Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22330 del 05/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/08/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 05/08/2021), n.22330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8038 /2015 R.G. proposto da:

Mavi Matic S.r.l., in persona del legale rappresentante rappresentata

e difesa dall’avvocato Capecchi Alessandro e dall’avv. Bastianelli

Paola, elettivamente dom. presso lo studio dell’avvocato Bastianelli

Paola, in Roma, P.zza Giuseppe Mazzini, 27;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 1577/13/14, depositata il 29 agosto 2014, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 aprile

2021 dal Consigliere Novik Adet Toni.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con separati avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta dal 2003 al 2006 per Iva ed Irap, l’agenzia delle entrate recuperò nei confronti della Mavi-Matic S.r.l.: a) la detrazione di spese, b) costi ritenuti afferenti ad operazioni inesistenti, c) la somma di Euro 80.000, relativa alla perdita di una caparra confirmatoria;

– i ricorsi presentati dalla società, previa riunione, furono accolti parzialmente dalla CTP, che escluse il recupero della caparra e la sussistenza di operazioni inesistenti; ritenne che le spese sostenute fossero sottoponibili al regime delle spese di rappresentanza;

– la sentenza fu impugnata dalla società e incidentalmente dall’agenzia delle entrate;

– la Commissione tributaria regionale in epigrafe indicata, in riforma della sentenza della CTP, ha respinto l’appello della società e accolto l’appello incidentale dell’agenzia delle entrate;

– la CTR, in via preliminare, ha respinto l’eccezione della società, escludendo che l’appello incidentale dell’agenzia dovesse essere notificato alla parte;

– nel merito, la commissione regionale riteneva che: a) dalle indagini della Guardia di Finanza era emerso che la società aveva utilizzato false fatture di sponsorizzazione emesse da una associazione sportiva (“Associazione sportiva dilettantistica Club Pallavolo Montagna Pistoiese”; b) non era credibile la tesi della società sulle ragioni che avevano determinato la perdita della caparra per un acquisto immobiliare da persona non titolare del bene, stante “la facilità e la velocità con cui poi è stata accettata una perdita consistente”; c) in sintonia con la decisione del primo giudice, andavano considerate spese di pubblicità e di propaganda quelle sostenute per ottenere un incremento della propria attività; d) non incideva sull’illecito tributario l’intervenuta assoluzione in sede penale;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– l’agenzia delle entrate si è costituita con controricorso;

– la contribuente ha depositato una memoria riassuntiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo di ricorso, la società contribuente eccepisce “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 292 c.p.c.”, per aver la CTR escluso che l’appello incidentale proposto dall’agenzia dovesse essere notificato alla società;

– l’eccezione è manifestamente infondata;

– il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54, dispone che: “Le parti diverse dall’appellante debbono costituirsi nei modi e termini di cui all’art. 23 depositando apposito atto di controdeduzioni. 2. Nello stesso atto depositato nei modi e termini di cui al precedente comma può essere proposto, a pena d’inammissibilita, appello incidentale”. A sua volta, l’art. 23, comma 2, dispone che “La costituzione della parte resistente è fatta mediante deposito presso la segreteria della commissione adita del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio e i documenti offerti in comunicazione”. Nessuna norma richiede che l’appello incidentale sia notificato all’altra parte e, in questo senso, si è espressa la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “Nel processo tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 54, solo l’appello principale, che è l’impugnazione proposta per prima, va notificato alle altre parti per poi essere depositato presso la segreteria della commissione tributaria adita nei trenta giorni successivi, mentre l’appello incidentale, vale a dire l’impugnazione proposta successivamente, va solo depositato insieme alle controdeduzioni”. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9757 del 18/04/2017, Rv. 643804 – 01, cui adde, (Sez. 5, Sentenza n. 22023 del 13/10/2006, Rv. 595309 – 01 e successive conformi, Sez. 5, nn. 8785/20008 e 15009/2009).

– Con il secondo motivo, si eccepisce: “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, anche in relazione all’art. 111 Cost., comma 6”, per aver la CTR escluso la rilevanza del giudicato penale di assoluzione nei confronti dell’amministratore della società, trascurando che le indagini bancarie avevano dato esito negativo;

– la censura è inammissibile;

– la lezione interpretativa di questa Corte afferma che “Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva” (Sez. 5, Sentenza n. 2938 del 13/02/2015, Rv. 634894 – 01); “In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (Sez. 5, Sentenza n. 8129 del 23/05/2012, Rv. 622685 – 01);

– pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio al fine di verificare se nel comportamento del contribuente siano ravvisabili elementi che supportino l’accertamento: in questo senso, con giudizio di fatto non censurabile, la CTR ha ritenuto fondato l’accertamento richiamando le dichiarazioni rese dalla parte e da una testimone sulle modalità con cui le somme versate a titolo di sponsorizzazione venivano poi retrocesse alla società, la documentazione rinvenuta e l’esame del conto corrente dell’associazione sportiva;

– infine, nessuna argomentazione -ed il rilievo vale anche per i motivi che seguono – viene sviluppata nel ricorso per sostenere la generica eccezione di incostituzionalità sollevata in rubrica, né vengono indicate le norme oggetto della censura.

– Con il terzo motivo, si eccepisce: “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, anche in relazione all’art. 111 Cost., comma 6” per aver la CTR emesso una motivazione apparente in relazione alla perdita della caparra, utilizzando termini come “irrazionalità e sospetta” che non davano certezza della commissione dell’illecito;

– quanto al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la censura è inammissibile: secondo l’insegnamento di questa Corte, “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento); mentre tale vizio resta escluso con riguardo alla valutazione delle circostanze in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. Sez. U, 21 dicembre 2009, n. 26825);

– la sentenza impugnata non merita affatto cassazione per il dedotto vizio motivazionale, posto che ha respinto il gravame della società contribuente all’esito di una valutazione dei documenti prodotti nel caso in esame, esponendo in maniera intelligibile e completa le ragioni della decisione di riforma; si può dunque affermare che la motivazione della sentenza medesima superi la soglia del c.d. “minimo costituzionale”;

– quanto al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la censura è inammissibile in quanto la CTR ha valutato la congruità dell’operazione commerciale posta in essere e, escludendo che rispondesse ad una corretta logica commerciale, ha dedotto la inesistenza della passività; la ricorrente si limita a censurare la decisione di merito senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti.

– Con il quarto motivo, si eccepisce “art. 360 c.p.c., comma 1, comma 4, anche in riferimento all’art. 111 Cost., comma 6”, sul rilievo che la CTR non avrebbe dato risposta alle doglianze di merito proposte con l’appello principale;

– la censura è inammissibile per genericità, in quanto dalla lettura della sentenza non si ricava che siano state proposte censure diverse da quelle sulle quali la CTR si è pronunciata, per cui il motivo viola il criterio dell’autosufficienza. Infatti, i motivi d’appello dei quali si lamenta l’omesso esame, non risultano compiutamente riportati nel’integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049);

– conclusivamente, il ricorso va respinto;

– le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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