Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22349 del 26/09/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. III, 26/09/2017, (ud. 13/07/2017, dep.26/09/2017),  n. 22349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25813-2014 proposto da:

M.A., (+ Altri Omessi), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA BENEDETTO CROCE 49, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO PIETRANGELI, rappresentati e difesi dagli avvocati

ALBERTO CAPPELLARO, SABRINA CESTARI giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1786/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale MISTRI Corrado, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO

che:

C.M., (+ Altri Omessi) convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, il Ministero della Salute esponendo di avere contratto la epatite cronica HCV a seguito delle trasfusioni alle quali si erano sottoposti sin dalla nascita, perchè affetti da beta talassemia omozigote, di avere presentato domanda di indennizzo, ai sensi della L. n. 210 del 1992, tra il 1995 il 2003, lamentando che il Ministero aveva colposamente omesso di vigilare sulla sicurezza del sangue e dei suoi derivati e chiedendo il risarcimento dei danni. Costituitosi in giudizio il Ministero della Salute eccepiva il difetto di legittimazione passiva, la nullità della citazione, l’inammissibilità della domanda risarcitoria per avere gli attori beneficiato dell’indennizzo, la prescrizione del credito e l’infondatezza della pretesa non essendo disponibile il kit che consentiva la individuazione del virus in oggetto prima dell’anno 1990;

con sentenza pubblicata il 27 luglio 2009 il Tribunale rigettava le domande e compensava tra le parti le spese di lite;

avverso tale decisione proponevano appello gli originari attori con atto di citazione notificato il 22 luglio 2010 e il Ministero si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto. La Corte d’Appello di Torino con sentenza pubblicata il 19 agosto 2013 rigettava l’impugnazione, compensando integralmente le spese del grado;

contro tale decisione propongono ricorso per cassazione C.M., (+Altri Omessi) sulla base di quattro motivi. Resiste in giudizio il Ministero della Salute con controricorso. Il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 2935 c.c.: decorso della prescrizione da un momento anteriore e diverso rispetto alla consapevolezza dell’illecito aperta parentesi art. 360 c.p.c., n. 3). Deducono che la individuazione degli anticorpi non equivale a diagnosi di epatite, che costituisce l’unico strumento che consente di discriminare, tra i portatori degli anticorpi, coloro che hanno sviluppato la malattia sulla base della conoscenza di norme e circolari tecniche disattese dall’amministrazione a partire dagli anni 60 e 70. Il contenuto di tali disposizioni non sarebbe stato oggetto di comunicazione da parte dei medici ai ricorrenti. Inoltre, dalle dichiarazioni rese dal uno dei medici responsabili del Centro di cura dei ricorrenti sarebbe emerso che soltanto in epoca successiva a quella individuata dalla Corte territoriale “in seguito all’effettuazione di esami specifici, risultava con certezza che il danno epatico era stato causato dall’infezione virale da virus C, indotto dalle trasfusioni”;

con il secondo motivo deducono la violazione dell’art. 2947 c.c. e art. 43 c.p.: qualificazione del comportamento ministeriale come epidemia dolosa o lesioni dolorose plurime, rilevando che il comportamento dell’amministrazione sanitaria doveva qualificarsi come doloso, fondato sul dolo eventuale e cioè sulla condotta del soggetto che si rappresenti come seriamente possibile la realizzazione dell’evento. In particolare, con riferimento agli anni 60, i funzionari dell’amministrazione erano certamente consapevoli della pericolosità del sangue utilizzato affini terapeutici;

con il terzo motivo i ricorrenti deducono la responsabilità del Ministero della Salute per i contagi successivi al 15 agosto 1967 lamentando che la Corte d’Appello non avrebbe esaminato nel merito le domande degli stessi, reputando tali profili assorbiti, mentre il Ministero avrebbe dovuto essere dichiarato responsabile per i contagi successivi a tale data, facendo riferimento all’entrata in vigore della L. n. 592 del 1967, poichè sussisteva una consapevolezza da parte della amministrazione che il sangue veicolava virus lesivi per la salute;

con il quarto motivo deducono: il nesso causale e danno. I ricorrenti affermano di avere diritto al risarcimento dei danni subiti da quantificarsi in separato giudizio.

Rilevato che:

con atto ritualmente depositato presso la cancelleria di questa suprema Corte, parte ricorrente ha depositato la dichiarazione di accettazione della proposta formulata dal Ministero della Salute ai sensi del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 27 bis convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114, così rinunziando al ricorso avverso la sentenza in oggetto (decisione della Corte d’Appello di Torino pubblicata il 19 agosto 2013), a spese compensate;

ritenuto, pertanto, che debba essere dichiarata l’estinzione del processo e che non si debba provvedere in merito alle spese;

che la declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass. n. 19560 del 2015).

PQM

 

dichiara l’estinzione del processo. Nulla per le spese.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA