Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22342 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. II, 06/09/2019, (ud. 20/03/2019, dep. 06/09/2019), n.22342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9217-2015 proposto da:

E.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI CASTANI

195, presso lo studio dell’avvocato BRUNO GALATI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PIETRO MASTRANGELO;

– ricorrente –

contro

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO DE

CAVALIERI N. 7, presso lo studio dell’avvocato VALERIA DEL BIANCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DIMITO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2014 della CORTE D’APPELLO DI LECCE

sezione distaccata di TARANTO, depositata il 04/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/03/2019 dal Consigliere GRASSO GIUSEPPE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, per quel che qui rileva, confermò la sentenza di primo grado, la quale, rigettate le domande di E.A. dirette alla condanna di G.V. e del notaio B.G. a purgare l’immobile, venduto dal secondo alla prima, dai debiti sul predetto bene gravanti o, in subordine, a corrispondere all’attrice la somma di Euro 55.000,00, nonchè a risarcire il danno, quantificato in Euro 40.000,00, accogliendo la domanda riconvenzionale del G., dichiarò la nullità del contratto per violazione del patto commissorio, dissimulato dal contratto di compravendita, condannando l’attrice a restituire l’immobile al convenuto;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorre la E. sulla base di unitaria, articolata censura, che,l’intimato resiste con controricorso e che entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa;

ritenuto che la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 99,81 e 39 c.p.c., artt. 2907,2909 e 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; nonchè per “motivazione meramente apparente per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sulla base, in sintesi, degli argomenti di cui appresso:

– la Corte locale aveva confermato la decisione del primo giudice, il quale, dopo aver dichiarato inammissibile per tardività, nel rispetto dell’art. 180 c.p.c., al tempo vigente (testo di cui alla riforma operata dalla L. n. 353 del 1990 e ante la riforma di cui al D.L. n. 432 del 1995, conv. nella L. n. 535 del 1995), l’eccezione di prescrizione dell’azione di restituzione dell’immobile avanzata in via riconvenzionale, riunita la causa ad altra successivamente introdotta dall’attrice, con atto notificato il 9/1/2008, nel quale veniva riproposta l’eccezione in parola, aveva deciso nei termini di cui sopra;

– l’art. 2938 c.c., da interpretarsi restrittivamente, non vieta il riconoscimento in via di azione della maturata prescrizione di un diritto;

– l’art. 180 c.p.c., nel testo al tempo vigente, non sanzionava la proposizione tardiva di una eccezione di merito, la quale era diretta a dedurre la già maturata perdita dell’altrui diritto;

– la Corte locale si era limitata ad una motivazione apparente, non avendo spiegato perchè l’evocato “sistema” avrebbe impedito di far valere la prescrizione in via d’azione;

– era rimasto leso, con l’avversata interpretazione, l’inviolabile diritto di difesa;

– erano rimasti violati gli artt. 2907 e 2909 c.c., poichè non emergeva alcun giudicato da assicurare;

– in via di subordine la ricorrente chiede “che gli atti siano trasmessi alla Corte Costituzionale per l’esame della questione di costituzionalità dell’art. 180 c.p.c., nel testo sopra riportato, non senza far rilevare che la questione è rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata”;

considerato che il motivo è destituito di giuridico fondamento tenuto conto di quanto appresso:

a) la non riproponibilità dell’eccezione tardivamente proposta, e appunto perchè tale dichiarata inammissibile in giudizio, costituisce conclusione, tanto ovvia, quanto necessaria, al fine di assicurare stabilità al sistema processuale: infatti, le decadenze, aventi funzione di ordine pubblico processuale, risulterebbero agevolmente, anzi banalmente, eluse, ove fosse consentito rimediare alla tardività “rimettendo la palla in gioco” per mezzo di una nuova citazione e sensibilmente minato resterebbe il diritto di difesa della controparte, la quale, diligentemente attenutasi al rispetto delle decadenze processuali e impostata la propria strategia tenendo conto dell’avversa difesa, subirebbe l’abuso dell’aggiramento della preclusione;

b) quanto sopra esposto trova conferma nei precedenti di questa Corte, con i quali si è chiarito:

– in un caso assimilabile, che nell’ipotesi di continenza tra un giudizio in grado di appello, con domande di accertamento di un credito e di condanna al suo adempimento, ed altro in primo grado pendente davanti al medesimo ufficio giudiziario, nel quale il debitore proponga domanda di accertamento negativo della medesima situazione creditoria, adducendone la prescrizione, già eccepita nel primo giudizio e in tale sede ritenuta inammissibile per violazione del regime delle preclusioni, non può realizzarsi la rimessione della seconda causa al giudice dell’impugnazione della decisione sulla prima, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., comma 2, per il diverso grado in cui risultano pendenti; ne consegue che va disposta, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la sospensione della seconda causa, tanto più che l’accertamento eventuale nel primo giudizio dell’esistenza del diritto di credito, e dunque l’esclusione del rilievo della dedotta prescrizione per la sua tardività, impedirebbe di attribuire rilevanza alla prescrizione invocata con il secondo giudizio, atteso che l’operare delle preclusioni nell’uno impone di dare loro rilievo anche nell’altro (Sez. 6, n. 5455, 10/3/2014, Rv. 630197);

– più in generale, le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito, in quanto la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell’effettivo “thema decidendum et probandum”, restando anzi intatta l’autonomia di ciascuna causa. Ne consegue che, in tale evenienza, il giudice – in osservanza del principio del “ne bis in idem” e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l’eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata (Sez. 3, n. 24529, 5/10/2018, Rv. 651137; conf., Sez. 1, n. 567, 15/1/2015; Sez. 3, n. 5894, 17/3/2006);

– in tema di sospensione necessaria del processo, qualora il diritto dedotto in un separato giudizio, dalla cui definizione dipende la decisione della causa, tragga origine da un fatto impeditivo, modificativo o estintivo del diritto azionato in via principale, è necessario, affinchè si instauri un rapporto di pregiudizialità sul piano processuale, che tale fatto sia stato ritualmente e tempestivamente dedotto nel processo dipendente, in quanto solo in tal caso il giudice è tenuto a tenerne conto, non potendosi, attraverso l’istituto della sospensione, introdurre una domanda o un’eccezione preclusa; a maggior ragione, non ricorrono i presupposti per la sospensione necessaria del processo, qualora una domanda riconvenzionale sia stata irritualmente proposta, e il processo pregiudiziale che la reitera sia stato iniziato successivamente, consentendosi altrimenti di reintrodurre nel primo giudizio una domanda inammissibile. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha accolto il regolamento di competenza proposto avverso l’ordinanza con cui, nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento di una servitù, era stata disposta la sospensione in attesa della definizione di un altro giudizio avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuta estinzione per prescrizione della medesima servitù, benchè nel primo giudizio la domanda riconvenzionale di accertamento della prescrizione fosse stata dichiarata inammissibile, in quanto tardiva) – conf., ex multis, 19807/2014 – (Sez. 1, n. 818, 19/01/2010, Rv. 611062);

c) da quanto fin qui esposto è agevole cogliere che non di giudicato si discorre ma di maturata preclusione sull’azionabilità di una eccezione in senso stretto, quale è da intendersi quella di prescrizione (cfr., ex multis, Cass. n. 16326/2009, n. 23270/2011);

d) la denunzia di violazione di norme costituzionali, prima che manifestamente infondata, per quel che si è detto, è inammissibile, stante che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (di recente, Sez. 5, n. 15879, 15/6/2018, Rv. 649017; conf. n. 3709/2014);

e) infine, diametralmente all’opposto dell’assunto impugnatorio, proprio a motivo di quanto sopra si è detto, non solo la proposta eccezione d’incostituzionalità risulta manifestamente infondata, ma, esattamente al contrario, è la lettura perorata dalla ricorrente che si atteggia in contrasto con la Carta suprema;

considerato che in virtù del principio di soccombenza la ricorrente dovrà rimborsare alla controparte le spese legali del giudizio di legittimità, nella misura, stimata congrua, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte, di cui in dispositivo; spese distratte in favore dell’avv. Valeria Del Bianco,la quale si è dichiarata antistataria;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del resistente, che liquida, distratte in favore dell’avv. Giuseppe Dimito in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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