Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22341 del 05/08/2021
Cassazione civile sez. VI, 05/08/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 05/08/2021), n.22341
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16802-2018 proposto da:
A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso
la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato ANTONIO FRATERNALE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1883/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 18/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 25/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA
ALDO ANGELO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1.- A.D., proveniente da terra ghanese, ha presentato ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Ancona, di diniego di riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure di quello di riconoscimento della protezione umanitaria.
Con decreto depositato in data 28 giugno 2016, il Tribunale di Ancona ha accolto il ricorso, ritenendo credibile il racconto svolto dal richiedente e riconoscendogli lo status di rifugiato per persecuzione a causa di motivi di religione.
Il Ministero ha presentato appello avanti alla Corte di Appello di Ancona. Che, con sentenza depositata in data 18 dicembre 2017, lo ha accolto.
2.- Per quanto qui ancora in interesse, la pronuncia ha rilevato, in particolare, che la Commissione ha “convincentemente posto in evidenza la scarsa credibilità del racconto del richiedente in quanto del tutto generica e stereotipata, priva di qualsiasi riscontro documentale, apparendo contraddittorio che, pur avendo il ricorrente, di religione cristiana, messo incinta la figlia di un iman, quest’ultimo abbia accolto senza problemi in casa sua la figlia e il nipote, mentre il ricorrente sia fuggito per il timore, peraltro riferito da altri, che il padre della ragazza lo avrebbe ucciso. Inoltre il ricorrente, in sede di audizione, ha riferito che, dopo avere attraversato la Nigeria, era giunto in Libia, dove a Bengasi aveva lavorato per quattro anni in una fabbrica di impianti idraulici; per cui non c’era alcun ragionevole motivo per imbarcarsi per l’Italia dopo quattro anni di permanenza in Libia, se non per motivi puramente economici, di volere migliorare la propria posizione personale”.
3.- Avverso questo provvedimento A.D. ha presentato
ricorso per cassazione, affidato a un motivo.
Il Ministero ha resistito, con controricorso.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.- Il ricorrente assume la “violazione della norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. b), laddove non viene considerata e sussunta nell’ambito di applicazione della detta norma la motivazione religiosa sottesa all’istanza di protezione internazionale proposta dal ricorrente, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), art. 3 e art. 5, lett. c), in relazione alla sussistenza di danno grave, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con conseguente omesso esame della situazione di discriminazione sociale patita in relazione al rapporto sentimentale con una ragazza di differente credo religioso e susseguente rischio di un serio pericolo di essere perseguitato dai familiari della ragazza nell’intero Paese ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.”.
Ad avviso del ricorrente, in sostanza, la Corte territoriale ha errato perché ha ritenuto che il racconto sia “basato, sic et simpliciter, su motivazioni economiche”. La Corte, di conseguenza, “non ha effettuato qualsivoglia valutazione del carattere religioso della vicenda”.
5.- Il ricorso e’inammissibile.
Esso infatti non si confronta con la ratio decidedi della sentenza impugnata. Questa si fonda propriamente sulla valutazione di “non credibilità” della narrazione compiuta dal richiedente. Una simile valutazione esclude ex se ogni ulteriore rilievo sull’eventuale ricorrere, in fattispecie, delle ipotesi del diritto di rifugio e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).
6.- Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 2.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 25 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021