Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22344 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. II, 06/09/2019, (ud. 12/04/2019, dep. 06/09/2019), n.22344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVIA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10299-2018 proposto da:

P.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO n. 20,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA STANISCIA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GINA TRALICCI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il

02/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/04/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA Stefano.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato il 10.9.2012 P.I. invocava il riconoscimento dell’equo indennizzo per durata irragionevole del processo in relazione ad un giudizio civile introdotto con atto di citazione del 26.5.1994 e svoltosi in prime cure dinanzi il Tribunale di Roma, in appello davanti alla Corte di Appello di Roma e quindi dinanzi la Corte di Cassazione.

Si costituiva il Ministero della Giustizia per resistere alla domanda e deducendo, tra l’altro, che l’avv. Gina Tralicci, che assisteva la P. nel giudizio di merito, era stata sospesa dall’esercizio della professione forense unitamente al marito avv. Nicola Staniscia a decorrere dal 18.7.2013.

Con provvedimento del 19.1.2015 il Collegio dichiarava l’interruzione del giudizio; con successivo decreto del 9.9.2016 il predetto provvedimento di interruzione veniva revocato.

In data 3.4.2017 si svolgeva la prima udienza, alla quale compariva l’avv. Staniscia, che medio tempore aveva riacquistato il proprio ius postulandi.

Con il provvedimento oggi impugnato la Corte di Appello di Perugia rigettava la domanda, sul presupposto che il giudizio di equa riparazione, interrotto a seguito del provvedimento disciplinare del 18.7.2013, avrebbe dovuto essere riassunto, a cura della ricorrente, nel termine di tre mesi dal 18.7.2014, data in cui il provvedimento disciplinare di sospensione che aveva causato l’interruzione ha pacificamente cessato i suoi effetti.

Ricorre per la cassazione di detta decisione P.I. affidandosi ad un unico motivo.

Il Ministero della Giustizia, intimato, non ha svolto attività difensiva in questo giudizio.

Il ricorso, chiamato una prima volta all’adunanza camerale del 4.12.2018, è stato rinviato a nuovo ruolo per acquisizione del fascicolo di ufficio relativo al giudizio di merito.

Acquisito detto fascicolo, è stata fissata nuova adunanza camerale per la data del 12.4.2019.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115,116,301,305 e 83 c.p.c., art. 2697 c.c., art. 24 Cost., nonchè della L. n. 89 del 2001, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe errato nel non rilevare che la sospensione disciplinare dell’avvocato della ricorrente era venuta meno tra l’iscrizione al ruolo generale del ricorso e la prima udienza di trattazione, onde non si era prodotta alcuna lesione del diritto di difesa della P.. Inoltre, non essendo mai stati notificati alla predetta nè il provvedimento di interruzione nè la sua revoca, costei non aveva potuto materialmente avere conoscenza dell’interruzione.

Inoltre la Corte perugina avrebbe dovuto rilevare che questa Corte, con la sentenza a Sezioni Unite n. 22358/2017 (conclusiva dell’articolato processo relativo al provvedimento disciplinare inflitto all’avv. Staniscia e all’avv. Tralicci), aveva stabilito che la sospensione dei predetti difensori aveva cessato ogni effetto al 18.7.2014; di conseguenza, il processo di equa riparazione di cui qui si discute non avrebbe potuto essere interrotto il 19.1.2015, poichè a quella data gli effetti del provvedimento disciplinare si erano già esauriti.

Con la memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente, nel dar atto che questa Corte aveva deciso un caso analogo con ordinanza n. 3529/2019, evidenzia che la già richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 22358/2017 era stata depositata il 26.9.2017, onde soltanto da quella data -e non dal 18.7.2014- la ricorrente aveva avuto materiale conoscenza della cessazione della sospensione dello jus postulandi del proprio avvocato.

La doglianza è infondata.

Per consolidato orientamento giurisprudenziale nel processo civile, qualora la parte sia costituita a mezzo di procuratore, l’evento della morte, radiazione o sospensione di quest’ultimo produce l’automatica interruzione del giudizio, con effetto immediato, senza alcuna necessità di dichiarazione o notificazione e a prescindere dall’effettiva conoscenza che del predetto evento possano aver avuto la parte o il giudice.

Il termine perentorio per la riassunzione del giudizio interrotto, a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 139/1967, n. 178/1970, n. 159/1971 e n. 36/1976, decorre non già dal momento in cui l’evento interruttivo si verifica, ma da quello in cui la parte ne abbia conoscenza legale, e quindi a seguito di dichiarazione, notificazione, certificazione dell’evento ovvero di lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione, non essendo – per converso – sufficiente la conoscenza acquisita aliunde da una delle parti (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 14691 del 29/12/1999, Rv. 532598; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5348 del 08/03/2007, Rv. 595764; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3085 del 11/02/2010, Rv. 611451; Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 3768 del 25/02/2015, Rv. 634500).

Nel caso della sospensione dall’esercizio della professione, la temporaneità dell’impedimento -a differenza dai casi della morte o radiazione del procuratore- incide sui tempi e modi di ripresa del processo interrotto. In particolare, una volta cessati gli effetti della sospensione non è necessaria una nuova procura alla lite, nè una nuova costituzione della parte, essendo sufficiente che il procuratore, già costituito prima della sospensione, riprenda a svolgere le sue funzioni dopo la cessazione degli effetti di quest’ultima, proprio in base alla procura e alla costituzione originari. Ne deriva che il procuratore, che evidentemente è a conoscenza dell’evento interruttivo dipendente dalla sua sospensione dall’esercizio della professione forense e della relativa durata, ha l’onere di riattivarsi tempestivamente, una volta cessati gli effetti di quell’evento, per assicurare la prosecuzione del processo interrotto nelle forme previste dagli artt. 301 e 305 c.p.c. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24997 del 10/12/2010, Rv. 615810; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13490 del 20/07/2004, Rv. 574718; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1010 del 28/03/1969, Rv. 339467).

Nell’ipotesi di sospensione temporanea del procuratore non ricorre, infatti, la stessa esigenza di protezione del diritto di difesa della parte che, a seguito della morte o radiazione del proprio procuratore, resti priva di tutela legale; esigenza che impone il fatto che il termine di riassunzione decorra non già dall’evento in sè, ma dalla sua conoscenza legale in capo alla parte stessa.

Nel caso di specie le Sezioni Unite di questa Corte, con Sentenza n. 6957 del 17.3.2017, non massimata, hanno ritenuto inammissibile per difetto di interesse il ricorso con cui gli avvocati Staniscia e Tralicci avevano impugnato la sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 6.6.2015, con la quale quest’ultimo aveva dichiarato cessata l’efficacia della sospensione irrogata nei loro confronti in data 18.7.2013. In quella decisione, in particolare, le Sezioni Unite hanno affermato che “La richiesta di retrodatazione al 18 luglio del 2014 del provvedimento di cessazione dell’efficacia della sospensione disposta dal COA di Perugia non appare in realtà comprensibile, una volta che il provvedimento dell’organo disciplinare perugino è stato emesso il 18 luglio del 2013 ed ha, ipso facto, cessato i suoi effetti proprio alla data oggi indicata dai ricorrenti”.

La cognizione di detta decisione è consentita al Collegio anche d’ufficio, in quanto essa si riferisce sempre alla vicenda della sospensione dall’esercizio della professione degli avvocati Staniscia e Tralicci e contiene un accertamento relativo ad un punto fondamentale comune anche al presente giudizio (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006, Rv. 589696). L’esercizio di tale potere ufficioso non comporta alcuna violazione del diritto di difesa delle parti, che sono pienamente a conoscenza della formazione del precedente giudicato (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8614 del 15/04/2011, Rv.617533).

Da quanto sopra discende che alla data del 18.7.2014 la causa interruttiva dipendente dalla sospensione dall’esercizio della professione forense degli avvocati Staniscia e Tralicci era venuta a cessare e dunque i predetti avevano l’onere di provvedere, a far tempo da quella data, alla riassunzione o prosecuzione del giudizio nel termine decadenziale di cui agli artt. 301 e 305 c.p.c., (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanze n. 22651, n. 22653 e n. 22654 del 25/09/2018, nonchè Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 3529 del 06/02/2019, tutte non massimate).

E’ inoltre opportuno evidenziare che dopo la decisione del C.N.F. del 6.6.2015 il Consiglio dell’Ordine di Roma, con Delib. del 9.7.2015, aveva fissato la cessazione degli effetti della sospensione degli avvocati Staniscia e Tralicci alla data del 10.7.2015. I predetti avevano impugnato tale atto, sostenendo che la loro sospensione aveva cessato i suoi effetti al 18.7.2014 o al massimo al 6.6.2015 -data di adozione della decisione del C.N.F.- e quindi in ogni caso prima della data indicata dal C.O.A. di Roma. Il C.N.F., con sentenza del 24.11.2016, aveva dichiarato inammissibile il ricorso ritenendolo rivolto avverso un atto endoprocedimentale. La decisione del C.N.F. era stata nuovamente impugnata dai predetti Staniscia e Tralicci e le Sezioni Unite di questa Corte, con ulteriore sentenza n. 22358 del 26.7.2017 -la cui cognizione è consentita al Collegio per i medesimi motivi già esposti in relazione alla precedente decisione n. 6957/2017-hanno stabilito che, dovendosi applicare in favore dei ricorrenti lo ius superveniens derivante dalla L. n. 247 del 2012, art. 60, comma 2 e dall’art. 32, comma 2 del regolamento del C.N.F. n. 2 DEL 21.2.2014, la durata della sospensione cautelare non poteva eccedere un anno e quindi hanno confermato l’accertamento incidentale contenuto nella sentenza n. 6957/2017, secondo cui gli effetti della predetta sospensione era venuta a cessare alla data del 18.7.2014.

Nel caso di specie non vi è prova di una tempestiva riattivazione. Infatti la prima attività difensiva nel processo di equa riparazione si è tenuta in data 3.4.2017 (data dell’udienza camerale) e quindi ben oltre il termine di tre mesi di cui agli artt. 301 e 305 c.p.c., sia che si voglia prendere a riferimento come indicato nelle due richiamate decisioni delle SS.UU. di questa Corte – la data del 18.7.2014, sia che si voglia invece considerare la successiva data del 10.7.2015 dalla quale il C.N.F. faceva comunque venir meno gli effetti della sospensione.

Non può, per converso, ritenersi fondata la tesi di parte ricorrente, secondo cui il termine di cui agli artt. 301 e 305 c.p.c., decorrerebbe dalla data di deposito della sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 22358 del 26.7.2017, data in cui gli stessi avvocati Staniscia e Tralicci avrebbero avuto contezza della scadenza della sospensione loro inflitta.

In materia di sanzioni disciplinari per gli avvocati opera infatti l’esplicita previsione della L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, che ha recepito il criterio del favor rei in luogo di quello del tempus regit actum (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 30993 del 27/12/2017, Rv.646740), salvo che per quanto concerne l’istituto della prescrizione dell’illecito, in assenza di specifica previsione normativa in tal senso (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9558 del 18/04/2018, Rv.648104). Di conseguenza gli avvocati Staniscia e Tralicci erano perfettamente consapevoli che la sanzione loro inflitta aveva perduto la sua efficacia alla data del 18.7.2014, in base alle inequivoche disposizioni di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 60, comma 2 e dell’art. 32, comma 2 del regolamento del C.N.F. n. 2 del 21.2.2014.

Da quanto sopra deriva l’infondatezza del ricorso.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva in questo giudizio da parte del Ministero intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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