Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22348 del 05/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 05/08/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 05/08/2021), n.22348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16347-2020 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO PRATICO’;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1608/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA

ALDO ANGELO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- D.B., originario della terra senegalese, ha presentato ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale di Torino, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale, come pure della protezione umanitaria.

Con decreto emesso in data 19 marzo 2018, il Tribunale di Torino ha respinto il ricorso.

Avverso questo provvedimento il richiedente ha presentato appello avanti alla Corte di Torino. Che lo ha respinto con sentenza depositata il 3 ottobre 2019.

4.- Per quanto qui ancora viene in interesse, la Corte territoriale ha osservato che il riconoscimento della protezione umanitaria suppone la sussistenza di una “particolare condizione di vulnerabilità personale del richiedente, che deve essere valutata caso per caso”. Per escluderne la ricorrenza nel caso specificamente esaminato.

A questo riguardo, il provvedimento ha rilevato che, da sole, le attività lavorative, di formazione e di integrazione, che il richiedente abbia intrapreso, sono sì importanti, ma non possono costituire un presupposto sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Neppure possono essere considerati idonei al riguardo – ha continuato il provvedimento – i “patimenti (di cui non si dubita certo) subiti nel corso del viaggio migratorio”, quand’anche questi siano stati “particolarmente gravi”. Lo indicano – si è detto – delle “logiche motivazioni”: “e’ infatti pacifico che il rimpatrio del signor D. avverrebbe verso il suo Paese e non, al contrario, in Libia”.

3.- Avverso questo provvedimento ha presentato ricorso D.B., sviluppando un motivo di cassazione.

Il Ministero non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorso assume “violazione dell’art. 5 T.U.I., comma 6 e art. 8 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”.

La Corte territoriale ha errato – così si rileva – a non tenere in adeguato conto il rilevante percorso di integrazione in Italia che è stato sviluppato dal ricorrente. Questi è riuscito a maturare una discreta conoscenza della lingua italiana; ha partecipato, con interesse e profitto a tutti i progetti di aggregazione posti in essere nel Centro di accoglienza di Racconigi, ove risiede; ha instaurato un contratto di tirocinio durato un anno e che non è stato possibile rinnovare solo a causa della scadenza del permesso di soggiorno (pur se il datore di lavoro si è dichiarato disponibile, con apposita comunicazione scritta, ad assumere il richiedente con un contratto di “lunga durata”).

La Corte territoriale ha errato altresì – così si incalza – perché ha per principio pretermesso di esaminare le sofferenze subite dal richiedente nel corso del suo viaggio di migrazione e, in particolare, nell’ambito del suo transito in Libia. Purtuttavia, la “prolungata detenzione” nelle carceri di questo Paese – con i maltrattamenti, sfruttamenti e patimenti che ne conseguono ben possono risultare concreti fattori di vulnerabilità della persona che li subisce. Così come non è mancato di accadere per il caso specifico.

5.- Il ricorso è fondato e merita quindi di essere accolto.

5.1.- Ritenuto veritiero il racconto del richiedente circa la sua prolungata detenzione in Libia e circa le sofferenze che la hanno accompagnata, la Corte torinese ha tuttavia rifiutato di prendere in considerazione queste circostanze: adducendo, in proposito, il fatto che il Senegal – e non la Libia – è il Paese di eventuale rimpatrio del richiedente.

Così facendo, tuttavia, il giudice ha indebitamente mischiato e confuso i piani su cui, nel sistema vigente, vengono rispettivamente a porsi la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.

5.2.- In effetti, la protezione sussidiaria è istituto che – come indica in particolare la disposizione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) – ruota tutto attorno al “rischio effettivo di subire un grave danno” cui si troverebbe esposto il richiedente, ove “tornasse nel Paese di origine” (paese da identificare, in ragione del combinato disposto delle disposizioni del medesimo D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e n), con quello della cittadinanza attuale, e cioè quella esistente al tempo della presentazione della domanda di protezione, della persona del richiedente: cfr., da ultimo Cass., 3 marzo 2021, n. 5794, ove pure riferimenti ulteriori).

Per contro, la protezione umanitaria prescinde in sé dalla riserva relativa al Paese di origine (cfr. Cass., 3 luglio 2020, n. 13758): a seconda dei casi, questo può risultare, oppure no, rilevante (o anche rilevante solo limitatamente a certi aspetti della fattispecie: come avviene, per fare un esempio, nel caso di una malattia del richiedente non efficacemente curabile nel Paese di cui è cittadino).

Per l’umanitaria a contare in modo determinante e’, comunque, la situazione di vulnerabilità della persona del richiedente: la relativa figura normativa trovando il suo punto di riferimento di base nella clausola generale dei “seri motivi di carattere umanitario”, di cui all’art. 5 T.U.I., comma 6.

5.3.- Con specifico riferimento alle violenze e sofferenze subite nel paese di transito, questa Corte ha, del resto, già riconosciuto che le stesse sono potenzialmente idonee – quali accadimenti in grado di ingenerare situazioni di “traumaticità” – a incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass., 2 luglio 2020, n. 13565; Cass., 16 dicembre 2020, n. 28781).

6.- Il decreto impugnato va dunque cassato in relazione alla decisione sulla protezione umanitaria e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Torino, che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Torino, che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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