Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22327 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. I, 26/10/2011, (ud. 08/07/2011, dep. 26/10/2011), n.22327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5803-2008 proposto da:

ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI ISERNIA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. ROMAGNOSI 1-B, presso l’avvocato LA CAVA

FRANCESCO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine

ricorso;

– ricorrente –

contro

V.P. (C.F. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PONTEDERA 6,

presso l’avvocato D’ANDREA LUCIANA, rappresentati e difesi

dall’avvocato BIASIELLO CARMINE, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 274/2007 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 27/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2011 dal Consigliere Dott. CARLO PICCININNI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato LA CAVA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato BIASIELLO che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato il 20.11.98 allo IACP di Isernia, V.P., + ALTRI OMESSI dopo aver premesso che con decreto del Sindaco n. 36 del 12.7.95 lo IACP di Isernia era stato autorizzato all’occupazione di mq. 1720,32 del più ampio appezzamento di terreno di loro proprietà di complessivi mq. 2.320, sito in (OMISSIS), riportato in catasto al foglio 44, particella 63, per la realizzazione di un fabbricato per civili abitazioni e che l’opera era stata realizzata senza il completamento nei termini della procedura di esproprio ed il pagamento delle relative indennità, avevano convenuto in giudizio lo IACP, per sentirlo condannare al pagamento del valore venale del terreno occupato e dell’indennità di occupazione legittima, oltre interessi e rivalutazione.

Lo IACP si era costituito in giudizio, per eccepire: che gli attori non avevano dato prova della proprietà del fondo; che l’opera era stata realizzata interamente sulla particella 63, di sua proprietà;

che nessuna opera era stata edificata sul terreno degli attori, occupato per la creazione di parcheggi mai realizzati. Gli attori, nel contestare le eccezioni del convenuto, precisavano che la creazione dei parcheggi a servizio dell’edificio era obbligatoria per legge, per cui la zona doveva ritenersi comunque oggetto di occupazione, e modificavano inoltre la domanda, chiedendo la restituzione della parte del terreno non utilizzata. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Isernia, con la sentenza 30 settembre 2002 n. 552, ritenuta la legittimazione attiva degli attori, accoglieva la domanda di risarcimento danni per occupazione illegittima di mg. 1720,32 (sui presupposti di fatto dell’avvenuta occupazione, dell’avvenuta realizzazione dell’opera e della mancata emissione del decreto di esproprio); riteneva applicabili i criteri indicati dalla L. n. 662 del 1996; faceva propri i calcoli del c.t.u., e così determinava la somma dovuta a titolo di risarcimento danni da occupazione illegittima in Euro 222.339,90 al maggio 2001, ulteriormente rivalutata alla data della sentenza in Euro 227.241,04, oltre interessi legali dalla decisione al soddisfo; liquidava agli attori anche l’indennità per i tre anni di occupazione legittima, determinata in Euro 55.560,26, oltre interessi legali dalla decisione al soddisfo; escludeva esservi titolo per ulteriori danni da (non provata) diminuzione di valore della porzione di terreno non occupata; respingeva la domanda di restituzione del residuo terreno, in quanto non oggetto di espropriazione nè di occupazione.

Con atto notificato in data 11.12.02, lo IACP proponeva appello Si costituivano tutti gli appellati (attori in primo grado), i quali – dopo avere riassunto l’iter della procedura espropriativa, che non si sarebbe mai conclusa con il prescritto decreto di esproprio e che pertanto avrebbe dato causa al fenomeno dell’accessione invertita in favore dello IACP, per effetto della irreversibile trasformazione del fondo verificatasi con l’edificazione del previsto fabbricato – deducevano l’infondatezza dell’appello e proponevano a loro volta appello incidentale, con riferimento all’importo della somma liquidata.

La Corte d’appello di Campobasso con la sentenza n. 274 del 2007 rigettava l’appello principale, mentre accoglieva l’appello incidentale e conseguentemente condannava lo IACP al pagamento, in favore di V.P., + ALTRI OMESSI (in proprio e nella qualità sopra indicata), della maggior somma di Euro 399.812, a titolo di risarcimento dei danni da occupazione appropriativa, oltre rivalutazione monetaria in base agli indici ISTAT relativi all’aumento del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati, dal settembre 1998 al soddisfo, e interessi legali sul capitale rivalutato anno per anno, con la medesima decorrenza, nonchè a quella di Euro 93.289,47 in favore dei medesimi soggetti, a titolo di indennità per occupazione temporanea legittima dal 12.7.95 al 12.7.98, oltre interessi legali dalla scadenza di ciascuna annualità al soddisfo. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi l’IACP della provincia d’Isernia, cui hanno resistito con unico controricorso V.P., + ALTRI OMESSI i quali hanno anche eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di procura.

Le parti hanno infine depositato memoria. Osserva il Collegio che, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura in quanto rilasciata da soggetto munito dei poteri rappresentativi dell’ente, allo stesso devono essere applicate le disposizioni di cui al capo I del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 all’epoca vigenti (a far tempo dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto;

mentre, per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renderebbe inidonea a giustificare la decisione, deve cioè rappresentare un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass. sez. un. 20603/07).

Inoltre ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 il ricorso deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda. Ciò premesso osserva la Corte che il primo, il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, che denunciano un vizio di motivazione, non sono corredati del pur prescritto momento di sintesi e risultano quindi inammissibili.

Quanto al secondo motivo, con il quale è stato viceversa denunciato un vizio di violazione di legge, lo stesso è ugualmente inammissibile sotto un duplice aspetto, e cioè: a) per inadeguatezza del quesito, con il quale si afferma semplicemente che la CTU non è un mezzo di prova, ma uno strumento di indagine atto a fornire chiarimenti al giudice, senza la rappresentazione del principio di diritto che sarebbe stato male applicato e di quello che in sua vece sarebbe stato viceversa applicabile; b) per la sua non autosufficienza, atteso che in esso non sono indicati nè il contenuto degli atti da cui risulterebbe l’erroneità della consulenza tecnica di ufficio, nè la fase di merito in cui sarebbero state contestate le risultanze della detta consulenza. Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio di legittimità, liquidate in Euro 11.200 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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