Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22348 del 22/10/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 22348 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

PU

SENTENZA

sul ricorso 2911-2011 proposto da:
GNONI

MAVARELLI

ANTONIO

GNNNTN24C17C745A,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 20,
presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIANCARLO ZUCCACCIA, NERIO ZUCCACCIA giusta procura in
2014

calce al ricorso;
– ricorrente –

1806
contro

PROVINCIA PERUGIA 00443770540, in persona del suo
Presidente e legale rappresentante dott. MARCO VINICIO

Data pubblicazione: 22/10/2014

GUASTICCHI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
G.B. MORGAGNI 2-A, presso lo studio dell’avvocato
UMBERTO SEGARELLI, rappresentata e difesa
dall’avvocato MASSIMO MINCIARONI giusta

procura a

margine del controricorso;
controricorrente

avverso la sentenza n. 377/2010 della CORTE D’APPELLO

di PERUGIA, depositata il 09/09/2010 R.G.N. 548/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/07/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato CARLA RIZZO;
udito l’Avvocato UMBERTO SEGARE= per delega;
udito il P.M. in persona del

Sostituto Procuratore

Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
l’accoglimento p.q.r.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Antonio Gnoni Mavarelli convenne in giudizio, davanti al
Tribunale di Perugia, la Provincia di Perugia e

sulla

premessa di aver sofferto un pregiudizio economico in forza del
danneggiamento delle sue colture provocato da cinghiali negli

corrisposto un ristoro pari a circa il 50 per cento dei danni
effettivamente subiti – chiese che la medesima fosse condannata
all’integrale risarcimento, nella misura di lire 44.320.000.
Costituitasi la Provincia di Perugia, il Tribunale,
respinta l’eccezione preliminare di difetto di giurisdizione,
accolse la domanda e riconobbe in favore dell’attore il diritto
a percepire l’ulteriore somma di lire 36.813.500, quale
differenza tra le somme erogate e quella effettivamente
spettante.
2. Appellata la sentenza dalla Provincia di Perugia, la
Corte d’appello di quella città dichiarò il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario.
3. Proposto ricorso dallo Gnoni Mavarelli, questa Corte,
con la sentenza delle Sezioni Unite 30 gennaio 2008, n. 2024,
dichiarò la giurisdizione del giudice ordinario, cassò la
sentenza impugnata e rinviò il giudizio alla Corte d’appello di
Perugia.
4. Riassunto il giudizio dalla Provincia di Perugia, la
Corte d’appello di Perugia, con sentenza del 9 settembre 2010,
3

anni dal 1985 al 1987, per il quale la Provincia aveva

in riforma della pronuncia del Tribunale, ha respinto la
domanda dell’originario attore, che ha condannato alla
restituzione delle somme già percepite in ottemperanza della
sentenza di primo grado, compensando le spese di tutti i gradi
di giudizio.

Gnoni Mavarelli era circa il doppio di quello che la Provincia
gli aveva rimborsato a titolo di risarcimento; e che la domanda
da lui proposta non si fondava sul risarcimento del danno da
illecito, bensì sull’applicazione delle norme di cui agli artt.
2 e 3 della legge della Regione Umbria 13 agosto 1984, n. 39.
Detta normativa regionale non configurava il diritto al
risarcimento come sanzione per una condotta illecita, bensì
come pagamento di una somma a titolo indennitario, nell’intento
di trovare un equilibrio tra il diritto del privato al ristoro
e la tutela della fauna selvatica, pure rispondente ad un
pubblico interesse.
Richiamando, in particolare, gli artt. 2, 3, 6 e 9 della
citata legge regionale, la Corte d’appello ha affermato che
tali disposizioni non garantivano, comunque, il totale
risarcimento del danno subito, bensì l’erogazione di una somma
dipendente dall’entità dei fondi regionali stanziati per tale
scopo. Tale limitazione, che non va ad alterare la posizione di
diritto soggettivo del privato, comportava che i fondi
annualmente stabiliti dovessero essere «proporzionalmente
4

Ha premesso la Corte territoriale che il danno subito dallo

divisi tra tutti coloro che hanno diritto al risarcimento»; e,
in base a siffatto criterio, lo Gnoni Mavarelli risultava aver
ricevuto il massimo di ristoro possibile in rapporto ai fondi
assegnati, nella stessa proporzione riconosciuta agli altri
danneggiati, con conseguente impossibilità di pretendere

5. Contro la sentenza della Corte d’appello di Perugia
propone ricorso Antonio Gnoni Mavarelli con atto affidato a sei
motivi.
Resiste la Provincia di Perugia con controricorso.
Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Occorre innanzitutto rilevare che – in conformità alla
precedente giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi
valida la procura al nuovo difensore della Provincia
controricorrente, rilasciata dal Presidente della medesima ed
autenticata dal Segretario generale della Provincia. La procura
alle liti, infatti, a norma dell’art. 83, secondo comma, cod.
proc. civ., può essere rilasciata anche con scrittura privata
.

autenticata, e l’art. 97, comma 4, lettera

c),

del decreto

legislativo 18 agosto 2000, n. 267, applicabile nella
fattispecie

ratione temporis,

prevede che il segretario possa

rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte ed
autenticare scritture private ed atti unilaterali
nell’interesse dell’ente. Per effetto di tale norma, quindi, il

ulteriori somme.

segretario comunale o provinciale è un pubblico ufficiale
autorizzato ad autenticare la sottoscrizione (a norma dell’art.
2703, primo comma, cod. civ.) della procura alle liti
rilasciata al difensore dell’Ente presso il quale esplica le
proprie funzioni (v. le sentenze 27 aprile 2006, n. 9687, non

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., per mancata
osservanza del principio stabilito dalle Sezioni Unite di
questa Corte nella sentenza n. 2024 del 2008.
Rileva il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe
stravolto il principio enunciato nella citata sentenza, secondo
cui la limitazione derivante dai mezzi finanziari non poteva
incidere sulla posizione di vantaggio assicurata al privato.

massimata, e 20 gennaio 2014, n. 986).

C

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. 8 della legge 27 dicembre 1977, n.
968, e della citata legge della Regione Umbria n. 39 del 1984.
Si osserva, al riguardo, che la normativa regionale
costituisce applicazione del principio di cui alla menzionata
norma statale, secondo cui la P.A. può provvedere alla
creazione di aree di ripopolamento e cattura di animali, ma
deve disporre il relativo risarcimento in favore
dell’agricoltore; né la situazione giuridica del danneggiato
«può essere condizionata dalla limitazione dei mezzi finanziari
dell’ente territoriale».
6

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e
falsa applicazione degli artt. 6, 24 e 26 della legge 27
dicembre 1977, n. 968, e degli artt. 2 e 3 della citata legge
della Regione Umbria n. 39 del 1984.
Si osserva, in proposito, che la normativa statale

cattura, ma non fa alcun riferimento al limite risarcitorio
costituito dai fondi annualmente destinati dalle Regioni;
sicché quanto affermato dalla sentenza impugnata sarebbe solo
una cattiva interpretazione della norma statale.
5. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione e
falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della citata legge della
Regione Umbria n. 39 del 1984, nella parte in cui prevede che i
danni indennizzabili nei territori protetti siano risarcibili
fino al 100 per cento, a differenza di quanto stabilito per i
territori non protetti.
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe
errato nel riconoscere l’esistenza di un limite al
risarcimento, perché la legge regionale in questione ha anzi
fissato il principio per cui il risarcimento nei territori
protetti deve essere pari al 100 per cento del danno subito.
6.

I primi quattro motivi di ricorso vanno trattati

congiuntamente in considerazione dell’intima connessione che li
collega, e sono tutti privi di fondamento.

7

autorizza le Regioni a predisporre piani di ripopolamento e

6.1. Occorre prendere le mosse dalla sentenza n. 2024 del
2008 delle Sezioni Unite di questa Corte, pronunciata nella
controversia oggi in esame. In quella pronuncia le Sezioni
Unite erano chiamate a decidere sul ricorso avverso la sentenza
6 marzo 2004 con la quale la Corte d’appello di Perugia aveva

Il ricorso, quindi, devolveva all’esame del giudice di
legittimità il solo profilo sul quale il giudice d’appello si
era in effetti pronunciato, ossia la giurisdizione. Ne consegue
che la sentenza con la quale le Sezioni Unite hanno cassato la
pronuncia d’appello e rinviato il giudizio alla medesima Corte
territoriale – come risulta dal provvedimento di correzione
dell’errore materiale consistente nell’indicazione della Corte
d’appello di Firenze come giudice di rinvio – è una sentenza
che fa stato esclusivamente sul punto all’esame del Supremo
Collegio, cioè la giurisdizione.
Da tale constatazione deriva che la frase risultante in
sentenza e riportata nel primo motivo dell’odierno ricorso secondo cui il richiamo della Provincia di Perugia al limite
costituito dai mezzi finanziari si risolverebbe «nel
riconoscimento di una inammissibile condizione di privilegio,
meramente soggettiva, del debitore» – va rettamente intesa per
quello che realmente rappresenta, e cioè un

obiter che nulla ha

a che vedere con l’oggetto del giudizio delle Sezioni Unite. t
appena il caso di rilevare, d’altronde, che la stessa sentenza
8

dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

delle Sezioni Unite ha precisato (punto 4 della motivazione)
che sulla domanda, avanzata dalla Provincia di Perugia, di
restituzione delle somme erogate si sarebbe potuto pronunciare
il giudice di rinvio, indicato appunto nella Corte d’appello di
Perugia; il che costituisce un’indiretta conferma del fatto che

di diritto nel senso della irripetibilità delle somme versate
dalla Provincia.
Da tanto deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
6.2. Bisogna procedere, a questo punto, all’esame della
legge della Regione Umbria 13 agosto 1984, n. 39, la quale,
benché abrogata dall’art. 12 della successiva legge della
Regione Umbria 20 agosto 1996, n. 23, è tuttavia applicabile
nella fattispecie

ratione temporis,

trattandosi di domande

risarcitorie relative agli anni 1985, 1986 e 1987.
L’art. 1 di detta legge esordisce stabilendo che la Regione
eroga «contributi a titolo di indennizzo per i danni provocati
dalla fauna selvatica (…) nei limiti e con le modalità previste
ai successivi articoli». L’uso del termine
sé, significativo; la legge non parla di

indennizzo è, di per

risarcimento, il che è

ovvio alla luce di quanto si dirà. I successivi artt. 2 e 3
regolano la misura dell’indennizzo, a seconda che il
danneggiamento

alle

colture

avvenga

«nelle

zone

di

ripopolamento e cattura» (art. 2) ovvero «negli ambiti
territoriali non soggetti a vincolo di protezione di cui
9

non vi era alcun giudicato né alcuna enunciazione di principio

all’art. 2» (art. 3); nel primo caso, infatti, i danni sono
indennizzabili «fino al 100 per cento della spesa ritenuta
ammissibile», mentre nel secondo caso l’art. 3 diversifica la
misura dell’indennizzo, disponendo che i danni al patrimonio
zootecnico sono indennizzabili fino al 100 per cento, e (comma

indennizzabili fino al 70 per cento in tutto il territorio
regionale», a condizione che interessino più del 20 per cento
del prodotto stimabile nelle colture interessate.
Nel caso specifico, non è in contestazione che le aree di
proprietà del ricorrente si trovavano in zona di ripopolamento
e cattura, come tale ricompresa nella previsione dell’art. 2
della legge regionale in esame.
Appare comunque senza ombra di dubbio – come correttamente
rilevato dalla Corte d’appello che la legislazione regionale
prevedeva un indennizzo non esattamente determinato a priori e
comunque stabilito entro un tetto massimo

(fino a), nei limiti

delle disponibilità del fondo all’uopo stabilito dalla Giunta
regionale (art. 9 della legge reg. in esame), ripartito tra le
Province di Perugia e Terni in ragione di tre quinti e due
quinti (art. 6, comma 2). Ne consegue che pretendere – come
oggi fa il ricorrente – di trarre dalle norme regionali
esaminate il principio per cui la Regione dovrebbe risarcire
l’intero danno, nella misura del 100 per cento, significa
interpretare la legge in un senso che non risponde né alla
10

4) i danni «alle colture agricole provocate dal cinghiale sono

chiarezza del testo, né al senso delle parole, né alla logica
complessiva del sistema.
6.3. L’interpretazione data dalla Corte d’appello – che, si
ripete, è l’unica possibile – è pienamente in armonia anche con
i principi dettati dalla legislazione statale.

norma ratione temporis applicabile nel caso in esame, disponeva
l’obbligo per le Regioni di costituire un fondo regionale per
fare fronte «ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alle
produzioni agricole dalla selvaggina e dalle attività
venatorie», prevedendo anche regole specifiche per la gestione
del fondo; e tale disposizione è sostanzialmente ribadita, con
diversità lessicali che non alterano la sostanza del precetto,
dall’art. 26, comma l, della legge 11 febbraio 1992, n. 157
(Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per
il prelievo venatorio), oggi vigente. Ora, il fatto stesso che
la legge preveda l’istituzione di un fondo, da ripartire con
criteri fissati dall’amministrazione regionale, dimostra in
modo pacifico che la responsabilità è limitata, a seconda
dell’entità dello stesso e del numero di domande di indennizzo
da liquidare.
D’altra parte, che questa sia la logica e corretta
interpretazione del sistema deriva anche dalla sentenza 29
novembre 2000, n. 1232, delle Sezioni Unite di questa Corte. In
quella pronuncia – che aveva ad oggetto l’esame di una legge di
11

Ed infatti l’art. 26 della legge 27 dicembre 1977, n. 968,

una diversa Regione (l’Emilia-Romagna) riguardante la medesima
materia – si è detto, fra l’altro, che le due norme statali
sopra menzionate, prevedendo l’obbligo di istituzione di un
fondo, prefigurano «un limite alla ristorabilità di tali danni,
rappresentato dall’entità degli istituendi fondi». Non occorre

soggettivo in ordine alla posizione del privato le cui colture
sono state danneggiate dalla fauna selvatica – punto confermato
pure dalla sentenza 10 maggio 2006, n. 10701, delle Sezioni
Unite, avente ad oggetto la medesima legge della Regione Umbria
oggi in esame – non implica anche il riconoscimento di un
diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito.
Ritiene il Collegio, infine, di dover svolgere alcune
ulteriori considerazioni.
Il fatto che il diritto all’indennizzo trovi un limite
nello stanziamento dei fondi previsto dalla Regione è coerente
con la semplice considerazione per cui la tutela della fauna
selvatica è un valore; in altre parole, non si è in presenza di
un risarcimento del danno da

fatto illecito,

bensì del

necessario bilanciamento tra interessi contrapposti entrambi
meritevoli di tutela: da un lato, quello della collettività al
ripopolamento faunistico e, dall’altro, quello dei coltivatori
alla preservazione delle loro attività. La legge regionale
umbra, in armonia con quella statale, tende a distribuire sulla
collettività l’onere di un danno che deriva da un’attività
12

dimenticare, poi, che il riconoscimento della natura di diritto

lecita, sicché sarebbe evidentemente illogico ipotizzare un
obbligo di risarcimento pieno ed integrale.
Ne consegue l’infondatezza dei motivi secondo, terzo e
quarto dell’odierno ricorso.
7.

Con il quinto motivo di ricorso si lamenta omessa

la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in considerazione una
serie di documenti richiamati, costituiti da delibere della
Provincia, da un atto di quietanza e da una lettera
dell’assessore alle finanze della Provincia dai quali
risulterebbe che la legge regionale citata ha operato una
distinzione tra ambiti protetti e ambiti liberi ai fini del
risarcimento dei danni.
8.

Con il sesto motivo di ricorso si lamenta omessa

motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto
la sentenza impugnata nulla avrebbe detto in ordine alla
domanda subordinata, già avanzata davanti al Tribunale, volta a
richiedere alla

Provincia

informazioni per

sapere

se

successivamente al 1985 fossero stati effettuati finanziamenti
per risarcimento danni da selvaggina, con riferimento ai
beneficiari degli stessi.
9. Il quinto ed il sesto motivo rimangono evidentemente
assorbiti dal rigetto dei precedenti.
10. In conclusione, il ricorso è rigettato.

13

motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto

A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
conformità ai soli parametri introdotti dal decreto
ministeriale 10 marzo 2014, n. 55 1 sopravvenuto a disciplinare
i compensi professionali.

La Corte

rigetta

il ricorso e

condanna

il ricorrente al

pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
complessivi euro 5.800, di cui euro 200 per spese, oltre spese
generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 17 luglio 2014.

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