Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22332 del 26/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/09/2017, (ud. 08/03/2017, dep.26/09/2017),  n. 22332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20110-2015 proposto da:

LETEY ABBIGLIAMENTO DI L.T. E C. SNC, in persona del legale

rappresentante pro tempore, Sig. R.P., elettivamente

domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo STUDIO

GREZ E ASS, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERCARLO CARNELLI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AUTOPORTO VALLE D’AOSTA SPA, in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore sig. M.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato

GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARIA GRAZIA DAL TOE’ giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TORINO, emessa il

10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 8/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Per quanto rileva ancora in questa sede, si premette in fatto che con contratti del 9 giugno 2010 (che sostituiva il precedente del 26 maggio 2008, come affermato nella sentenza impugnata senza che al riguardo sia stata proposta alcuna censura) e del 25 giugno 2010 (si precisa che nella detta sentenza, per evidente lapsus calami, soltanto nell’ultima parte di p. 2 è indicato, con riferimento ad entrambi i contratti stipulati nel mese di giugno, l’anno 2008 e non, correttamente, il 2010), Letey Abbigliamento di L.T. e C. s.n.c. stipulò con l’Autoporto Valle d’Aosta S.p.a. locazioni ad uso commerciale aventi ad oggetto unità immobiliari all’interno del complesso edilizio denominato “(OMISSIS)” o più comunemente “(OMISSIS)” o “(OMISSIS)”.

In particolare, nel contratto di locazione del 9 giugno 2010, l’importo del canone, a decorrere dal 1 luglio 2010, era stabilito in Euro 3.200,00 oltre IVA ed era stata prevista, con la clausola 3.2.1., una riduzione del predetto canone in funzione del grado di riempimento del “(OMISSIS)”.

Il contratto del 25 giugno 2010 si riferiva all’unità immobiliare riportata al Foglio (OMISSIS) sita nel predetto “Modulo” e destinata ad essere annessa a quello contigua già condotta in locazione dalla Letey Abbigliamento di L.T. e C. s.n.c..

La società conduttrice, con ricorso depositato presso il Tribunale di Aosta, convenne in giudizio la locatrice deducendo, tra l’altro, che: 1) la locatrice aveva illegittimamente aumentato il canone in misura del 70% in ragione del numero degli spazi occupati, nei quali, secondo la conduttrice: andavano conteggiati solo quelli relativi ad attività commerciali e non anche quelli inerenti ad attività artigianali, per le quali era riservato un autonomo blocco nel complesso aeroportuale (OMISSIS), denominato “(OMISSIS)” o “(OMISSIS)”; 2) la Letey Abbigliamento di L.T. e C s.n.c. non aveva potuto usufruire del locale cui si riferiva il contratto del 25 giugno 2010 per l’intervenuto diniego dell’autorizzazione all’ampliamento dei locali da parte del Comune di Pollein a causa della mancanza del certificato di agibilità e del certificato di prevenzione incendi; 3) essendo l’agibilità un “presupposto giuridico per la validità del contratto di locazione” ed essendo il locatore obbligato a garantirla, ne conseguiva che il mancato rilascio dei detti certificati costituiva fonte di responsabilità della società locatrice; 4) il danno derivante dal predetto inadempimento consisteva nell’ammontare, pari a Euro 12.014,47, dei canoni pagati, nel periodo 23 luglio 2010 5 gennaio 2012, per il locale aggiuntivo, nell’importo di acquisto dalla Mapien S.p.a. della merce che non era stato possibile vendere, pari a Euro 10.849,76, e nel lucro cessante, pari Euro 27.200,00 per mancata vendita dei prodotti Brugi S.p.a.; 5) al momento della stipula del contratto di locazione le parti avevano fatto riferimento alla Delib. di Giunta Regionale 30 dicembre 2000, n. 4563 in cui era indicato come obiettivo posto a base della formazione dell'”area Autoporto” quello di evitare “duplicazioni e concorrenza interna” e ciononostante aveva trovato allocazione, presso i locali di cui al “Centro Direzionale”, altro esercizio di grande distribuzione commerciale ((OMISSIS)) che, per tipologia di prodotti, costituiva “duplicazione” di attività, con pregiudizio dell’attuale ricorrente che, in contrasto con gli accordi intercorsi con la locatrice ed in contrasto con i principi direttivi di cui alla richiamata delibera, si era trovata affiancata da un’impresa in diretta concorrenza.

La Letey Abbigliamento di L.T. e C s.n.c. chiese, pertanto, l’accertamento dei plurimi dedotti inadempimenti della locatrice e la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni.

L’Autoporto Valle d’Aosta S.p.a. si costituì e chiese il rigetto del ricorso.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 257/2013, rigettò le domande avanzate dalla conduttrice e la condannò alle spese di lite.

Avverso la sentenza di primo grado, la parte soccombente propose appello, del quale l’Autoporto Valle d’Aosta S.p.a. chiese il rigetto.

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 10 dicembre 2014, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito Letey Abbigliamento di L.T. e C. s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso l’Autoporto Valle d’Aosta S.p.a..

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Si osserva che la ricorrente ha depositato la sua memoria in data 1 marzo 2017 e, quindi, oltre il termine di cui all’art. 380 c.p.c., ultimo periodo essendo stata l’adunanza in camera di consiglio fissata per l’8 marzo 2017; detta memoria è, pertanto, inammissibile.

2. Va pure evidenziato che, sulla base di quanto emerge dal verbale di conciliazione del 21 luglio 2015, relativo alla causa NRG 989/2014 dinanzi al Tribunale di Aosta, integralmente trascritto nel controricorso, risulta chiaramente che tale conciliazione ha determinato la declaratoria di estinzione di quel giudizio relativo all’opposizione a d.i. per somme dovute dall’attuale ricorrente alla controricorrente per soli oneri condominiali, sicchè tale conciliazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, non rileva in relazione all’ammissibilità o meno del ricorso all’esame.

3. Con il primo motivo, rubricato “Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e conseguente vizio di motivazione – Violazione o falsa applicazione della clausola 3.2. di cui ai contratti di locazione 26 maggio 2008 e 9 giugno 2010 e delle delibere della Giunta e del Consiglio Regionale della Valle d’Aosta di cui ai DOCC 1 fascicolo di primo grado di parte ricorrente e DOCC a-g di controparte”.

La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha affermato che le stesse parti contrattuali, allorchè avevano stipulato il contratto del 25 giugno 2010, avevano ricompreso fra gli spazi occupati anche quelli destinati ad attività artigianali. Sostiene Letey Abbigliamento di L.T. e C. s.n.c. che ciò non implicava che qualsiasi attività potesse insediarsi nella Galleria in questione e che, comunque, nessuna delle delibere del Consiglio Regionale valdostano intervenute ad individuare le attività ivi insediabili avesse “lasciato libero spazio, all’interno dell’immobile de quo, alle attività diverse da quelle commerciali”; ad avviso della ricorrente, la ratio della pattuizione di cui all’art. 3.2. dei contratti del 25 maggio 2008 non era quella di graduare il canone dovuto in rapporto al numero di spazi occupati e, quindi, al più o meno elevato grado di richiamo del pubblico, come affermato dalla Corte di merito, ma era, invece, da rinvenirsi nello scostamento operato da Autoporto da quanto prescritto con le delibere del Consiglio Regionale richiamate in ricorso, essendo l’attuale controricorrente consapevole del fatto che la diminuzione delle attività commerciali insediate nella Galleria aveva causato una diminuzione dell’afflusso dei visitatori e la conseguente caduta di interesse della clientela per tutto il centro commerciale e avendo, quindi, detta parte ritenuto opportuno ridurre il canone di locazione per permettere alle poche attività commerciali rimaste di poter sopravvivere. Sostiene la ricorrente che la riduzione del canone sarebbe pertanto potuta venir meno solo nel momento in cui altre attività commerciali avessero trovato spazio nella Galleria.

La ricorrente sostiene, inoltre, che non sia condivisibile la motivazione della sentenza impugnata anche nella parte in cui la Corte di merito ha affermato che “la distinzione tra attività commerciale e attività artigianale dei locali, non solo non è stata contemplata nel contratto, ma neppure potrebbe essere ritenuta un presupposto implicito del contratto di locazione in quanto anche un’attività artigianale, qualora i relativi prodotti siano destinati alla vendita, esercita un richiamo di flusso di clientela”. Ad avviso della ricorrente, pur non avendo le parti specificato la natura “commerciale” delle attività che avrebbero dovuto occupare i negozi del Centro in parola, ciò sarebbe stato facilmente desumibile dal contesto in cui il contratto del 9 giugno 2010 sarebbe stato stipulato, dalle Delib. di Giunta e di Consiglio Regionale ivi richiamate, oltre che dalla ratio, come intesa dalla predetta parte, della previsione di cui all’art. 3.2.1. del citato contratto.

3. Con il secondo motivo si lamenta; “Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e conseguente vizio della motivazione – Violazione o falsa applicazione delle norme di cui al D.P.R. n. 380 del 2001 ed al D.P.R. n. 380 del 2011 ed errata interpretazione delle norme di cui al contratto di locazione 25.6.2010”.

La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non provato il dedotto inadempimento della locatrice in relazione al contratto dei 26 giugno 2010, essendo nello stesso previsto che “tutte le autorizzazioni richieste in materia ambientale, di sicurezza e tutte le licenze amministrative necessarie al regolare svolgimento dell’attività economica sarebbero state a carico del conduttore così come i costi dei relativi rilasci”. Sostiene la ricorrente che “l’agibilità è un presupposto giuridico della locazione” e che ciò varrebbe ancor più nel caso di specie, in quanto nel predetto contratto era stato specificato che la locazione era finalizzata all’ampliamento dei locali già condotti in locazione. Inoltre, assume la ricorrente che erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto che la conduttrice non avesse allegato o dimostrato, con riferimento al certificato di agibilità e di prevenzione incendi del nuovo locale, che la legittimazione a domandare il rilascio delle rispettive certificazioni fosse a carico del proprietario dell’immobile in via esclusiva.

4. Il terzo motivo è così rubricato “Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e conseguente vizio della motivazione – Violazione o falsa applicazione delle disposizioni di cui alla Delib. di G.R. 30 dicembre 2000, n. 4536”.

La ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui fa riferimento all’attività di (OMISSIS) evidenziando che tale attività risulta installata non nel (OMISSIS) ma nel diverso edificio Direzionale. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito abbia erroneamente “applicato” la Delib. di Giunta Regionale n. 4563 del 2000, in quanto, a suo avviso, la controricorrente, nella selezione delle attività economiche, avrebbe dovuto valutare gli effetti di duplicazione e concorrenza dell’attività da insediare rispetto a quelle già, facendo riferimento all’intera area Autoporto e non alle singole strutture. In particolare, la ricorrente deduce che (OMISSIS), la cui domanda di insediamento era stata presentata dopo la sua, non si sarebbe limitata a vendere articoli di abbigliamento sportivo ma venderebbe al dettaglio abbigliamento, il che costituirebbe una duplicazione e una “concorrenza interna” che la delibera di Giunta Regionale mirava ad evitare; deduce che nel contratto tra (OMISSIS) e la controricorrente non sarebbe richiamata la DCR n. 192 del 5 novembre 2003, che ha abolito l’obbligo per le attività commerciali che volevano trovare spazio presso il Centro Direzionale, di esporre e commercializzare prodotti tipici valdostani su una superficie di vendita non inferiore al 30%, sicchè la richiesta di insediamento di (OMISSIS) non avrebbe dovuto essere accolta e sostiene, infine, di essersi determinata a sollevare le doglianze di cui alla presente causa nel momento in cui Autoporto aveva permesso a (OMISSIS) di aprire anche uno spazio meramente espositivo all’interno del (OMISSIS), contribuendo così a determinare l’innalzamento del canone di locazione.

5. I tre motivi, che precedono, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi.

Va anzitutto osservato che, nel ricorso per cassazione, il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 28/02/2012, n. 3010) E a tanto, nella specie, la ricorrente non ha ottemperato.

Nel resto, i motivi si limitano a censurare la motivazione della sentenza il cui impianto motivazionale, tuttavia, resiste alle doglianze proposte, non veicolate secondo quanto disposto dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile nella specie ratione temporis, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054).

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è, infatti, più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, specificamente individuato, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione dei motivi all’esame, si ribadisce che la ricorrente non propone doglianze motivazionali nel rispetto del paradigma legale di cui al novellato art. 360 codice di rito, n. 5 nè può ravvisarsi nella specie un omesso esame di fatti decisivi, neppure indicato nelle rubriche dei mezzi in scrutinio, vizio, questo, effettivamente riconducibile al vigente n. 5 del citato art. 360, ma non dedotto in conformità all’interpretazione di detta norma operata dalla giurisprudenza di legittimità.

Inoltre, i motivi all’esame pongono questioni di fatto e tendono ad una rivalutazione del merito, il che non è consentito in sede di legittimità.

Si evidenzia, altresì, che, nonostante la lunghezza dell’illustrazione dei singoli motivi, questi ultimi risultano pure sostanzialmente generici, essendosi la ricorrente limitata a riportare solo brani estrapolati dal contesto delle delibere e dei contratti da cui sono tratti e a cui fanno riferimento gli articolati mezzi, senza neppure specificamente evidenziare, come già osservato, la decisività dei fatti richiamati.

6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2017

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