Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22353 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 26/10/2011, (ud. 07/10/2011, dep. 26/10/2011), n.22353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 25753-2010 proposto da:

M.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato NUZZACI

VITTORIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIS

LODOVICO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.I. (OMISSIS),

C.N. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1540/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

23.9.08, depositata il 23/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LINA MATERA;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PRATIS

Pierfelice.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Il relatore della sezione ha depositato in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con atto di citazione ritualmente notificato M.I. e C.N. convenivano dinanzi al Tribunale di Treviso M. E., per sentirlo condannare, previo accertamento del loro diritto di proprietà, all’immediato rilascio di un immobile sito nel Comune di Fonte, adibito a stalla e ricovero attrezzi, indebitamente occupato dal convenuto. Essi facevano presente che il predetto bene era loro pervenuto in forza di atto di compravendita del 17-8-1992 da S.I., la quale ne aveva acquistato la proprietà per usucapione, come accertato con decreto del Pretore di Asolo in data 8- 10-1982. Gli attori chiedevano altresì la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti ed al pagamento di un corrispettivo per l’occupazione dal 1993 all’effettiva restituzione.

Nel costituirsi, il convenuto eccepiva in limine l’improcedibilità della domanda ex art. 705 c.p.c., stante la pendenza di giudizio possessorio. Nel merito, egli contestava la fondatezza della domanda e chiedeva in via riconvenzionale che venisse accertato il suo acquisto della proprietà del bene de quo per possesso ultraquindicinale ex art. 1159 c.p.c. o, comunque, per usucapione ordinaria.

Il Tribunale, dopo aver disatteso, con sentenza parziale del 9-3- 2002, l’eccezione di improcedibilità della domanda, con sentenza definitiva del 28-2-2005 rigettava la domanda riconvenzionale e condannava M.E. al rilascio del bene immobile in oggetto, libero da persone, animali e cose, entro il termine di tre mesi. Il giudice di primo grado rigettava altresì la domanda risarcitoria proposta dagli attori, in quanto sfornita di prova, e quella di condanna al pagamento di un’indennità per indebita occupazione, ritenendo tale occupazione ascrivibile all’atteggiamento tollerante degli attori.

Con sentenza depositata il 23-9-2009 la Corte di Appello di Venezia rigettava l’appello proposto avverso la predetta decisione dal convenuto.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M. E., sulla base di due motivi.

Gli intimati non hanno depositato controricorso.

RILEVA IN DIRITTO 1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.. Deduce che l’affermazione della Corte di Appello, secondo cui il possesso di M.E. è iniziato “per mera compiacenza dei proprietari” e non è, pertanto, utile ai fini dell’usucapione, contrasta con il giudicato formatosi nel giudizio possessorio promosso dall’odierno ricorrente. Rileva, infatti, che con il passaggio in giudicato della sentenza n. 553/2003 della Corte di Appello di Venezia (che il ricorrente si è riservato di produrre in copia) è divenuto definitivo l’accertamento contenuto nella sentenza n. 6/2000 del. Tribunale di Treviso, Sezione Distaccata di Castelfranco, secondo cui M.E. ha “esercitato il possesso sul bene oggetto di spoglio”, e ciò ha fatto “in modo continuo, pacifico e senza rivendicazione alcuna da parte dei legittimi proprietari”.

Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1165 e 2943 c.c., in relazione all’affermazione della Corte di Appello, secondo cui, anche a voler accordare piena efficacia al possesso esercitato da M.E. dal 1978, non potrebbe ritenersi compiuto il periodo ventennale necessario ad usucapire, essendo stato tale possesso interrotto nel 1993, a seguito della formale diffida al rilascio intimata dal proprietario M.I.. Rileva che tale assunto contrasta con il principio enunciato dalla giurisprudenza, secondo cui, in tema di usucapione, contrariamente a quanto avviene per la prescrizione estintiva dei diritti di obbligazione, la diffida o la messa in mora non interrompono il termine utile per la prescrizione acquisitiva.

2) Il primo motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, dal quale non vi è ragione di dissentire, la sentenza emessa nel giudizio possessorio non può rivestire autorità di giudicato nel successivo giudizio petitorio, in considerazione della diversa natura e della piena autonomia delle due azioni.

E’ stato rilevato, al riguardo, che le azioni proposte in sede possessoria e petitoria, pur nell’eventuale identità dei soggetti, sono caratterizzate dall’assoluta diversità degli ulteriori elementi costitutivi (causa petendi e petitum); con la conseguenza che i provvedimenti adottati in sede possessoria, lasciando impregiudicata ogni questione sulla legittimità della situazione oggetto di tutela, non possono influire sull’esito del giudizio petitorio (Cass. Sez. 2, 5-11-2010 n. 22594; Cass. Sez. 2, 13-1-1995 n. 360; Cass. Sez. 2, 16- 12-1986 n. 7557), nè le prove acquisite nel giudizio possessorio possono essere richiamate nel giudizio petitorio a favore dell’una o dell’altra parte (Cass. Sez. 2, 20-3-1999 n. 2607; Cass. Sez. 2, 13-6- 1994 n. 5732). E’ stato ulteriormente evidenziato, con riferimento ad una ipotesi analoga a quella oggetto del presente giudizio, che nel giudizio possessorio l’accoglimento della domanda prescinde dall’accertamento della legittimità del possesso, in quanto è finalizzato a dare tutela ad una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprietà o di un altro diritto reale; e che, pertanto, il giudicato formatosi sulla domanda possessoria è privo di efficacia nel giudizio petitorio avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuto acquisto del predetto diritto per usucapione, in quanto il possesso utile ad usucapire deve avere requisiti che non vengono in rilievo nei giudizi possessori (Cass. Sez. 2, 5-10-2009 n. 21233).

Ciò posto, si osserva che, nel caso di specie, la Corte di Appello, sulla base delle prove raccolte, ha accertato che il possesso dell’odierno ricorrente è iniziato per mera compiacenza dei proprietari, i quali gli hanno accordato l’uso della stalla solo per cortesia; e che M.E. non ha comprovato di aver mai compiuto alcun atto di interversione del possesso. Alla stregua di simili emergenze, legittimamente i giudici di merito hanno rigettato la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, avendo escluso l’esistenza, in capo al medesimo, di un possesso utile ad usucapionem.

3) Il secondo motivo è inammissibile.

Le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello riguardo all’interruzione del termine di usucapione rappresentano, infatti, una ratio decidendi ulteriore rispetto a quella, distinta ed autonoma, basata sulla insussistenza di un possesso utile ai fini dell’usucapione, di per sè idonea a sorreggere la decisione impugnata.

Orbene, come è stato più volte affermato da questa Corte, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in foto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v. per tutte Cass. S.U. 8-8-2005 n. 16602).

4) Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 c.p.c., per essere rigettato”.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Il Collegio condivide la proposta di decisione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Poichè i resistenti non hanno svolto alcuna attività difensiva, non vi è pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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