Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22346 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2020, (ud. 26/09/2019, dep. 15/10/2020), n.22346

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12451-2015 proposto da:

SAIA TRASPORTI in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO 32, presso lo STUDIO

MALENA & ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE

MASCOLO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLOSTATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 5994/2014 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

BRESCIA, depositata il 18/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato MASCOLO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto il

rigetto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 5994/14, depositatà il 18 novembre 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia- sezione staccata di Brescia – accolse l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della SAIA Trasporti S.p.A. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia, che aveva invece accolto il ricorso della società avverso il silenzio – rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso per IRAP versata per Euro 71.718,00 per l’anno d’imposta 2008, ritenuta dalla contribuente non dovuta.

La richiesta della contribuente, esercente attività di trasporto pubblico di passeggeri, era basata sul diritto, dalla medesima ritenuto sussistente, all’applicazione, nella determinazione della base imponibile IRAP, delle deduzioni introdotte dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 266, che aveva modificato il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a), n. 2, per effetto del quale è ammesso in deduzione, ai fini della determinazione della suddetta base imponibile, per i soggetti indicati allo stesso decreto, art. 3, comma 1, lett. da a) ad e), escluse le imprese operanti in concessione ed a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti, un importo forfettario su base annua per ciascun lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo d’imposta.

La CTR negò detto diritto, ritenendo sussistenti le condizioni di esclusione previste dalla citata norma.

Avverso la sentenza della CTR la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, taluni dei quali contenenti cumulativamente una pluralità di censure.

L’Agenzia delle Entrate ha dichiarato di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione.

Con atto depositato il 21 giugno 2019 ha dichiarato di costituirsi la S.I.A. – Società Italiana Autoservizi -, incorporante l’originaria ricorrente, depositando procura speciale rilasciata a nuovo difensore, avv. Michele Mascolo, in sostituzione dell’originario difensore avv. Massimo Malena, deceduto.

La società ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione d’inammissibilità dell’appello dell’Amministrazione finanziaria formulata dalla contribuente nelle proprie controdeduzioni all’avverso ricorso in appello.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia congiuntamente omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ponendo, nell’ambito dei diversi parametri normativi, la medesima questione.

La ricorrente deduce, infatti, al riguardo, che la sentenza impugnata, appiattendosi sull’interpretazione offerta dai documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria successivi all’originaria Circolare n. 61/E del 2007, non ha tenuto conto dei chiarimenti resi dal Governo italiano alla Commissione UE riguardo all’applicazione della norma, da intendersi quale interpretazione autentica della stessa, secondo cui lo scarno dato del succitato D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a), n. 2, doveva essere inteso nel senso che l’agevolazione doveva essere esclusa per le aziende operanti in regime di concessione traslativa e di tariffa remuneratoria.

L’avere la sentenza impugnata omesso detto esame, integra, secondo parte ricorrente, altresì il vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11 e del D.Lgs. n. 422 del 1997, artt. 6,7,18 e 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata si è limitata ad affermare, ai fini dell’esclusione della deduzione di cui al summenzionato art. 11, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. n. 446/1997, l’inquadramento del rapporto tra la Provincia di Brescia e la società consortile Trasporti Brescia Sud s.c.a.r.l., di cui faceva parte la SAIA Trasporti, nell’ambito della concessione e non già della species della concessione traslativa, laddove, peraltro, il rapporto tra le parti avrebbe dovuto essere correttamente definito come appalto di servizi.

Nel contesto espositivo dello stesso motivo analoghe considerazioni sono svolte dalla ricorrente congiuntamente in relazione al vizio di omesso esame di fatto controverso decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta ancora violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11 e del D.Lgs. n. 422 del 1997, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed ancora, sempre con riferimento al parametro da ultimo richiamato, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente quale causa di esclusione dall’applicazione dell’agevolazione la sussistenza di tariffa, non avendo considerato la CTR che, affinchè potesse dirsi sussistente detto requisito come causa di esclusione dall’applicazione del beneficio fiscale, esso doveva intendersi invero quale tariffa remuneratoria, ciò che avrebbe dovuto senz’altro escludersi nella fattispecie disciplinata dal contratto di servizio tra le parti, secondo il quale la remunerazione secondo tariffa doveva intendersi come parte, neppure preponderante, del corrispettivo convenuto quale controprestazione del servizio di trasporto pubblico locale reso dalla società.

5. Infine, con il quinto motivo la ricorrente, in relazione alla ritenuta sussistenza da parte della decisione impugnata delle condizioni di esclusione dell’applicazione dell’agevolazione, ripropone le medesime considerazioni secondo cui la sentenza impugnata, nella parte in cui non ha qualificato il contratto intercorso tra le parti come appalto di servizi, è da ritenersi illegittima, per motivazione illogica, contraddittoria ed insufficiente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora, anche nel vigore della formulazione attuale della norma applicabile ratione temporis al presente giudizio, essa debba intendersi come ugualmente preposta a consentire il relativo sindacato alla Corte sul piano della carenza motivazionale della decisione impugnata.

6. Il primo motivo è inammissibile.

6.1. Anche laddove sia denunciato un error in procedendo, “L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale” (cfr., tra le altre, Cass. sez. lav. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. sez. 5, 30 settembre 2015, n. 19140).

Specificamente, in relazione alla censura di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, questa Corte ha

ancora di recente (cfr. Cass. sez. 5, ord. 29 settembre 2017, n. 22880) affermato che, affinchè sia soddisfatto il requisito di autosufficienza, occorre che il ricorso indichi il contenuto del ricorso in appello con riferimento a quello della sentenza di primo grado che s’intenda censurare.

Sotto tale profilo, il primo motivo di ricorso risulta del tutto carente. 6.2. Infine, sempre in relazione al primo motivo, giova ribadire che, in tema di specificità dei motivi di appello questa Corte ha più volte affermato che nel processo tributario, stante il carattere devolutivo pieno dell’appello volto ad ottenere il riesame della causa nel merito, l’onere di impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 non impone all’appellante di porre nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione rispetto a quelli già respinti dal giudice di primo grado (cfr., tra le molte, con specifico riferimento all’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria che richiami le proprie controdeduzioni svolte in primo grado a conferma della legittimità del proprio operato, Cass. sez. 5, 29 febbraio 2012, n. 3064), specie ove le questioni che formano oggetto del giudizio siano di mero diritto (cfr., più di recente, Cass. sez. 5, ord. 19 dicembre 2018, n. 32838).

Il primo motivo di ricorso va pertanto disatteso.

7. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, in ciascuno dei quali sono formulati congiuntamente dalla ricorrente ordini diversi di censure, sono comunque formulati in modo tale da consentirne l’esame autonomo (cfr. Cass. SU 6 maggio 2015, n. 9100).

7.1. Essi sono fondati nei limiti delle denunciate violazioni o false applicazioni delle norme di diritto di cui alle rispettive rubriche.

La sentenza impugnata, invero senza alcun riferimento, in parte qua, alle clausole del contratto di servizio stipulato tra la Provincia di Brescia e la società consortile cui aderiva l’originaria ricorrente, ha qualificato il rapporto in termini di concessione.

Ciò è di per sè inidoneo ad accertare l’esistenza della prima condizione di esclusione dal vantaggio fiscale previsto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 2, nn. 2 e 4.

7.2. In relazione ad un primo profilo, infatti, deve rilevarsi che il contratto in oggetto è un contratto di servizio ai sensi del D.Lgs. n. 422 del 1997, artt. 18 e 19, il quale, ove conforme allo schema legale tipico, va configurato come appalto di pubblici servizi, come statuito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato sez. 5, 21 giugno 2018, n. 3822; Cons. Stato sez. 5, 7 febbraio 2012, n. 645) e come, sia pure riguardo a fattispecie concernente imposta di registro, riconosciuto da questa stessa Suprema Corte (cfr. Cass. sez. 5, 22 ottobre 2014, n. 22425), dovendo individuarsi il discrimen tra concessione ed appalto di servizi, secondo quanto osservato dalla giurisprudenza sovranazionale, nella circostanza che “per poter ritenere sussistente una concessione di servizi è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca il rischio di gestione che essa corre a carico completo, o, almeno, significativo, al concessionario” (cfr. Corte di Giustizia 10 settembre 2009, causa C206/08, par. 77).

Dette disposizioni hanno carattere cogente, di modo che spetta all’Amministrazione che ne assuma la divergenza rispetto al modello legale tipico darne la prova.

7.3. Peraltro, la sentenza impugnata è in sè erronea anche in relazione all’ulteriore denunciato profilo, nella parte in cui ha ritenuto sufficiente, ai fini del rilievo dell’esclusione della società dal vantaggio fiscale relativo alla determinazione della base imponibile dell’IRAP, la sussistenza di un mero rapporto concessorio e non della concessione traslativa, tale ultima essendo quella caratterizzata dal trasferimento al concessionario di poteri propri ed originari della pubblica amministrazione da esercitare in nome e per conto dell’amministrazione concedente; la necessità dell’esistenza di concessione traslativa essendo stata, peraltro, confermata in principio dalla stessa Amministrazione finanziaria con la circolare n. 61/E del 19 novembre 2007, in sintonia con l’interpretazione della norma conseguita allo scambio d’informazioni tra Italia e Commissione Europea, che aveva portato quest’ultima a ritenere, con la decisione 12 settembre 2007, C (2007), 4133, def. (su cui, più in dettaglio, si veda, infra, par. 9) la disciplina in oggetto compatibile con il diritto Europeo.

8. Devono invece ritenersi inammissibili il secondo ed il terzo motivo, nella parte in cui le doglianze della ricorrente risultano formulate relativamente all’omesso esame, da parte della CTR, delle ragioni prospettate dalla contribuente in merito alla natura del rapporto, alla luce dello scambio informativo tra lo Stato italiano e la Commissione UE relativamente all’area applicativa del beneficio fiscale, da intendersi come omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua ultima formulazione, applicabile, ratione temporis, al presente giudizio.

8.1. Come già osservato da questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 28 novembre 2018, n. 30768; Cass. sez. 5, 16 febbraio 2018, n. 3797), in relazione a controversia similare ed in relazione ad analoga formulazione in parte qua dei motivi di ricorso, l’omissione di cui parte ricorrente si duole (omesso esame della sopra indicata “interpretazione autentica”) non può essere ricondotta all’ambito del “fatto storico”, cui solo (cfr., per tutte, Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053) deve intendersi riferito l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; non senza considerare ancora che l’interpretazione autentica della norma quale desumibile dalla scambio informativo tra Stato italiano e Commissione UE non può certo riferirsi al caso concreto, lasciando libero l’interprete di valutare la ricorrenza o meno dei requisiti dell’agevolazione nel caso singolo, come la CTR ha fatto nel caso di specie.

9. E’ ancora fondato il quarto motivo di ricorso, con il quale la ricorrente lamenta l’insufficienza, ai fini del riconoscimento da parte della CTR della legittimità dell’esclusione della società dall’applicazione del beneficio, del mero riferimento del sistema a “tariffa”, con conseguente erronea interpretazione da parte del giudice tributario d’appello della norma indicata in rubrica.

9.1. Quanto esposto al riguardo dalla sentenza impugnata, attraverso un richiamo peraltro del tutto parziale alle clausole riguardanti l’obbligo del gestore di applicare le politiche tariffarie di cui alla richiamata delibera di Giunta provinciale, è di per sè assolutamente insufficiente a dar conto della natura remunerativa della tariffa, che si pone come condizione cumulativa, in uno alla natura di concessione traslativa del rapporto, ai fini dell’esclusione del vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile IRAP di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a) nn. 2 e 4, nella formulazione applicabile ratione temporis; dovendo intendersi per tariffa remunerativa – come chiarito anche dalla già citata circolare n. 61/E del 2007 – il prezzo fissato o regolamentato dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare l’equilibrio economico finanziario dell’investimento e della connessa gestione. Ciò alla stregua della pur già citata decisione della Commissione Europea 12 settembre 2007, C (2007), 4133, def.), che, nel riconoscere la legittimità dell’esclusione del beneficio fiscale nel ricorrere delle anzidette condizioni, prendeva atto (p. 33), che “le autorità italiane hanno giustificato l’esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell’onere IRAP prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura”, avendo la Commissione riconosciuto che “i pubblici servizi interessati sono soltanto quelli operanti in settori nei quali si tiene già interamente conto dell’onere fiscale nella determinazione della tariffa”.

9.2. La Commissione, al successivo p. 34, prendeva altresì atto dell’impegno delle autorità italiane a far sì che l’esclusione non determinasse nè vantaggi, nè svantaggi per i pubblici servizi, continuando i costi fiscali ad essere presi in considerazione, negando quindi che la misura potesse costituire aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune, ai sensi dell’allora art. 87, p. 1, del Trattato CE.

9.3. Questa Corte, con ordinanza pubblicata nelle more del deposito della presente decisione (cfr. Cass. sez. 5, ord. 12 dicembre 2019, n. 32633), ha evidenziato come la necessità d’intendere il criterio normativo della “tariffa” come “tariffa remunerativa”, cioè capace di generare un profitto, sia coerente con la ratio giustificatrice del c.d. cuneo fiscale, osservando che “consentire, indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire delle deduzioni IRAP darebbe luogo a un utile insperato, genererebbe cioè quella sovracompensazione (secondo la terminologia dell’Amministrazione finanziaria) capace di frustrare l’obiettivo perseguito dall’autorità di regolamentazione con la fissazione delle tariffe; per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato”.

Detto orientamento va in questa sede ulteriormente ribadito, così come il principio di diritto dalla stessa espresso, secondo cui “Il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata in applicazione delle deduzioni introdotte dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 266 (c.d. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge Finanziaria 2007), che ha modificato il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, non si applica alle imprese che svolgono attività “regolamentata” (cosiddette public utilities), in forza di una “concessione traslativa” e a “tariffa”, intendendosi per “tariffa” una “tariffa remunerativa”, capace di generare un profitto”.

9.4. A ciò consegue l’accoglimento anche del motivo in esame, avendo la CTR ritenuto legittima l’esclusione dell’azienda di trasporto locale dal vantaggio fiscale senza accertare se il corrispettivo del servizio, ritenuto a tariffa, fosse in concreto idoneo ad attribuire alla società un margine di profitto.

10. Alla luce delle considerazioni sopra espresse resta assorbito il quinto motivo.

11. Il ricorso della società va pertanto accolto nei termini di cui alla motivazione che precede e, per l’effetto, la sentenza impugnata cassata in accoglimento dei motivi secondo e terzo, nei limiti innanzi precisati e del quarto, dichiarato invece inammissibile il primo motivo ed assorbito il quinto.

12. La causa va pertanto rinviata per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale della Lombardia – sezione staccata di Brescia – in diversa composizione che, nell’uniformarsi ai principi di diritto sopra indicati, provvederà anche in ordine alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia – sezione staccata di Brescia – in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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