza – se e quando abbiano dedotto in primo grado che la morte sia stata causata dalle lesioni, nè quando essa sia avvenuta.

4. Si propone pertanto il rigetto del ricorso.

2. Nessuna delle parti ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per tardività, sicchè è superfluo l’esame nel merito dei motivi con esso prospettati.

4. Risulta infatti dall’annotazione in calce all’ordinanza pronunciata ex art. 348 bis c.p.c., dalla Corte d’appello di Catanzaro che quel provvedimento fu comunicato alle parti, a mezzo posta elettronica certificata, il 28.1.2014.

Questa Corte ha già ripetutamente stabilito che in caso di declaratoria di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado decorre, a norma del successivo art. 348 ter c.p.c., dalla comunicazione (o notificazione, se anteriore) dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile il gravame, e si identifica in quello “breve” di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, dovendo intendersi pertanto il riferimento all’applicazione dell’art. 327 c.p.c. “in quanto compatibile” (contenuto nel medesimo art. 348 ter c.p.c.), come limitato ai casi in cui tale comunicazione (o notificazione) sia mancata. (Sez. 6-3, Ordinanza n. 25115 del 14/12/2015, Rv. 638297).

4.1. Nel caso di specie, pertanto, il termine per proporre ricorso per cassazione è spirato il 29.3.2014, mentre il ricorso è stato consegnato per la notifica il 16.3.2015.

5. Le spese del presente giudizio vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

5.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

-) condanna C.A., F.A., C.M., C.F., R.S., A.I., G.A., Ca.Ca., in solido, alla rifusione in favore di Ministero della Salute delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 4.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.A., F.A., C.M., C.F., R.S., A.I., G.I., Ca.Ca., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016

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