Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22331 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 15/10/2020), n.22331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2589-2019 proposto da:

TTM SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO DE MAIO;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 993/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

 

Fatto

RILEVATO

– che con sentenza del 5 giugno 2018, la Corte d’appello di Bari ha respinto l’impugnazione proposta dalla TTM s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia, con la quale la società è stata condannata a pagare al Fallimento (OMISSIS) s.r.l. la somma di Euro 420.000,00, a titolo di restituzione della caparra confirmatoria consegnata in relazione al contratto preliminare concluso dalla società in bonis, quale promissaria acquirente, il 1 febbraio 2007, e risolto dalla procedura ai sensi della L. Fall., art. 72;

– che ha ritenuto la corte, per quanto ancora rileva, come:

a) alla vicenda è applicabile la L. Fall., art. 72, e la facoltà del curatore di optare per lo scioglimento del contratto, in quanto – nonostante la società promittente venditrice assuma l’inadempimento della promissaria acquirente già prima del fallimento – il giudizio di risoluzione non è mai iniziato, nè può farsi discendere l’avvenuta risoluzione del contratto, in modo automatico, dall’inadempimento dell’obbligazione oggetto di clausola risolutiva espressa: infatti, l’art. 6 del contratto preliminare prevedeva che il mancato pagamento del prezzo secondo le pattuite modalità avrebbe comportato il diritto dell’alienante a risolverlo, onde restava la pari facoltà di darvi, invece, esecuzione; non vi è prova della spedizione e ricezione della lettera datata (OMISSIS), consegnata ad un corriere privato (TNT), senza prova alcuna di data certa opponibile al fallimento, anche tenuto conto che la missiva, di cui il curatore contesta ogni ricezione, risulta spedita non alla sede della società promissaria acquirente, ma di una socia di minoranza della promittente venditrice stessa; infine, elemento indiziario a conferma della mancata risoluzione precedente al fallimento risiede nella presenza, nella contabilità della società fallita, della somma consegnata a titolo di caparra confirmatoria, che dunque non risulta passata a perdita;

b) è infondata l’eccezione di precedente scioglimento del contratto in virtù di termine essenziale, riferito dall’appellante al mancato pagamento delle rate di prezzo successive, posto che l’art. 1457 c.c., richiede l’univoca volontà in tal senso delle parti in contratto, o, almeno, la natura e l’oggetto stesso del negozio congruenti con tale qualificazione: elementi del tutto assenti nella specie, alla luce delle clausole negoziali, da cui non emerge affatto che la promittente venditrice non avesse più interesse all’adempimento tardivo delle rate, come palesato anche dall’assenza di qualsiasi intimazione prima del fallimento;

– che avverso questa sentenza propone ricorso il soccombente sulla base di due motivi;

– che non svolge difese la procedura.

Diritto

CONSIDERATO

– che i motivi deducono:

1) violazione degli artt. 1385,1453,1455 c.c. e s., art. 1458 c.c., artt. 99-101, 112-115 e 167 c.p.c., della L. Fall., art. 72, comma 5, perchè il cit. art. 72, permette l’opzione dello scioglimento dal contratto solo se non ancora eseguito, ma non quando sia stato ormai risolto prima del fallimento: come era avvento nella specie, in virtù sia della comunicazione di risoluzione trasmessa il (OMISSIS), sia per l’esistenza di termini essenziali di pagamento a carico della controparte;

2) violazione degli artt. 1322,1362 c.c. e s., art. 1453 c.c. e s., art. 1456 c.c. e s., perchè le clausole 4, 5 e 6 del contratto, correttamente interpretate, conducevano a qualificare i termini di pagamento delle singole rate come essenziali, essendo ciò palesato dalle espressioni usate (“perentori ed essenziali”, “entro e non oltre”, le “scadenze sono da intendersi tassative”, ecc.);

– che il primo motivo è inammissibile, in quanto esso intende contrapporre le proprie affermazioni fattuali a quelle operate dalla corte del merito, la quale, con l’ampia motivazione innanzi riportata, ha escluso la prova della trasmissione della missiva ex art. 1456 c.c., prima della declaratoria di fallimento; del pari, la corte del merito ha ampiamente argomentato la ragione per la quale non si trattasse di cd. termini essenziali in senso tecnico;

– che anche il secondo motivo è inammissibile, non essendo dedotta la violazione di uno specifico canone interpretativo, ma limitandosi la ricorrente a proporre una mera diversa interpretazione delle clausole contrattuali, a fronte di quella, perfettamente plausibile, resa dalla corte del merito, la quale ha escluso potesse applicarsi nella specie l’art. 1457 c.c., richiamando, al riguardo, principi in diritto corretti;

– che, al riguardo, giova richiamare l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “L’accertamento in ordine alla essenzialità del termine per l’adempimento, ex art. 1457 c.c., è riservato al giudice di merito e va condotto alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo, che non può essere desunta solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, riferita al tempo di esecuzione della prestazione, se non emerga, dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l’utilità prefissatasi” (fra le altre, Cass. 15 luglio 2016, n. 14426; Cass. 6 dicembre 2007, n. 25549);

– che non vi è luogo alla liquidazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, se dovuto, richiesto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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