Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22330 del 22/10/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 22330 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA
sul ricorso 27900-2008 proposto da:

ISTITUTO DIOCESANO – PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO
DELLA DIOCESI DI MASSA CARRARA PONTREMOLI
92004930456,

in persona del proprio rappresentante

legale pro tempore – Pres. Mons. MARIO MENCONI,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15,
2014
1407

presso lo studio dell’avvocato MARIO LEPORE, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVIO
MANFREDI giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 22/10/2014

MORICONI LINA, considerata domiciliata ex lege in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
BARBARA VALLINI unitamente all’avvocato MARIA LETIZIA
CAPECE giusta procura in calce al controricorso;

Centrale Legale e Contenzioso Avv. GIAN CLAUDIO
PICARDI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
VITTORIO VENETO 7, presso lo studio dell’avvocato
PAOLO TARTAGLIA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato VITTORIO VOLPI giusta procura
speciale notarile del Dott. Notaio LEONARDO MILONE in
ROMA del 4/12/2008 rep. n. 62056;
– contrario:a-i-enti –

avverso la sentenza n. 773/2008 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 25/06/2008 R.G.N. 1990/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/05/2014 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato MARIO LEPORE;
udito l’Àvvocato PAOLO TARTAGLIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
raccoglimento del ricorso.

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:. ANAS SPA 80208450587, in persona del Direttore

R.G.N. 27900/08
Udienza del 29 maggio 2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 1999 la sig.a Lina Moriconi, dichiarando di agire quale rappresentante
volontario del figlio Mario Ridondelli, convenne dinanzi al Tribunale di Massa
Carrara l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di
Massa Carrara (d’ora innanzi, per brevità, “l’Istituto”), esponendo che:

– mentre costeggiava un fondo scosceso di proprietà dell’Istituto, un grosso
albero (ontàno) alto 20 metri, che sorgeva a 7 metri di distanza dal ciglio
stradale, si abbatté sul veicolo condotto da Mario Ridondelli, provocandogli
gravissime lesioni personali.
Concluse pertanto chiedendo la condanna dell’Istituto al risarcimento dei
danni patiti da Mario Ridondelli in conseguenza dei fatti appena descritti.

2. L’Istituto si costituì negando la propria responsabilità, ed allegando che
dell’accaduto doveva rispondere l’ANAS, per avere tenuto due condotte
colpose:
(a) avere tagliato gli alberi circostanti quello poi caduto, causandone così un
sviluppo anomalo;
(b) avere lasciato in situ l’albero, anche dopo che il suo fusto era stato
indebolito da un incendio.
Chiedeva pertanto il rigetto della domanda attorea, ed in subordine che
responsabile del sinistro fosse ritenuto, in tutto od in parte, l’ANAS.
L’Istituto non provvedeva tuttavia a chiamare in causa l’ANAS, ma rivolgeva
istanza al giudice perché l’ente fosse chiamato in causa per ordine del
giudice, ex art. 107 c.p.c..

3. Il Giudice monocratico del Tribunale di Massa ritenne di ordinare la
chiamata in causa dell’ANAS, cui provvide la parte attrice.

4. L’ANAS si costituì negando qualsiasi responsabilità, ed allegando in fatto
che:
– l’albero caduto sorgeva su un’area privata, di proprietà dell’Istituto;

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– il 21.7.1998 Mario Ridondeili percorreva in auto la strada statale “446”;

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R.G.N. 27900/08
Udienza del 29 maggio 2014

– l’ANAS aveva effettuato tagli di alber in quell’area sedici anni prima
dell’infortunio, epoca in cui l’ontàno pdi caduto era giovanissimo e di
dimensioni modeste, e per tal ragione vene lasciato in situ.

5. Con sentenza n. 324 del 2005 il Tribun le di Massa Carrara ritenne che il

dell’Istituto nella misura del 60%, e dell’A AS nella misura del 40%.
Condannò tuttavia i due enti al risarcimen o del danno non in solido, ma pro
quota, in proporzione della rispettiva resp nsabilità.

6. La sentenza di primo grado venne impugnata in via principale dalla sig.a
Lina Moriconi, la quale chiese una più co picua liquidazione del danno (ma
non si dolse della condanna pro quota invece che solidale), ed in via
incidentale dalle altre parti, ciascuna dell quali invocò dal giudice d’appello
l’affermazione della esclusiva responsabili à dell’altra.

7. Con sentenza 25.6.2008 la Corte d’app llo di Genova:
(a) accolse l’appello principale, rideternm ando in aumento l’ammontare del
danno risarcibile;
(b)

accolse l’appello incidentale del ‘ANAS, escludendone qualsiasi

responsabilità.

8. La sentenza d’appello è stata impugn a per cassazione dall’Istituto, in
base a cinque motivi.
Hanno resistito con controricorso sia l’AN S che la sig.a Lina Moriconi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1.

Coi primo motivo di ricorso l’Istituto lamenta che la sentenza

impugnata sarebbe affetta dal vizio di vi lazione di legge di cui all’art. 360,
n. 3, c.p.c..
Assume violato l’art. 246 c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe posto a fondamento
della sentenza una testimonianza resa da un teste incapace, e cioè il sig.
Marco Niccolai, all’epoca dei fatti capo cantoniere dell’ANAS.

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danno patito da Mario Ridondelli fo se ascrivibile a responsabilità

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Udienza del 29 maggio 2014

1.2. Il motivo è inammissibile, per tre ragioni:
(a) sia per inidoneità del quesito di diritto che lo conclude, ai sensi dell’art.
366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al presente giudizio), in quanto
con esso non si chiede a questa Corte di affermare alcuna regula iuris, ma

d’un testimone;
(b) sia per difetto del requisito dell’autosufficienza, in quanto il ricorso non
indica se e quando l’incapacità a deporre fu eccepita nei gradi di merito;
(c) sia perché il teste fu indicato ed intimato dallo stesso Istituto, e la nullità
non può essere invocata dalla parte che vi ha dato causa, in virtù del
principio protestatio contra factum proprium non valet, di cui all’art. 157,
comma 3, c.p.c..

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso l’Istituto lamenta che la sentenza
impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’art. 360,

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n. 3, c.p.c.. Assume violato l’art. 2051 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2051 c.c.,
là dove ha escluso che “custode” dell’albero caduto fosse l’ANAS. Ciò in
quanto:
(a)

l’ANAS ha l’obbligo legale di vigilare sulle strade e sulle connesse

situazioni di pericolo;
(b)

l’ANAS aveva volontariamente già tagliato alcuni alberi nel fondo

dell’Istituto, adiacenti quello caduto, in tal modo assumendo l’obbligo di
custodire l’area dell’intervento.

2.2. Il motivo è infondato.
Oggetto della custodia dell’ANAS poteva essere la strada, non l’albero:
perché in nessun caso l’ANAS può dirsi “custode” dei fondi privati.
La custodia di cui all’art. 2051 c.c. consiste infatti in un potere di fatto sulla
cosa, e l’ANAS – anche ad ammettere che in determinate circostanze possa
intervenire sui fondi privati – non ha certo la disponibilità di questi, né
potrebbe agire su essi all’insaputa o contro la volontà del proprietario.

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di accertare un fatto concerto, e cioè la capacità o l’incapacità a deporre

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Udienza del 29 maggio 2014

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Anche col terzo motivo di ricorso l’Istituto lamenta che la sentenza
impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’art. 360,
n. 3, c.p.c.. Assume violato gli artt. 16 cod. strad. e 26, comma 6, del

Espone, al riguardo, che le norme testé ricordate impongono ai proprietari

di fondi privati confinantEr,con le strade pubbliche di evitare le situazioni di
pericolo per queste ultime. L’ANAS, tuttavia, ha il dovere di vigilare su tali
situazioni di pericolo, e non lo fece. La Corte d’appello pertanto ha violato le
suddette norme, nell’escludere la colpa civile del’ANAS.

3.2. Il motivo è fondato.
La colpa civile, di cui all’art. 2043 c.c., consiste nella deviazione da una
regola di condotta.
“Regola di condotta” è non soltanto la norma giuridica, ma anche qualsiasi
doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante.
Stabilire se questi abbia o meno violato norme giuridiche o di comune
prudenza è accertamento che va compiuto alla stregua dell’art. 1176 c.c.,
comparando la condotta concretamente tenuta dal preteso responsabile,
con quella che un soggetto delle medesime qualità e condizioni avrebbe
tenuto, nelle stesse circostanze di tempo e luogo.
Or bene, l’ente proprietario della strada aperta al pubblico transito è
obbligato a garantire la sicurezza della circolazione (d. Igs. 30 aprile 1992, n.
285, art. 14), e ad adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza
del traffico sulle strade (d. Igs. 26 febbraio 1994, n. 143, art. 2).
Da queste previsioni non discende certo, come correttamente ha ritenuto la
Corte d’appello, l’obbligo dell’ANAS di provvedere alla manutenzione dei
fondi privati. Discende, però, come erroneamente ha trascurato di
considerare la Corte d’appello, l’obbligo dell’ANAS di:
(a) segnalare ai proprietari confinanti le situazioni di pericolo suscettibili di
recare pregiudizio agli utenti della strada;
(b) adottare i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti o
conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio;

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relativo Regolamento di esecuzione.

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Udienza del 29 maggio 2014

(c) come extrema ratio, permanendo l’eventuale negligenza dei proprietari
dei fondi finitimi nel rimuovere le situazioni di pericolo, chiudere la strada al
traffico.
La colpa civile dell’ANAS va dunque accertata non già valutando se abbia o
meno provveduto alla manutenzione dei fondi privati, ma se abbia adottato

o attenuare i rischi derivanti dalla proprietà privata: in primo luogo
segnalando ai proprietari interessati la situazione di pericolo; in secondo
luogo invitandoli ad eliminarla; in terzo luogo inibendo la circolazione.
Ne consegue che l’eventuale inerzia del proprietario nella realizzazione degli
interventi idonei a rendere sicuro il terreno adiacente la strada non elimina
quella del proprietario della strada su cui l’albero era destinato a cadere,
mettendo a repentaglio quella sicurezza della circolazione che, come
specificato, costituisce uno dei compiti primari dell’ANAS (in questi esatti
termini, con riferimento a fattispecie analogia, si è già pronunciata questa
Corte: Sez. 3, Sentenza n. 23562 del 11/11/2011, Rv. 620514).

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5. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello
di Genova, la quale statuirà sulle domande di condanna proposte nei
confronti dell’ANAS applicando il seguente principio di diritto:
L’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito, pur non
essendo custode dei fondi privati che la fiancheggiano, né avendo
akun obbligo di provvedere alla manutenzione di essi, ha tuttavia
l’obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano
situazioni di pericolo per gli utenti della strada e, in caso
affermativo, attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere. Ne consegue
che è in colpa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176,
comma 2, e 2043 cc., l’ente proprietario della strada pubblica il
quale, pur potendo avvedersi con l’ordinaria diligenza d’una
situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la
segnali al proprietario di questa, né adotti altri provvedimenti
cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione.

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le cautele imposte dall’art. 1176, comma 2, c.c., nell’individuare, prevenire

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Udienza del 29 maggio 2014

6. I restanti motivi di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento del terzo.

6. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno
liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385, comma 3, c.p.c..

la Corte di cassazione:
-) accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa e rinvia la causa alla Corte
d’appello di Genova in diversa composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 29 maggio 2014.

P.q.m.

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