Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22347 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. II, 06/09/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23409-2015 proposto da:

P.G., A.N., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 171, presso lo studio dell’avvocato

DONATO PIETRO MARE, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONIO

MURANO, VINCENZO PAOLINO;

– ricorrenti –

contro

D.M.G., in proprio e quale procuratrice generale della

Sig.ra C.M., elettivamente domiciliate in ROMA, V.G.P.DA

PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato OLGA GUGLIELMUCCI,

rappresentate e difese dall’avvocato DONATO TRAFICANTE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 242/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 01/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2019 dal Consigliere PICARONI ELISA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Melfi, con la sentenza n. 299 del 2004, aveva accolto la domanda proposta (nel 1988) dai coniugi C.M. – D.M.G. nei confronti di A.N. e di P.G. e condannò i convenuti i convenuti a pagare Euro 1.558,64 oltre interessi e rivalutazione monetaria a titolo di risarcimento dei danni subiti dagli immobili di proprietà dagli attori, nel corso dei lavori di ristrutturazione ex L. n. 219 del 1981, eseguiti dall’impresa A. con la direzione dei lavori del P..

Lo stesso Tribunale aveva accolto la domanda riconvenzionale dell’ A., che aveva chiesto il pagamento della somma di Euro 2.099,8 a titolo di accollo delle spese eccedenti il contributo per la ricostruzione ex L. n. 219 del 1981, con riferimento ai lavori eseguiti nell’edificio nel quale si trova l’appartamento di proprietà esclusiva degli attori.

2. La Corte d’appello di Potenza, con sentenza resa pubblica in data 1 luglio 2014, ha accolto parzialmente l’appello proposto da D.M.G. e C.M., rigettando per l’effetto la domanda riconvenzionale dell’ A. sul rilievo che non v’era prova che gli appellanti avessero dato incarico all’impresa A., nè era stato prodotto il verbale dell’assemblea condominiale che dimostrasse il contrario.

3. Per la cassazione della sentenza ricorrono A.N. e P.G. sulla base di tre motivi. Resistono con controricorso D.M.G. e C.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e si contesta che la Corte d’appello non avrebbe considerato la documentazione prodotta dalle parti dalla quale emergeva che i locali appartenenti a D.G. (capo condomino) e C.M. (condomino) rientravano nel comparto (OMISSIS) del Comune di “Rionero in Vulture e che i lavori eseguiti dall’impresa A. avevano riguardato entrambe le proprietà, come emergeva anche dalla relazione del CTU.

2. La doglianza, benchè prospettata come violazione di legge processuale, riguarda in realtà l’omessa valutazione e di prove documentali e della CTU, ed è inammissibile sotto il profilo strutturale.

2.1. Nel giudizio di cassazione la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., può essere prospettata solo se si alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (ex multis, Cass. 17/01/2019, n. 1229; Cass. 16/06/2014, n. 13690). Al di fuori di tale perimetro, il principio del libero convincimento che è posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (ex multis, Cass. 12/10/2017, 23940; Cass. 30/11/2016, n. 24434).

2.2. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, assurta ormai a “diritto vivente” (a partire da Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053), l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, consente di denunciare l’omesso esame di risultanze processuali che si traduca in omesso esame di un fatto storico decisivo, non essendo più ammessa la verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie. La parte che intenda far valere il suddetto vizio è onerata, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, di indicare nel ricorso il fatto storico del cui mancato esame ci si duole, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extra-testuale (emergente dagli atti processuali) da cui risulti la sua esistenza, nonchè il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e spiegarne, infine, la decisività, intesa come idoneità di incrinare la plausibilità delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata.

2.3. Nella fattispecie in oggetto si lamenta l’omesso esame di fatto decisivo assumendosi che la Corte d’appello avrebbe deciso senza tenere conto di una serie di documenti, il cui contenuto non è però riportato nel ricorso, sicchè neppure è possibile apprezzarne la decisività, e ciò rende in radice inammissibile la doglianza.

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 111 Cost., nonchè omesso esame di fatto decisivo, e si lamenta la carenza assoluta di motivazione. La Corte d’appello, che aveva rilevato la carenza di prova dell’affidamento dei lavori da parte del Catenacci, aveva trascurato di considerare la CTU e la documentazione “pubblica” (proveniente dal Comune) prodotta, oltre a non aver esaminato il fatto storico dell’avvenuta esecuzione dei lavori da cui era originario l’accollo di spesa oggetto della riconvenzionale, fatto storico che emergeva dalla CTU.

4. La doglianza è inammissibile sotto entrambi i profili evocati.

4.1. La ratio della decisione risiede nella rilevata mancanza di prova del conferimento dell’incarico per l’esecuzione dei lavori relativi alle parti di esclusiva proprietà del condomino Catenacci, e non dall’oggettiva esecuzione dei lavori, o dalla regolarità e completezza della documentazione occorrente per l’erogazione del contributo pubblico. A fronte di tale ratio decidendi, il ricorso non indica quale sarebbe la prova non esaminata dalla Corte d’appello in grado di incrinare la decisione, nè riporta i documenti ed i passaggi della CTU asseritamente decisivi, così rendendo impossibile l’esame della doglianza.

4.2. Neppure è configurabile la carenza assoluta di motivazione, denunciata con il richiamo all’art. 132 c.p.c., n. 4, che si verifica soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie (cfr. Sez U n. 8053 del 2014, citata).

5. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 112,91 e 92 c.p.c., e si contesta la mancata compensazione delle spese di lite, a fronte dell’accoglimento parziale dell’appello.

5.1. La doglianza è inammissibile.

Il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite., sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti fissati dalle tabelle vigenti (ex multis, Cass. 04/08/2017, n. 19613). Pertanto la statuizione adottata dalla Corte d’appello, che ha fatto applicazione del principio della soccombenza prevalente, non è sindacabile.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue al condanna dei ricorrenti alle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti in solido al pagamento della spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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