Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22347 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 15/10/2020), n.22347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28900-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.P., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE G. MAZZINI

11, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO GIORDANO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE ESCALAR,

giusta procura speciale Dott. Federico Rossi in Bologna rep. n.

72637 del 03/11/2014;

– resistente –

avverso la sentenza n. 58/2012 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 22/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato GIORDANO che ha chiesto

l’inamissibilità e in subordine il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 58/02/12, depositata il 22 ottobre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Emilia Romagna accolse parzialmente l’appello proposto dalla sig.ra B.P., quale erede di B.I.R. e di A.G., nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Ferrara, che aveva invece rigettato l’originario ricorso proposto da B.I.R. avverso avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno 1999, con il quale, in via induttiva, era stato rettificato in Lire 73.246.000 il reddito dichiarato da quest’ultimo.

La ripresa a tassazione della maggiore imposta ritenuta dovuta era giustificata sulla base di accertamento del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, fondato sulla percezione di somme provenienti da reato e qualificabili come “redditi diversi”.

Specificamente il B. era stato condannato dal Tribunale di Bologna per i reati di cui all’art. 646 c.p. e art. 2622 c.c., in relazione alla vendita di un appartamento sito in Cortina d’Ampezzo, appartenente alla società “Cà del carabiniere S.n.c.”, della quale era legale rappresentante.

L’Amministrazione finanziaria aveva contestato al B. la reale percezione del prezzo di vendita dell’appartamento in Lire 1.500.000.000 a fronte del prezzo dichiarato in sole Lire 500.000.000. La differenza incassata di Lire 1.000.000.000 rispetto all’importo dichiarato quale prezzo di vendita era stata quindi ripartita in due parti da Lire 500.000.000, la prima quale reddito di partecipazione nella società e la seconda, dello stesso importo, quale reddito diverso del B., che se ne era indebitamente appropriato in danno dell’altro socio.

Inoltre era stato oggetto di recupero a tassazione l’ulteriore somma di lire 70.000.000, relativamente all’incasso da parte del B. di assegno circolare di pari importo emesso dalla Cassa di Risparmio di Cento, su richiesta della società “Caterina S.r.l.”, ritenuto non giustificato dal contribuente.

La CTR, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva confermato la legittimità dell’accertamento limitatamente all’importo di Lire 70.000.000 quale compenso da lavoro autonomo, ritenendo priva di fondamento la giustificazione offerta dal B. secondo il quale detta somma costituiva oggetto di restituzione da parte dell’anzidetta società di prestito infruttifero effettuato dal B. medesimo, annullando le sanzioni, in quanto non trasmissibili agli eredi, a cui l’Ufficio aveva peraltro rinunciato, a seguito del decesso del B..

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

La sig.ra B.P., quale erede del destinatario dell’accertamento e della moglie A.G., deceduta nel corso del giudizio di merito, ha dichiarato di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la legittimità dell’accertamento impugnato quanto all’importo di Lire 500.000.000 quali redditi diversi, provento di reato. L’Amministrazione rileva come la sentenza impugnata, che nello svolgimento dell’argomentazione resa mostra di condividere in tesi l’imputazione, in alternativa all’imputazione a reddito non dichiarato dalla società, dell’intero importo (Lire 1.000.000.000) costituito dalla differenza tra somma incassata e prezzo dichiarato di vendita, a reddito diverso del socio che se ne era indebitamente appropriato, finisca poi inspiegabilmente con l’escludere la legittimità dell’imputazione a detta causale della minor somma di Lire 500.000.000 di cui all’accertamento impugnato.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione e/o falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove, in contrasto con le succitate norme in tema di accertamento presuntivo, la sentenza impugnata ha affermato che fosse onere dell’Amministrazione finanziaria fornire una “prova certa” dell’illecita percezione, escludendo la possibilità, a tali fine, di utilizzare le risultanze del processo penale, disciplinato da diverse regole e, nella specie, basato su testimonianze.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 o, comunque, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di decisione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nuova formulazione.

L’Amministrazione evidenzia che le presunzioni fatte valere nel giudizio tributario, ai fini della prova della percezione da parte del B. della somma ripresa a tassazione, emergevano da una serie di elementi, valorizzati nella sentenza penale di condanna del Tribunale di Bologna n. 157/06 dell’8 giugno 2006, prodotta agli atti del giudizio tributario (doc. n. 3 allegato alle controdeduzioni in appello dell’Ufficio), del tutto trascurati dalla CTR.

4. Sotto altro profilo, con il quarto motivo, la ricorrente Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e art. 35, comma 3, e degli artt. 112,115 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando l’erroneità della decisione impugnata, laddove, pur muovendo dalla premessa relativa al fatto che la statuizione del giudice penale avesse quantificato in Lire 1.100.000.000 la somma ricavata dal contribuente per la vendita del bene de quo, ha annullato in toto la ripresa a tassazione fondata su detta causale, mentre la natura del processo tributario quale giudizio di “impugnazione – merito” avrebbe dovuto portare la CTR a rideterminare la pretesa dell’Ufficio, nei limiti della somma ritenuta provata.

5. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente perchè tra loro connessi.

5.1. Essi sono fondati.

La statuizione della CTR, secondo cui “in tema di imposizione dei redditi, devesi accertare l’effettiva percezione, da parte del contribuente, di un reddito certo nel suo ammontare”, si pone in sè in contrasto con il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, per il quale “L’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione, salvo quanto stabilito dall’art. 39, possono essere desunte dalla dichiarazione stessa, dal confronto con le dichiarazioni relative agli anni precedenti e dai dati e dalla notizie di cui all’articolo precedente anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”.

5.2. La sentenza impugnata ha in tal modo aggravato l’onere probatorio incombente all’Ufficio di un quid pluris che, in relazione a quanto ulteriormente addotto dalla decisione impugnata, ove è dato leggere che “mentre al giudice penale è concesso di fondare il proprio convincimento sulla base delle deposizioni (…) di testi e su quanto, a suo giudizio, emerso dal dibattito in sede di giudizio, non altrettanto è consentito all’Ufficio che, in sede di accertamento di redditi che assume non dichiarati, deve fondare i propri provvedimenti su fatti certi che comprovino l’effettiva percezione del reddito da parte del contribuente”, finisce di fatto con l’identificarsi con la prova documentale che, riguardo a maggior reddito che s’identifica in provento di reato, costituisce dato contrario ad ogni regola di esperienza; ciò, peraltro, in un contesto espositivo in cui la stessa CTR, nel valutare, sul piano inferenziale, l’accertamento presuntivo dell’Ufficio, mostra di condividere in tesi che al contribuente potesse essere imputato l’intero importo, quale reddito diverso oggetto di appropriazione indebita, della differenza tra la maggiore somma incassata e quella dichiarata come prezzo di vendita dell’immobile.

5.3. La sentenza impugnata si pone quindi in contrasto col principio di diritto, più volte ribadito da questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 13 febbraio 2015, n. 2938; Cass. sez. 6-5, ord. 24 novembre 2017, n. 28174), secondo cui “Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva”, avendo la CTR escluso a priori che gli elementi di fatto emersi nel processo penale potessero essere valutati quali presunzioni dotate dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, idonee a fondare la legittimità dell’accertamento.

6. Il terzo motivo è del pari fondato in relazione alla censura articolata in relazione alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile, ratione temporis, alla presente controversia, relativa a ricorso per cassazione avverso sentenza della CTR dell’Emilia – Romagna, depositata il 22 ottobre 2012 (cfr. Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053).

L’Amministrazione fondatamente lamenta che la CTR ha del tutto omesso l’esame degli elementi di fatto indicati alle pagg. 15-16 del ricorso per cassazione, presi in considerazione dal giudice penale come idonei a riconoscere la responsabilità del B. per il delitto di appropriazione indebita, consistenti: a) nell’essere stato l’appartamento acquistato cinque anni prima al prezzo di Lire 800.000.000; b) nell’altrimenti inspiegabile comportamento del B. che non avrebbe riscontrato l’offerta dell’altro socio G. dell’acquisto della propria quota societaria al prezzo di Lire 750.000.000; c) nelle dichiarazioni degli agenti immobiliari sentiti come testi nel processo penale che hanno dichiarato di avere incardinato, su incarico del G., trattative commerciali sulla base di lire 1.500.000.000, non concretizzatesi per avere ceduto nel frattempo il B., all’insaputa dell’altro socio, l’immobile; d) nella vendita della mansarda, sita all’ultimo piano dello stesso fabbricato, avente valore inferiore rispetto all’immobile alienato dal B., al prezzo di Lire 1.100.000.000; e) nell’avere altro teste ( D.G., imprenditore edile) confermato di avere instaurato una trattativa con l’altro socio G. per il prezzo di vendita ritenuto “congruo” di Lire 1.500.000.000.

Si tratta di elementi fattuali il cui esame, in virtù della premessa della CTR già innanzi riconosciuta erronea in diritto, è stato del tutto omesso dalla CTR e che, ove opportunamente considerati, avrebbero certamente determinato un esito diverso, quanto meno parziale, della controversia.

7. In relazione a tale ultima osservazione, deve ritenersi meritevole di accoglimento, in quanto fondato, anche l’ultimo motivo di ricorso dell’Amministrazione finanziaria.

Premesso che non è esatta l’affermazione della CTR secondo cui il “giudice penale ha quantificato in Lire 1.100.000.000 la somma ricavata dal contribuente per la vendita del bene de quo”, avendo piuttosto la sentenza penale, in relazione all’elemento di comparazione della vendita della mansarda, affermato che “il prezzo effettivo di vendita dell’appartamento del secondo piano non potè essere inferiore a 1,1 miliardi di lire”, la CTR avrebbe dovuto, in ragione della natura del processo tributario come giudizio di impugnazione – merito (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 30 dicembre 2018, n. 27560; Cass. sez. 5, 19 settembre 2014, n. 19750), non limitarsi ad annullare integralmente la ripresa a titolo di reddito diverso, ma avrebbe dovuto se del caso rideterminarla nei limiti della prova ritenuta effettivamente raggiunta ((Lire 1.100.000.000 – 500.000.000): 2) sull’importo conseguito per effetto dell’appropriazione indebita in danno dell’altro socio.

8. La sentenza impugnata va dunque cassata nei limiti dell’accoglimento del ricorso dell’Amministrazione finanziaria, stante il giudicato interno formatosi, per effetto della mancata impugnazione della pronuncia sulla legittimità della ripresa a tassazione dell’assegno per Lire 70.000.000 quale compenso da lavoro autonomo e sulla non debenza delle sanzioni da parte dell’odierna resistente, quale erede del B., e la causa rimessa per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia – Romagna in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia – Romagna in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

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