Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22351 del 04/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 04/11/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 04/11/2016), n.22351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7028-2015 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 29,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO CAPONETTI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PAOLO CAPPELLINI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ALLIANZ SPA, in persona del procuratore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

SPADAFORA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIORGIO SPADAFORA giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

Z.M., C.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1440/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 12/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato Stefano Caponetti difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Manganiello Antonio (delega avvocato Giorgio

Spadafora) difensore della controricorrente che si riporta agli

scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. L.C. ha impugnato per cassazione la sentenza 12.9.2014 n. 1440 della Corte d’appello di Firenze, con la quale tale Corte provvide sulla sua domanda di risarcimento del danno patito in conseguenza d’un sinistro stradale.

2. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 115 c.p.c. e art. 2729 c.c., nella parte in cui le ha attribuito un concorso di colpa nella causazione del danno, consistito nell’omesso uso delle cinture di sicure.

2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto stabilire se la vittima di un illecito abbia o non abbia concorso a causarlo è un accertamento di fatto, come tale insindacabile in questa sede.

3. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 1226 e 1227 c.c., nella parte in ali ha quantificato il suo concorso di colpa nella misura del 15% “dell’intero danno”.

La tesi della ricorrente è che, avendo l’omesso uso delle cinture concausato solo i danni al volto, esso non poteva comportare una liquidazione del risarcimento dovuto per i danni agli arti inferiore.

3.1. Il motivo è infondato: sia perchè sollecita da questa Corte il sindacato su un tipico giudizio di merito; sia perchè la riduzione del risarcimento prevista dall’art. 1227 c.c., comma 1, non può che applicarsi sull’intero credito risarcitorio, che forma oggetto di una unica obbbligazione.

Stabilire, poi, quale debba essere il rapporto tra il pregiudizio concausato dalla vittima e il complessivo pregiudizio da questa patito è, anche in tal caso, una valutazione di merito.

4. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1226 c.c.. Deduce che la Corte d’appello, pur disponendo di tutti gli elementi per liquidare in modo analitico il danno consistito nella necessità di dover sostenere delle spese in futuro per l’assistenza domestica e per le cure, l’ha liquidato in via equitativa, sottostimandolo.

4.1. Il motivo è infondato per come è stato proposto.

La liquidazione del danno futuro, infatti, è per necessità una liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.. Esso infatti non può che fondarsi su ragionevoli probabilità, non su certezze, e dunque ne è impossibile la stima nel suo esatto ammontare.

Violazione dell’art. 1226 c.c. (che consente appunto la liquidazione equitativa quando il danno non può essere liquidato nel suo esatto ammontare), dunque, non vi fu.

Nè è consentito a questa Corte, travalicando il contenuto oggettivo del ricorso, individuare d’ufficio ulteriori mende logiche o motivazionali nella sentenza impugnata.

3. Si propone pertanto il rigetto del ricorso”.

2. Ambo le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale hanno insistito nelle difese già svolte nel ricorso e nel controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione.

Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria.

4. Con riferimento al primo motivo di ricorso, la ricorrente precisa di non avere voluto affatto censurare un accertamento di merito, ma di avere inteso dolersi del fatto che la Corte d’appello le abbia attribuito un concorso di colpa per omesso uso delle cinture in assenza di prove di tale circostanza di fatto, e sulla base di elementi presuntivi privi dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., violando di conseguenza anche l’art. 115 c.p.c..

Deve tuttavia in contrario osservarsi come violazione dell’art. 2729 c.c. potrebbe, in teoria, ammettersi, quando ad esempio il giudice di merito affermi che la prova presuntiva possa ricavarsi da indizi non gravi, non precisi o non concordanti; oppure quando ammetta una praesumptio de praesumto, od ancora quando ricorra alla prova presuntiva nei casi in cui la legge vieti il ricorso ad essa (ad esempio, per provare l’adempimento dell’obbligazione).

Ma la semplice valutazione degli indizi in un modo piuttosto che in un altro, così come l’attribuzione di valore ad alcuni indizi piuttosto che ad altri, costituiscono il proprium dell’accertamento di fatto demandato al giudice di merito, e non sono sindacabili in questa sede, a nulla rilevando che la prove ed indizi potessero essere valutati anche in altri e teoricamente più plausibili modi rispetto a quello prescelto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto che dal fatto noto che la vittima abbia patito ferite al volto, potesse risalirsi ex art. 2727 c.c. al fatto ignorato che non avesse allacciate le cinture di sicurezza, in virtù del rilievo che le ferite al volto non potevano avere altra plausibile causa che l’impatto contro le parti interne dell’abitacolo, favorito dal mancato uso dei sistemi di ritenuta (questo il limpido senso della motivazione di cui a p. 7 della sentenza impugnata).

Pertanto, pur lamentando la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2729 c.c., la ricorrente censura inammissibilmente un accertamento di fatto.

5. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce nella propria memoria che col motivo in esame aveva prospettato due censure, una soltanto delle quali è stata presa in esame dalla relazione. Aveva infatti lamentato:

(a) sia la violazione dell’art. 1227 c.c., sul presupposto che non vi fosse prova del nesso di causa tra omesso uso delle cinture e le lesioni al volto;

(b) sia la violazione dell’art. 1226 c.c..

Questa seconda violazione sussisteva, prosegue la ricorrente, perchè stabilire quale sia la quota di danno concausata dalla vittima “non è una valutazione di merito (…), ma una valutazione tecnica e giuridica e come tale suscettibile di esame e censura anche in sede di legittimità”.

Pertanto avrebbe errato la Corte d’appello nel determinare “equitativamente” il concorso di colpa nella misura del 15%, giacchè il ricorso all’equità non era nel caso di specie consentito (così la memoria, p. 5).

5.1. Nessuna delle suddette argomentazioni ha pregio.

Non la prima, perchè stabilire se una certa condotta abbia o non abbia causato un certo evento di danno è un tipico apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: questa Corte ha infatti già ripetutamente affermato che mentre l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata (così Sez. 3, Sentenza n. 4439 del 25/02/2014, Rv. 630127; nello stesso senso, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 26997 del 07/12/2005, Rv. 587959).

E nel caso di specie la ricorrente si duole giustappunto del giudizio circa le conseguenze dell’illecito, non certo della regola causale applicata (ad es. causalità adeguata, causalità umana, condicio sine qua non, ecc.).

5.2. Quanto alle altre osservazioni svolte nella memoria ad integrazione del ricorso, la ricorrente pare muovere da un equivoco di fondo: ovvero che, avendo il giudice di merito ritenuto concausate dalla vittima le sole lesioni al volto, quel giudice abbia quantificato tale concorso di colpa nella misura del 15%, sicchè la relativa riduzione si sarebbe dovuta applicare al solo risarcimento del danno derivato dalle lesioni al volto.

E’ una lettura distorta della sentenza di merito.

Se l’omesso uso delle cinture causò le sole lesioni al volto, e non le altre, come ritenuto dal giudice di merito, è ovvio ed evidente che rispetto al solo danno al volto il concorso della vittima sarebbe dovuto essere del 100%.

Sicchè il giudice di merito, riducendo del 15% l’intero danno patito dalla vittima, ha evidentemente mostrato di tenere conto della circostanza che il concorso della vittima ha concausato una sola parte del danno. Se poi questa parte rispetto all’intero dovesse essere il 10, il 15 od il 50% è questione non prospettabile in sede di legittimità.

6. Infine, con riferimento al terzo motivo di ricorso, la ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel liquidare il danno patrimoniale futuro perchè, anzichè avvalersi di “validi riferimenti oggettivi” acquisiti al giudizio ed indicati dal consulente d’ufficio, ha preferito prescindere del tutto da essi.

Tale deduzione corrobora il giudizio di inammissibilità del motivo già espresso nella relazione: essa rende infatti palese che ciò di cui al ricorrente qui si duole è la scelta compiuta dal giudice di merito tra le varie prove disponibili: scelta che, in virtù della giurisprudenza già ricordata al p. 4 della presente ordinanza, non può essere sindacata in sede di legittimità.

7. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

7.1. Il ricorso è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna L.C. alla rifusione in favore di Allianz s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 5.600, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte di L.C. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile della Corte di cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016

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