Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22348 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. II, 06/09/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29214-2015 proposto da:

D.A.T. e D.M.G., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA VELLETRI n. 10, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE FULVIO SARZANA DI S. IPPOLITO, che le

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI BANZI, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ALFREDO PANZINI n. 66, presso lo studio

dell’avvocato SERENA DEGLI ALBIZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO BONITO OLIVA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 440/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 17/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/05/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato i 19.12.1994 D.A.D., D.M.G. e G.R. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Potenza il Comune di Banzi, invocando l’accertamento dell’irreversibile destinazione di una parte della proprietà delle attrici, che era stata occupata dall’ente locale convenuto per la realizzazione di un’opera pubblica e definitivamente asservita allo scopo, e la condanna del Comune al pagamento dell’indennità di occupazione ed al risarcimento del danno. Le attrici esponevano che l’occupazione si era realizzata in occasione di un più vasto esproprio finalizzato alla realizzazione della locale caserma dei Carabinieri e che una parte del loro fondo era stata irreversibilmente destinata a servizio dell’opera pubblica.

Si costituiva in giudizio il Comune resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 10112/06 il Tribunale accoglieva la domanda condannando il Comune al pagamento della somma di Euro 3.260,83 oltre rivalutazione ed interessi dal 12 luglio 1987 a titolo di risarcimento del danno e della somma di Euro 4.078,25 con interessi dal 12 luglio 1987 a titolo di indennità da occupazione d’urgenza.

Interponeva appello il Comune di Banzi depositando una certificazione della Regione Basilicata attestante che il terreno oggetto dell’occupazione costituiva bene demaniale di uso civico ed era stato arbitrariamente occupato dalle appellate.

Queste ultime si costituivano invocando il rigetto del gravame.

Nelle more del giudizio di secondo grado decedeva G.R. e la causa veniva riassunta dall’ente locale nei confronti delle odierne ricorrenti, eredi della defunta.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 440/2014, la Corte di Appello di Potenza accoglieva l’appello rigettando la domanda svolta dalle odierne ricorrenti e compensando tra le parti le spese del doppio grado. Riteneva in particolare la Corte potentina che la certificazione della Regione Basilicata prodotta dal Comune attestasse la natura demaniale del terreno oggetto di causa e quindi l’assenza del diritto di proprietà vantato sullo stesso dalle originarie attrici.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione D.A.D., D.M.G. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Banzi.

Le ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello avrebbe errato nell’ammettere il deposito del certificato regionale prodotto in seconde cure dal Comune appellante. Trattandosi di documentazione già disponibile sin dal principio del giudizio, infatti, l’ente locale avrebbe avuto l’onere di curarne la produzione tempestivamente, già in primo grado.

La censura è infondata.

La causa è stata introdotta con citazione del dicembre 1994, nella vigenza del testo dell’art. 345 c.p.c., antecedente all’entrata in vigore della L. n. 353 del 1990, che non poneva alcuna limitazione alla produzione di nuovi documenti in appello, salva l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., qualora il documento avrebbe potuto essere prodotto già in prime cure (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18488 del 25/08/2006, Rv. 593571; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 120 dei 07/01/2016, Rv. 638254; cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10654 del 04/06/2004, Rv. 573388).

Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 963,969 e 832 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte lucana avrebbe dovuto considerare che il suolo oggetto del giudizio ha perduto, per effetto delle opere di irreversibile destinazione compiute dal Comune di Banzi, la sua originaria vocazione agricola. Di conseguenza, essendo il livello un rapporto di natura affine all’enfiteusi, al caso di specie dovrebbero applicarsi le norme di cui agli artt. 963 e 969 c.c., con conseguente affrancazione di fatto del fondo, ed estinzione del rapporto di natura reale su di esso originariamente insistente, per effetto della mancata corresponsione del canone per oltre vent’anni. Inoltre, ad avviso delle ricorrenti la trasformazione del terreno per effetto delle opere eseguite dal Comune ne avrebbe causato la sdemanializzazione di fatto, con conseguente pieno diritto delle ricorrenti ad agire per il pagamento dell’indennità di occupazione e per il risarcimento del danno.

La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.

E’ infondata nella parte in cui le ricorrenti invocano l’applicazione delle norme previste in materia di enfiteusi, posto che nel caso di specie non si configura un diritto reale, ma piuttosto la natura demaniale del bene. La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto che la certificazione prodotta dal Comune in seconde cure attestasse “… che il bene compravenduto è bene demaniale di uso civico arbitrariamente occupato” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). La natura demaniale esclude, in linea di principio, la configurabilità di un diritto di proprietà in favore del privato, posta l’incommerciabilità e l’inusucapibilità dei beni immobili compresi nel demanio (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5835 del 12/11/1979, Rv. 402498). Non potendo configurarsi un diritto di proprietà in capo alle odierne ricorrenti, alle stesse non spetta evidentemente alcun indennizzo per l’occupazione realizzata dal Comune, nè alcun diritto a pretendere il risarcimento del danno.

La doglianza è invece inammissibile nella parte in cui introduce per la prima volta il tema della cd. sdemanializzazione di fatto del suolo, che non risulta esser mai stato sollevato nel corso del giudizio di merito. Nè le ricorrenti danno atto, nel corpo della censura, di aver proposto il tema in esame in precedenza. Sul punto, merita di essere riaffermato il principio secondo cui “qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, Rv. 627975).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento in favore del Comune di Banzi delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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