Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22345 del 22/10/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 22345 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA
sul ricorso 3015-2011 proposto da:
GHISLANZONI EZIO GHSZEI65E13H501D, PIZZOCOLO ANDREINA
PZZNDR54D67H501W, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CRISTOFORO COLOMBO 440, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO TASSONI, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FRANCO TASSONI giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

LLOYD ADRIATICO SPA , CROCIANI CECILIA, ALLIANZ SPA
05032630963;

1

Data pubblicazione: 22/10/2014

- intimate –

Nonché da:
ALLIANZ

SPA

05032630963,

in persona

del

suo

Procuratore Dott. FRANCO COVI STOLFA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TEULADA 52, presso lo studio

difende giusta orocura a margine del controricorso e
ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale contro

PIZZOCOLO ANDREINA PZZNDR54D67H501W, LLOYD ADRIATICO
SPA , GHISLANZONI EZIO GHSZEI65E13H501D, CROCIANI
CECILIA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 3674/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/09/2010 R.G.N.
2845/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/07/2014 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato FRANCESCO TASSONI;
udito l’Avvocato PATRIZIA MARINO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per la cessata materia del contendere dal 3 0 al 6 °
motivo, inammissibilita’ in subordine rigetto del 10

2

dell’avvocato ANGELO SCARPA, che la rappresenta e

e 2 ° motivo.

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 21 maggio 1999 Giovanni Conti convenne
innanzi al Tribunale di Roma Andreina Pizzocolo ed Ezio
Ghislanzoni chiedendone la condanna al pagamento in suo favore
della somma di lire 54.245.049, oltre interessi, perché, quali

redditi per gli anni di imposta fino al 1990, al fine di ottenere
il condono fiscale, erano incorsi in errore “per difetto di
interpretazione della norma”, di talché la sua richiesta di
condono era stata rigettata dal competente ufficio distrettuale
delle imposte dirette e il ricorso proposto avverso tale decisione
era stato respinto dalla Commissione Tributaria. Per effetto di
tanto – espose – egli aveva pagato al Ministero delle Finanze la
somma di lire 28.759.000, rimborsatagli dalla società
assicuratrice Lloyyd Adriatico s.p.a., a seguito di denuncia dei
consulenti fiscali, che avevano riconosciuto il proprio errore.
Peraltro successivamente, e in dipendenza dei medesimi fatti, gli
era stata notificata altra cartella esattoriale, in relazione alla
quale egli aveva pagato l’importo di cui ora veniva a chiedere il
rimborso alla controparte, insieme al risarcimento degli ulteriori
danni subiti.
Resistettero i convenuti, segnatamente eccependo l’inammissibilità
della domanda per avere il Conti sottoscritto, in occasione del
rimborso della somma di lire 28.759.000, una transazione relativa
ad ogni diritto o pretesa maturata in dipendenza dell’errore
3 bi

professionisti da lui incaricati di redigere la dichiarazione dei

asseritamente da essi commesso. In subordine chiesero il rigetto
delle avverse pretese, per essere le lacune e le omissioni
riscontrate nella dichiarazione integrativa conseguenza delle
errate e insufficienti informazioni fornite dall’attore medesimo.
I convenuti instarono anche per la chiamata in causa di Lloyd

pretese, domandando, in via riconvenzionale, di condannare
chiamanti a rifonderle la somma già corrisposta al Conti per
asserita inefficacia della polizza all’epoca del sinistro.
Con sentenza del 28 aprile 2003 il giudice adito condannò Andreina
Pizzocolo ed Ezio Ghislanzoni a corrispondere a Giovanni Conti la
somma di euro 28.015,23, oltre interessi e spese di causa; rigettò
la riconvenzionale spiegata dalla società assicuratrice,
condannandola altresì a tenere indenni gli assicurati di quanto
gli stessi sarebbero andati a corrispondere all’attore per effetto
della medesima pronuncia.
La decisione, impugnata

hinc et inde

con gravame principale da

Lloyd Adriatico s.p.a. e incidentale da Andreina Pizzocolo ed Ezio
Ghislanzoni, è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello
che ha rigettato la domanda di manleva spiegata dai convenuti nei
confronti della società assicuratrice; ha accolto la
riconvenzionale proposta dalla stessa, per l’effetto condannando
gli assicurati al pagamento, in favore dell’assicuratore, della
somma di euro 14.852,78, con gli interessi legali dalla domanda
nonché alla rifusione delle spese di entrambi i gradi in favore di
4

Adriatico s.p.a., la quale, costituitasi, contestò le avverse

Cecilia Crociani, in proprio e quale genitore esercente la potestà
sulla figlia Elisabetta Conti, eredi di Giovanni Conti.
Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione
Andreina Pizzocolo ed Ezio Ghislanzoni, formulando sei motivi e
notificando l’atto a Lloyd Adriatico s.p.a. e a Cecilia Crociani,

Ha resistito con controricorso Allianz s.p.a., nuova denominazione
assunta da R.A.S. s.p.a., conferitaria dell’azienda assicurativa
di Lloyd Adriatico s.p.a., che ha proposto altresì ricorso
incidentale affidato a un solo mezzo, mentre nessuna attività
difensiva hanno svolto gli altri intimati.
Prima dell’udienza di discussione il difensore della società
assicurativa ha depositato una proposta transattiva, accettata
dalla controparte, e debitamente sottoscritta, con contestuale
rinuncia di Andreina Pizzocolo e di Ezio Ghislanzoni ai motivi 3,
4, 5 e 6 del ricorso principale e, reciprocamente, di Allianz, a
tutti i motivi del ricorso incidentale.
I ricorrenti, dal canto loro, hanno dato atto, con autonoma
memoria, dell’intervenuta cessazione della materia del contendere
sui punti della sentenza impugnata attinti dalle critiche innanzi
indicate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l I ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza sono

stati riuniti ex art. 335 cod. proc. civ.

5

in proprio e nella qualità.

L’accordo

raggiunto

dalle

parti

impone

di

dichiarare

l’inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dei
motivi 3, 4, 5 e 6 del ricorso principale nonché del ricorso
incidentale di Allianz.
Restano da esaminare il primo e il secondo motivo del ricorso

2.1

Con il primo mezzo gli impugnanti denunciano violazione

dell’art. 342 cod. proc. civ. nonché vizi motivazionali,

ex art.

360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., con riferimento alla ritenuta
aspecificità del secondo motivo dell’appello incidentale. Assumono
che il giudice di merito non avrebbe posto a confronto le
decidendi

rationes

sottese alla scelta decisoria operata dal giudice di

prime cure con il concreto contenuto delle censure articolate sul
punto in sede di gravame, così pervenendo a una statuizione di
inammissibilità meramente assertiva. In realtà il motivo si basava
sulla pendenza della lite tributaria e sul carattere ampiamente
definitorio della dichiarazione negoziale, testualmente riportata
in ricorso. Esso era, pertanto, assolutamente idoneo a confutare
la decisione impugnata, laddove, secondo il giudice di merito, gli
appellanti non avevano spiegato per quale ragione l’atto
sottoscritto dal Conti avrebbe dovuto avere natura transattiva e
non di mera quietanza.
2.2

Con il secondo motivo gli esponenti tornano a lamentare

violazione

dell’art.

342

cod.

proc.

civ.

nonché

vizi

motivazionali, ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., in
6

principale.

relazione alla ritenuta aspecificità anche del terzo motivo
dell’appello incidentale. Sostengono che essi non si erano affatto
limitati a ribadire che la loro responsabilità professionale era
stata erroneamente ritenuta pacifica dal giudice di prime cure,
senza esplicitarne le ragioni, ma avevano stigmatizzato lo schema

loro tesi difensiva dopo avere respinto le richieste istruttorie
dirette a supportarla.
3 Le critiche si prestano a essere esaminate congiuntamente perché

entrambe non superano il preventivo vaglio di ammissibilità.
Con specifico riguardo a quelle svolte nel primo motivo, si
ricorda che la regola

tantum devolutum quantum appellatum

impone

che l’indagine, in sede di gravame, resti circoscritta alle sole
questioni dedotte dall’appellante, risultando lo stesso onerato
dell’enunciazione di motivi specifici. Invero l’appello non è un
mezzo di gravame con

carattere

devolutivo pieno, operando il

principio della necessaria specificità dei motivi, previsto
dall’art. 342 cod. proc. civ.. A tali effetti, pur prescindendo da
qualsiasi particolare rigore formale, occorre comunque che al
giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e
di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in
relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati,
oltre ai punti e ai capi impugnati, anche, seppure in forma
succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia
di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in
7

procedimentale e decisorio del Tribunale che aveva disatteso la

modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la
portata delle relative censure (confr. Cass. civ. 11 ottobre 2006,
n. 21745). In particolare, affinché un capo di sentenza possa
ritenersi validamente impugnato non è sufficiente che nell’atto
d’appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è

contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con
espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento
logico-giuridico. Ne consegue che deve ritenersi passato in
giudicato il capo della sentenza di primo grado in merito al quale
l’atto d’appello si limiti a manifestare generiche perplessità,
senza svolgere alcuna argomentazione idonea a confutarne il
fondamento. (Cass. civ. sez. un. 9 novembre 2011, n. 23299).
4 Tanto premesso e precisato, prima di ogni altra considerazione,

va evidenziato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il
principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e
deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato
al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che
tale interpretazione abbia riguardato la non corrispondenza
dell’atto al modello normativo ovvero determinato un vizio
riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra
• il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) o a quello
del

tantum devolutum quantum appellatum,

trattandosi, in casi

siffatti, della denuncia di un error in procedendo che attribuisce
alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere
8

necessario che sia contenuta una parte argomentativa che,

direttamente

all’esame

e

all’interpretazione

degli

atti

processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle
parti (cfr. Cass. n. 11755/2004; n. 17109/2009).
Tuttavia, anche in ipotesi di denuncia di un error in procedendo,
l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di

comunque, l’ammissibilità del motivo di censura, cosicché il
ricorrente è tenuto a corredare le critiche del contenuto
espositivo imposto dall’ossequio al principio di specificità ed
autosufficienza del ricorso (cfr.,

ex plurimis,

Cass., nn.

5148/2003; 20405/2006; 21621/2007).
E invero le Sezioni Unite di questa Corte, intervenendo
sull’esegesi del diverso onere di cui all’art. 369 comma 2, n. 4
cod. proc. civ., hanno confermato, anche per gli atti processuali,
l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità

ex

art. 366, n. 6, cod. proc. civ., del contenuto degli atti e dei
documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari
al loro reperimento (cfr. Cass. civ. sez un. 3 novembre 2011 n.
22726) e, con più specifico riferimento alla deduzione dell’error
in procedendo,

hanno, altresì, puntualizzato che il giudice di

legittimità è investito del potere di esaminare direttamente gli
atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la
censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle
regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in
particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt.
9

merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone,

366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc.
civ.) (cfr. Cass. civ. sez. un. 22 maggio 2012, n. 8077).
5

Da quanto sopra discende innanzitutto che è erronea

l’individuazione della tipologia di vizio di cui all’art. 360 n. 5
cod. proc. civ., richiamato in entrambi i motivi, perché questo

incidere decisivamente sul giudizio di merito, mentre

l’error in

procedendo è denunciabile ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod.
proc. civ.. Invero la conformità della decisione alle norme
giuridiche

può sussistere indipendentemente dalla compiutezza e

dall’ortodossia della motivazione in diritto, giacchè a
quest’ultimo riguardo opera il potere correttivo di cui all’art.
384 cod. proc. civ., potendo la Corte di cassazione procedere alla
correzione della motivazione della sentenza impugnata anche in
presenza di errori

in procedendo

(cfr. Cass. civ. 14 marzo 2001,

n. 3671).
6 Con riferimento poi ai denunciati vizi di violazione di legge,
la compiuta ottemperanza al criterio dell’autosufficienza del
ricorso per cassazione, innanzi richiamato, esigeva, quanto al
primo motivo, che venissero riportati I

punti sensibili

della

motivazione del Tribunale, piuttosto che la sintesi espositiva
fattane dalla Corte territoriale, perché l’eventuale erroneità del
giudizio di aspecificità delle argomentazioni svolte in sede di
gravame per contestare

quella decisione poteva emergere solo dal

raffronto tra le ragioni addotte dal decidente di prime cure a
10

riguarda il difetto di esposizione delle ragioni di fatto atte ad

sostegno della scelta decisoria operata e le critiche formulate
dall’appellante. Il non averlo fatto, connota peraltro in termini
di genericità le stesse doglianze qui avanzate, in linea con
quella consolidata elaborazione giurisprudenziale secondo cui
l’onere della parte di rispettare il principio di autosufficienza

corollario del requisito di specificità dei motivi di
impugnazione.
7 Del pari, relativamente al secondo mezzo, sempre in ottemperanza

agli oneri imposti dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc.
civ. lo scrutinio sollecitato dai ricorrenti andava corredato non
solo delle argomentazioni svolte dal giudice di prime cure a
sostegno della ritenuta pacificità dell’errore professionale dei
convenuti e delle ragioni del diniego della prova orale volta a
contestarla, ma anche del contenuto della stessa, della esatta
allocazione nel fascicolo processuale degli atti in cui era stata
dedotta e delle argomentazioni svolte in sede di gravame per
criticare lo schema decisorio del Tribunale.
In definitiva,

anche

i motivi di

ricorso sopravvissuti

all’intervenuta cessazione della materia del contendere devono
essere dichiarati inammissibili.
L’esito complessivo del giudizio consiglia di compensare
integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.

11

del ricorso per cassazione costituisce null’altro che il

La Corte,

pronunciando sui ricorsi riuniti,

inammissibili,

li dichiara

nei sensi di cui in motivazione;

compensa

integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Roma, 17 luglio 2014

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