Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2234 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. III, 01/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 01/02/2010), n.2234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 14615/2009 proposto da:

P.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

PAISIELLO 27, presso lo studio dell’avvocato SABLONE STEFANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA SALDARELLI, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ARCHIVIO NOTARILE di GROSSETO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE

DI APPELLO DI FIRENZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 524/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

17.4.09, depositata il 22/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. FINOCCHIARO Mario;

udito per il ricorrente l’Avvocato Luca Saldarelli che si riporta

agli scritti;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Commissione amministrativa regionale di disciplina di Firenze, con provvedimento 10 luglio 2008 ha ritenuto il notaio P.U. colpevole dell’ illecito di cui al capo H della incolpazione ascrittagli, condannandolo alla sanzione disciplinare di sei mesi di sospensione dalla professione.

Il P. ha impugnato tale provvedimento innanzi alla Corte di appello di Firenze, assumendo che l’atto da lui rogato – con il quale M.G. e E. avevano donato a se stessi, in nome e per conto di U.M.L., sulla base di un mandato nullo ex art. 778 c.c. alcuni beni immobili in comune di (OMISSIS) non era nè nullo nè proibito dalla legge nè contrario all’ordine pubblico o al buon costume, ai sensi dell’art. 28 comma 1, n. 1, legge professionale, trattandosi di un contratto concluso da falsi procuratores, dovendosi equiparare il mandato nullo a quello inesistente, sì che il contratto stesso era i-nefficace ma non nullo, essendo sanabile ex art. 799 c.c.. In ogni caso, in via subordinata, il P. ha fatto presente che ingiustamente gli era stato inflitto il massimo della pena, con esclusione delle circostanze generiche.

Nel contraddittorio dell’Archivio Notarile di Grosseto che costituitosi in giudizio ha chiesto il rigetto del gravame, la Corte di appello di Firenze con sentenza 17 – 22 aprile 2009 in parziale accoglimento del reclamo, ferma la dichiarazione di colpevolezza in ordine al capo H della rubrica, ha sostituito alla sanzione della sospensione la sanzione pecuniaria nella misura di Euro 15.000.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 27 aprile 2009, ha proposto ricorso il P., con atto 16 giugno 2009 e date successive, affidato a tre motivi.

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è stata depositata relazione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 153, comma 3 e L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 156-bis e per mancanza assoluta di motivazione, assumendo che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul primo motivo di reclamo, attenente alla violazione del principio di sufficienza della contestazione e della corrispondenza tra contestazione e decisione, e formulando il seguente quesito, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.: se nell’ambito del procedimento disciplinare afferente l’esercizio dell’ufficio notarile e di cui alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, valgano e siano applicabili i principi della chiarezza, precisione e completezza della contestazione e della correlazione tra il devoluto e il deciso e tra il deciso e la motivazione.

3. Il motivo è inammissibile.

Sotto diversi, concorrenti, profili.

3.1. In primo luogo, si osserva nella specie, giusta la stessa prospettazione di parte ricorrente, era, configurabile la violazione, da parte del giudice del reclamo appello, dell’art. 112 c.p.c., cioè la omessa pronunzia su una delle domande sottoposte al suo giudizio, e, non certamente, la violazione e falsa applicazione di norme quali la L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 153, comma 3 e L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 156 bis, nè, tantomeno, difetto di motivazione, rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360, c.p.c., n. 5.

Pacifico quanto precede deve ribadirsi, ulteriormente, in conformità, del resto, a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente, che la omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (Tra le tantissime, Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 2^ novembre 2005, n. 22897).

3. 2. In secondo luogo si evidenzia in violazione del precetto di cui all’art. 366-bis c.p.c. non esiste alcuna relazione tra il quesito di diritto e la fattispecie concreta.

Come si è riferito sopra, con il primo motivo il ricorrente lamenta la omessa pronunzia, da parte della Corte di appello, quanto alla invocata nullità del provvedimento sanzionatorio adottato dalla Commissione Regionale di Disciplina nei suoi confronti per insufficienza della contestazione e non corrispondenza tra la contestazione e la decisione.

Certo, per contro, che il quesito è stato formulato totalmente prescindendo dalla denunziata omessa pronunzia e su un tema del tutto diverso è palese la sua inammissibilità.

Non esiste alcuna relazione – infatti – tra il motivo come esposto nella parte espositiva (in termini di omessa pronunzia su una domanda) e il quesito di diritto che conclude il motivo, con conseguente inammissibilità del motivo (cfr., tra le tantissime, nel senso che è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il motivo di ricorso nel caso in cui il relativo quesito di diritto venga formulato in modo non pertinente rispetto alla fattispecie concreta sottoposta alla cognizione del giudice, Cass., sez. un., 18 novembre 2008, n. 27349).

4. I giudici del merito pur ritenendo, da un lato, che l’illecito posto in essere dal P. deve essere considerato particolarmente grave, implicando esso una notevole misura di trascuratezza professionale (la nullità del mandato a donare era evidente), ha affermato, dall’altro, che il fatto offre elementi di tenuità.

La mandante – hanno osservato quei giudici – era la madre dei contraenti e che questi ultimi avrebbero potuto, in termini di trasferimento delle proprietà immobiliari raggiungere tramite percorsi negoziali alternativi lo stesso effetto ottenuto con la donazione, non risultando alcuna connotazione fraudolenta del loro comportamento.

I due contraenti, inoltre, ha sottolineato la pronunzia impugnata, divenuti unici eredi della madre hanno provveduto con atto 19 settembre 2008 (di ratifica di atto di donazione) rogato gratuitamente dallo stesso notaio, a ratificare la precedente donazione con gli effetti se non altro di cui all’art. 799 c.c. sì che in definitiva ricorrono nel fatto circostanze attenuanti generiche ex art. 144, comma 1, legge notarile sì che può sostituirsi la sospensione con la sanzione pecuniaria di Euro 15 mila.

5. Con il secondo motivo il ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 28, comma 1, n. 1 legge notarile e agli artt. 778 e 1399 c.c., atteso che il mandato a donare rilasciato nella specie con l’atto del notaio P. non era affetto da nullità insanabile, atteso che l’esclusione dell’istituto della rappresentanza nella donazione non è ricavabile da alcuna norma codicistica e formula al riguardo i seguenti quesiti, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. – se, in tema di donazione sia ammesso l’istituto giuridico della rappresentanza, seppure entro i limiti indicati dall’art. 7789 c.c. e se la donazione fatta dal mandatario nell’ambito dei poteri ivi previsti e come tali conferiti sia valida ed efficace;

– se la donazione effettuata senza mandato o dal mandatario che ecceda i poteri conferibili e conferiti ai sensi dell’art. 778 c.c. sia suscettibile di ratifica ex art. 1399 c.c..

6. Al pari del precedente, il motivo (oltre che – si evidenzia per completezza di esposizione – manifestamente infondato, atteso che non si è mai dubitato che è colpevole di contravvenzione alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, n. 1, il notaio che riceva un atto in violazione del precetto di cui all’art. 778 c.c., cfr. Cass. 23 aprile 1969, n. 1323), è inammissibile attesa la inadeguatezza dei quesiti che lo concludono.

Come noto, il quesito di diritto previsto dall’art. 366-bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. In altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

La ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054).

In altri termini, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, 2, 3, e 4 il motivo del ricorso per cassazione deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame.

Non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato. In tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. (Cass. 25 novembre 2008 nn. 28145 e 28143).

Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie si osserva che non esiste – anche quanto al secondo motivo – alcuna relazione tra i quesiti formulati e la ratio decidendi della sentenza impugnata.

La questione dibattuta in causa – infatti – non è – come suppone il ricorrente – se sia ammissibile o meno, l’istituto della rappresentanza in tema di donazione (quesito palesemente circolare e, perciò solo inammissibile, risultando la possibilità dalla stessa formulazione letterale dell’art. 778 c.c.) nè, ancora, se sia – per ipotesi – suscettibile di ratifica una donazione posta in essere da un mandatario senza potere, o che abbia agito in forza di una procura nulla, ma il diverso problema se rientri, o meno, nella previsione della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28 la condotta contestata al notaio P. per avere ricevuto donazione con procura generale in favore dello stesso donatario.

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente le repliche alla stessa, contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. del ricorrente, non giustificano un superamento delle considerazioni svolte nella relazione – sopra trascritte – e della pacifica giurisprudenza ivi ricordata.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile.

Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non avendo gli intimati svolto in questa sede attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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