Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22334 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. I, 26/10/2011, (ud. 20/09/2011, dep. 26/10/2011), n.22334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7753-2006 proposto da:

B.V. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di socio

accomandatario e legale rappresentante della La Normanna di Burza

Vincenzo e C. S.a.s. e in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE BRUNO BUOZZI 32, presso l’avvocato BURZA FRANCESCO (STUDIO

LEGALE PICCIOTTI), rappresentato e difeso dall’avvocato ARCURI

SIMONA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO C.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 54/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 26/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.V., in proprio e quale legale rappresentante della Normanna s.a.s., proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso, per la somma di L. 286.169.684, oltre interessi legali, nei confronti della Normanna s.a.s., ed altresì del B. in solido, per la somma di L. 143.084.842, oltre interessi legali, a favore di C.R., per avere questi pagato alla CA.RI.CAL. l’intera somma di L. 286.169.684 per l’estinzione della corrispondente sofferenza sul c/c (OMISSIS), intestato alla società Normanna s.a.s., e garantito dalla fideiussione personale del C. e del B..

A base dell’opposizione, il B., in proprio e nella qualità, deduceva che l’opponente ed il C. erano soci della Normanna s.a.s., che aveva ottenuto un fido dall’allora CA.RI.CAL. di lire 200 milioni, per la realizzazione di intervento edilizio, mai realizzato;

che nel corso degli anni, il C. aveva chiesto ed ottenuto di negoziare numerosissimi titoli di terzi per il tramite del c/c della società( i titoli venivano girati alla società, che accreditava al C. gli importi relativi); che, siccome l’esposizione era divenuta rilevante, attesi i molti titoli non andati a buon fine, la società aveva richiesto al C. il rilascio di titoli di importo corrispondente all’esposizione, ma che tali titoli erano stati poi restituiti; che la CA.RI.CAL.,come prassi, aveva chiesto che si costituissero fideiussori i due soci; che, quando era stato revocato il fido e chiuso il conto, la Banca aveva chiesto di ripianare l’esposizione, ed il C. aveva versato in conto alla sofferenza la somma di L. 260.389.688, attraverso apertura di credito personale garantita da ipoteca su beni propri e della madre, con successivi pagamenti del 18/3, 6/4 e 19/4/1988; che il C. non aveva mai reclamato il rimborso, per la consapevolezza che l’esposizione era derivata da operazioni personali non imputabili alla società o al B. in proprio. Il C. contestava la fondatezza dell’opposizione; intervenuto il fallimento dello stesso, si costituiva la Curatela ed aderiva alle conclusioni assunte. Il Tribunale di Cosenza respingeva l’opposizione e condannava il B. alle spese del giudizio.

Appellava il B., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Normanna; si costituiva la Curatela del Fallimento del B. e chiedeva la reiezione del gravame.

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 20/7/04-26/1/05, n. 54/2005, ha rigettato l’impugnazione, rilevando che i rapporti personali tra B. e C., inizialmente improntati a reciproca fiducia, determinanti situazione confusa tra il dare e l’avere tra le parti, e la cointeressenza nella titolarità e nella gestione della società Normanna inducevano ragionevolmente ad una valutazione di incertezza sulla deduzione che le somme prelevate dal conto sociale e poi restituite dal fideiussore C. alla Banca fossero state destinate ad impieghi personali anzichè comuni al B., a nulla rilevando la mancanza di traccia delle operazioni bancarie e degli impieghi delle somme nei bilanci della società, essendo anzi probabile che i prelievi fossero stati destinati come cassa comune, per operazioni economiche comuni, finanche prescindenti dagli scopi sociali. Non concludente, ad avviso della Corte, il fatto che il C. si fosse determinato ad agire a distanza di anni, stanti i rapporti tra le parti; quanto all’ultima doglianza dell’ appellante, la stessa era frutto di un fraintendimento della parte, avendo il Tribunale, con la conferma del decreto ingiuntivo, disposto la condanna della società, quale debitore principale, alla rifusione al fideiussore C. dell’intero, ex art. 1950 c.c.., e condannato il co-fideiussore B., in solido con il debitore principale, alla refusione della metà. Ricorre B.V., in proprio e nella qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della società ” La Normanna di Burza Vincenzo e C. s.a.s.”, sulla base di due motivi.

Il Fallimento non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia vizio di violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1956 e 1957 c.c., con riferimento all’art. 1310 c.c. ed alla L. n. 154 del 1992, nonchè agli artt. 2935 e 2949 c.c.: il contratto di fideiussione sottoscritto a garanzia del c/c (OMISSIS) deve ritenersi nullo, per le clausole di rinuncia alle facoltà di cui agli artt. 1956 e 1957 c.c., invalidate dalla L. n. 154 del 1992, applicabile alle liti pendenti; l’Istituto procedente non ha mai iniziato nè coltivato l’azione verso la società apparentemente debitrice, pur solvibile come si evince dai bilanci, quindi la fideiussione si è estinta.

Inoltre, secondo parte ricorrente, l’azione di regresso era già prescritta ex art. 2935 c.c., attesa la decorrenza dalla chiusura del conto e quindi dal 6 marzo 1984 e non dal primo pagamento effettuato dal C., come ritenuto dai precedenti difensori di ambedue le parti; nel caso, invece, la messa in mora risale alla lettera raccomandata del 22/10/94, ricevuta il 25/10/94, ed il ricorso per decreto ingiuntivo è stato depositato il 22/11/94, due giorni dopo la scadenza del decennio dalla data del primo pagamento del 20/11/1984.

Infine, ove ritenuto il debito di natura societaria, andrebbe applicato l’art. 2949 c.c., e quindi il termine di prescrizione breve di cinque anni, ampiamente decorso alla data del 25/10/94, in cui è pervenuta la prima richiesta di pagamento da parte del C..

1.2.- Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia, come vizio di motivazione, il non sufficiente assolvimento da parte del C. all’onere probatorio sulla natura societaria del debito originario;

mentre il C. a riguardo nulla ha provato, il B., sia pure non onerato, ha provato coi testi di essersi preoccupato dell’uso anomalo dei conti correnti comuni da parte del C., e mediante l’esibizione dei bilanci sociali in forma autentica, che non vi era alcun debito della società verso la Banca. Secondo la parte, la motivazione della Corte del merito è insufficiente ed inesistente;

sono gravi, nonchè infondate, le affermazioni di falsità dei bilanci e di uso del conto corrente comune per impieghi differenti, nè è stato tenuto conto del deterioramento dei rapporti tra le parti; il vizio di motivazione attiene all’erronea applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la Corte d’appello inappropriatamente valutato circostanze meramente ipotetiche, trascurando di considerare il mancato assolvimento da parte del C. dei propri oneri probatori e disattendendo o trascurando le prove fornite dal B., pur non onerato della prova.

Infine, la motivazione della Corte del merito è contraddittoria, per non avere ridotto il pagamento del capitale ingiunto alla metà, e quindi ad un quarto nei confronti del socio fideiussore, e per non avere tenuto conto che le somme pretese dovevano essere la meta di L. 300.000.000, stante la clausola sub e) del contratto di fideiussione, esibito da controparte.

2.1.- Il primo motivo è inammissibile.

E’ agevole rilevare che la prospettazione di nullità del contratto di fideiussione è inammissibile per novità, trovando fondamento nelle clausole contrattuali di rinuncia, in tesi, alle facoltà di cui agli artt. 1956 e 1957 c.c., e che non hanno mai prima d’ora formato oggetto della controversia.

E’ principio consolidato che il potere del Giudice di dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. va coordinato con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., che, sulla base del principio dispositivo su cui va modellato il processo, impone al giudicante il limite insuperabile della domanda attorea: ne consegue che la nullità può essere rilevata d’ufficio solo se si pone in contrasto con la domanda dell’attore, solo, cioè, se questi ha chiesto l’adempimento del contratto, in quanto il giudicante può sempre rilevare d’ufficio le eccezioni, che non rientrino tra quelle sollevabili unicamente tra le parti e che soprattutto non amplino l’oggetto della controversia, ma che, per tendere al rigetto della domanda stessa, si configurano come mere difese del convenuto.

Come rilevato nella recente pronuncia 9395/2010, “l’argomento in questione trova ulteriore conferma sulla base del principio del giusto processo e del disposto dell’art. 111 Cost., così come modificato dalla L. 23 novembre 1999, n. 2, art. 1, alla luce del quale si legittima un sistema processuale che obbliga le parti, sin dai loro primi atti difensivi, a compiutamente indicare gli elementi di fatto e di diritto posti a base della loro richiesta, ad assicurare un pieno e completo contraddittorio tra le parti stesse su un piano di assoluta parità, seppure nel rispetto di termini di decadenza e di preclusioni aventi portata acceleratoria del processo (cfr. da ultimo Cass., Sez. Un., 20 aprile 2005 n. 8202 e 8203), ed ad evitare, al di là di precise e certe indicazioni normative, ampliamenti di poteri di iniziativa officiosa suscettibili di tradursi in un soggettivismo giudiziario, capace di incidere con ricadute negative anche sulla certezza del diritto”.

Nella specie, parte ricorrente intenderebbe introdurre profili di nullità del contratto di fideiussione in relazione a clausole contrattuali che non hanno fatto parte del thema decidendum nei gradi di merito, e che, inoltre, non sono state neppure riportate in ricorso, con ciò violando anche il principio dell’autosufficienza.

Palese è altresì la novità dell’ eccezione di prescrizione, che la stessa parte riconosce non essere stata sollevata dal precedente difensore.

2.2.- Il secondo motivo è inammissibile.

Come affermato nelle pronunce 8023/2009, 24028/09 e 2196/010 9395/2010, spetta al Giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo. Nel caso, parte ricorrente si limita a prospettare una interpretazione diversa degli elementi probatori come valutati dal Giudice del merito, anche con richiamo a prove testimoniali delle quali non riporta il contenuto, con ciò incorrendo anche nella censura di carenza di autosufficienza del motivo, carenza che è infine palese nell’ultima doglianza, con la quale la parte intenderebbe far valere il disposto della clausola sub a) del contratto di fideiussione, senza riportare la stessa.

3.1- Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, non essendosi difeso l’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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