Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22345 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 03/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 03/11/2016), n.22345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15608/2015 proposto da:

L.R.G., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SANTI

ASSINNATO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI, giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1783/2014 del TRIBUNALE di VELLETRI del

23/12/2014, depositata il 23/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI difensore del controricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1 – La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, condivisa dal collegio.

2 – Con ricorso del 17/10/2013, L.R.G., presentava istanza per accertamento tecnico preventivo, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., per la verifica della condizione di persona handicappata in situazione di gravità ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 3. Il c.t.u. officiato escludeva la sussistenza di tale condizione. Il ricorrente, manifestato il proprio dissenso, proponeva ricorso in base all’art. 445 bis c.p.c., comma 6. Il Tribunale di Velletri, con sentenza del 23/12/2014, respingeva il ricorso. Con la stessa sentenza il Giudice poneva a carico del ricorrente le spese processuali e quelle di c.t.u. ritenendo che il soccombente, sulla base della dichiarazione formulata, non potesse beneficiare dell’esenzione ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c..

Con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., L.R.G. impugna la sentenza emessa ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 7, limitatamente alla statuizione sulle spese.

L’I.N.P.S. resiste con controricorso.

Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Con il motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione degli artt. 96 e 152 c.p.c., nonchè del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 76, 77 e 92. Lamenta che la Corte territoriale, nonostante la parte avesse presentato rituale dichiarazione ai fini dell’esonero dalle spese (dichiarazione da cui risultava l’esistenza di un familiare convivente e quindi la possibilità di avvalersi della maggiorazione del tetto massimo fissato per l’esonero in ragione di tale condizione), abbia ritenuto inapplicabile il beneficio dell’esenzione.

4 – Il ricorso è ammissibile sulla scorta di quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr. Cass. n. 6084/14, cui si rinvia in parte qua), perchè, là dove statuisce sulle spese, costituisce un provvedimento definitivo, di carattere decisorio, che incide indubbiamente sui diritti patrimoniali e che è non soggetto ad impugnazione in altre sedi.

5 – Il ricorso è, altresì, manifestamente fondato.

Si premette che il ricorrente ha ritualmente richiamato oltre che riprodotto nelle parti essenziali a sostenere la censura la dichiarazione ex art. 152 c.p.c., a suo tempo presentata e che la questione posta, lungi dall’implicare (come sostenuto dal controricorrente) un inammissibile rivisitazione del merito della causa (con riguardo alla valutazione del contenuto della dichiarazione suddetta), si incentra sulla ritenuta violazione delle norme di legge denunciate ed in particolare del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 76, 77 e 92, che, a dire del ricorrente, avrebbero inciso sulla determinazione del tetto massimo fissato per l’esonero dalle spese processuali di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c..

Come è noto, l’art. 152 disp. att. c.p.c., è stato radicalmente trasformato alla stregua del canone oggettivo consistente nella capacità reddituale dell’assistibile. In particolare, il D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, conv. in L. n. 326 del 2003, ha sancito che: “Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall’art. 96 c.p.c., comma 1, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPET, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi dell’art. 76, commi da 1 a 3, e art. 77 del T.U. testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115”. Il rinvio operato dalla norma è, dunque, alla legge sul gratuito patrocinio a spese dello Stato, nei giudizi sia civili che penali. L’art. 76, comma 1, del t.u. citato indica la soglia del reddito (l’importo è stato, nel tempo, aggiornato dal D.M. 29 dicembre 2005, art. unico, comma 1, D.M. 20 gennaio 2009, art. unico, comma 1, D.M. 2 luglio 2012, art. unico, comma 1, D.M. 1 aprile 2014, art. unico, comma 1 e, successivamente, dal D.M. 7 maggio 2015, art. unico, comma 1). Alla data di presentazione del ricorso per accertamento tecnico preventivo) in questione (17/10/2013) l’importo da prendere in considerazione era quello di cui al D.M. 2 luglio 2012, che aveva fissato la soglia di 10.766,33 Euro. Così, secondo la disciplina ratione temporis applicabile, l’esenzione dal pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza, tutelava gli assistibili titolari di un reddito personale annuo non superiore a 21.532,66 Euro (due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi dell’art. 76, comma 1). Tuttavia va considerato che l’art. 76, comma 2, pure richiamato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, conv. in L. n. 326 del 2003, prevede che: “Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante”. Medesimo D.P.R. n. 115 del 2002, art. 92, sancisce che “i limiti di reddito indicati dall’art. 76, comma 1, sono elevati di Euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi”.

Così, qualora il richiedente conviva con il coniuge ovvero con altri familiari, la soglia reddituale complessiva di accesso resta individuata nella somma dei singoli redditi dei conviventi, compreso l’istante, ma i limiti di reddito sono elevati nella misura indicata nell’art. 92 del citato o D.P.R. per ognuno dei familiari conviventi (cfr., per il principio affermato in materia di gratuito patrocinio, Cass. 11 giugno 2012, n. 9473).

Nella fattispecie in esame dalla dichiarazione ai sensi dell’art. 152 c.p.c., si evince che L.R.G. aveva un reddito ed imponibile ai fini IRPEF pari ad Euro 22.014,46 con un familiare convivente (e così, in particolare il coniuge, le cui generalità sono state indicate) privo di reddito (reddito zero). Dunque, considerata la presenza di tale familiare convivente, il tetto massimo cui fare riferimento era quello di cui all’art. 76, comma 1 (come detto, 10.766,33 Euro) aumentato, per effetto della previsione di cui al successivo art. 92 richiamato dal comma 2 dell’art. 76 -, di Euro 1.032,91.

Ed allora, il reddito dichiarato dal ricorrente (Euro 22.014,46) era inferiore al tetto massimo per l’esonero (due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi dell’art. 76, commi da 1 e 3).

6 – In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, in parte qua; non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con la revoca della statuizione di condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di c.t.u. e declaratoria di irripetibilità di tali spese.

7 – La regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa in parte qua la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l’irripetibilità delle spese processuali e di c.t.u.; condanna l’I.N.P.S. al pagamento in favore del ricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%, con distrazione in favore dell’avvocato Giuseppe Sante Assennato, anticipatario.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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