Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22350 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. II, 06/09/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22589-2015 proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO

VILLINI;

– ricorrente –

contro

B.G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

B.F., TE.PA SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1072/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/09/20214.

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/05/2019 dal Consigliere GRASSO GIUSEPPE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la Corte d’appello di Brescia, con la sentenza di cui in epigrafe, disattese l’impugnazione proposta da A.G., la cui domanda di regolamento confini e declaratoria d’acquisto per usucapione di uno stacco di terreno, avanzata nei confronti di G.M. e B.F., nonchè della Te.pa s.p.a., era stata rigettata dal Tribunale;

ritenuto che l’ A. ricorre avverso la decisione d’appello illustrando due motivi e che degli intimati resiste con controricorso B.G.M.;

ritenuto che con il primo motivo l’ A. denunzia nullità della sentenza “per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5 in relazione all’art. 950 c.c.”, adducendo che:

– la sentenza gravata, dopo aver affermato che tutti i soggetti coinvolti avevano riportato una rappresentazione di luoghi e fatti approssimativa, aveva disatteso la domanda di regolamento dei confini, senza considerare che si era in presenza di una situazione di obiettiva e oggettiva incertezza, che le mappe catastali avrebbero potuto essere utilizzate solo in via sussidiaria, che l’ A. aveva assolto al proprio onere di allegazione, avendo provato i punti di riferimento, costituiti da cippi lapidei, che sarebbe stato sufficiente richiamare a chiarimenti il CTU, che le dichiarazioni testimoniali (in parte ripresi in sintesi dal ricorrente) corroboravano l’assunto, che dall’atto notarile del 18/6/1961 risultava che la superficie reale era maggiore di quella mappata, che, in definitiva, pur avendo la Corte locale richiamato l’esistenza dei cippi lapidei, non aveva esaminato il fatto storico;

considerato che la censura non supera il vaglio d’ammissibilità per le ragioni di cui appresso:

a) trattasi di doglianza che, con evidenza, mira ad un inammissibile riesame degli insindacabili apprezzamenti di merito e la denunzia di violazione di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn. 11775/019, 6806/019, 30728/018);

b) ancor meno scrutinabile si dimostra il richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5 non essendo dato comprendere quale sia il fatto determinante il cui esame sia stato omesso dal giudice (cfr., ex multis, S.U. n. 8053, 7/4/2014), essendosi, invece, in presenza di un apprezzamento giudiziale contrario alle aspettative del ricorrente;

c) la sentenza spiega le ragioni per le quali si era reso necessario far ricorso alle mappe catastali (pagg. 4-6); dispone l’ultimo comma dell’articolo in commento che: “In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali”; La mancanza in parola, invero, assume il significato di non soddisfacente, non adeguato, non sufficiente; in altri termini, il ricorso alle mappe catastali non è riservato al solo caso in cui (peraltro abbastanza di scuola) si sia in presenza di un deserto probatorio, ma deve ritenersi strumento utilizzabile tutte le volte in cui gli elementi di prova raccolti, secondo il libero apprezzamento del giudice, non si mostrino soddisfacenti; diversamente ragionando si darebbe vita ad una prova legale non prevista dall’ordinamento, violando il principio del libero convincimento del giudice (cfr., Sez. 2, n. 28103, 30/12/2009, Rv. 610962);

ritenuto che con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della statuizione “per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, in relazione agli artt. 1140 e 1168 c.c.”, in quanto:

– la sentenza censurata, dopo aver negato che B.G.M. non aveva contestato il possesso in capo al ricorrente dell’area controversa, era giunta a concludere che l’attore non aveva fornito la prova del possesso ventennale, non reputando che le testimonianze raccolte fossero sul punto significative;

– in tal modo la Corte d’appello era incorsa in una “anomalia motivazionale”, in una “motivazione apparente”, per “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, trovandosi in presenza in una situazione di perplessità e incomprensibilità obiettiva;

– a tal fine il ricorrente riprende, per sintesi riepilogativa, le dichiarazioni che avrebbero reso i testi Bi.Lu., P.A. e Bo.Si. (pagg. 28 e 29 del ricorso);

considerato che anche questo motivo, per ragioni in larga parte sovrapponibili a quelle sopra esposte, è del pari inammissibile:

a) la violazione degli artt. 1140 e 1168 c.c., presuppone una ricostruzione fattuale alternativa, smentita dalla sentenza (si veda sul punto quanto osservato in relazione al primo motivo);

b) oramai l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; in definitiva la norma in parola consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 62, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, avendo la Corte locale motivato la propria decisione; in definitiva, il prospettato radicale difetto motivazionale non è in alcun modo ipotizzabile, la decisione ha fornito una giustificazione razionalmente intellegibile e appropriatamente riferita alla vicenda sottopostagli, mentre il dissenso del ricorrente risiede in una valutazione alternativa del materiale probatorio;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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