Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22326 del 22/10/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 22326 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 25534-2011 proposto da:
BASTANZIO GENNARO BSTGNR47L11I610R, elettivamente
domiciliato in ROMA, L.G0 MESSICO 7, presso lo studio
dell’avvocato TEDESCHINI FEDERICO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ACCARINO
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2014

contro

1093

PRESIDENZA

CONSIGLIO

MINISTRI

DEI

80188230587,

domiciliata ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

1

Data pubblicazione: 22/10/2014

rappresentata e difesa per legge giusta memoria di
costituzione;
– resistente con memoria di costituzione –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO, depositata 1’11/07/2011, R.G.N. 1254/2009;

udienza del 30/04/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato FRANCESCO ACCARINO;
udito l’Avvocato dello Stato GIANNI DE BELLIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’improcedibilità del ricorso;

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

I FATTI
Gennaro Bastanzio propose reclamo dinanzi alla Corte di appello
di Catanzaro avverso il provvedimento con il quale il locale
tribunale, nell’ottobre del 2009, aveva dichiarato inammissibile
(tra l’altro, per genericità ed indeterminatezza dell’istanza)
ex lege 117/1988, nei

confronti dei magistrati che, nelle diverse fasi del processo
penale che lo aveva visto dapprima imputato e condannato in
primo grado e poi definitivamente prosciolto, si erano resi
responsabili di colpa grave, negando con inescusabile negligenza
un fatto la cui esistenza risultava invece incontrastabilmente
dagli atti del procedimento (fatto costituito dall’invio, da
parte sua, di una comunicazione contenente l’indicazione dei
titoli posseduti e della perfetta leggibilità della data sul
rapporto di trasmissione di un fax inviato al Ministero in
relazione ad una vicenda di produzione di medicinali), fatto
avente valenza impeditiva alla prosecuzione di qualsivoglia
iniziativa giudiziaria di carattere penale nei suoi confronti.
La Corte di appello adita, rilevato che il giudice di primo
grado si era comunque pronunciato nel merito della domanda alla
luce delle integrazioni operate dall’esponente nel corso del
procedimento, rigettò il gravame con ordinanza depositata il
primo luglio 2011, condividendo il giudizio di inammissibilità
della domanda espresso in prime cure, attesa la inidoneità dei
comportamenti imputati ai magistrati ad integrare le ipotesi di
responsabilità di cui alla legge 117 del 1988.

3

la domanda risarcitoria da lui proposta,

La sentenza del giudice territoriale è stata impugnata da con
ricorso per cassazione sorretto da 5 motivi di censura ed
illustrato da memoria.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.
si denuncia violazione dell’art. 360 comma

1 nn. 3 e 5 – Violazione dell’art. 112 c.p.c..
Lamenta il ricorrente un vizio di omessa pronuncia, da parte
della Corte di appello, in ordine alla questione della asserita
genericità della domanda risarcitoria sì come rilevata e
predicata dal tribunale di Catanzaro.
Il motivo, al di là della patente inammissibilità in rito
(denunciandosi, con esso, un vizio rilevabile ai sensi dell’art.
360 primo comma n. 4 del codice di rito, e non dei nn. 3 e 5 del
medesimo articolo), è privo di pregio nel merito, poiché lamenta
una omissione di giudizio nella specie del tutto insussistente,
avendo la Corte territoriale esaustivamente argomentato – con
motivazione esente da vizi logico/giuridici, e come tale
sottratta ipso facto al vaglio di questa Corte di legittimità in ordine alle ragioni per le quali le condotte imputate ai
magistrati non rientrassero tra le ipotesi di inescusabile
negligenza previste dalla legge 117/88, non essendo, in
particolare, predicabile la ipotesi normativa della inescusabile
negligenza concretizzatasi nell’utilizzo di elementi del tutto
avulsi dal contesto probatorio, bensì un mero errore di
valutazione del materiale probatorio (la comunicazione a mezzo

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Con il primo motivo,

fax, ritenuta inidonea di per se, dopo essere stata esaminata
nel suo contenuto, a far venir meno l’imputazione ex art. 443
c.p., e degli artt. 2 e 3 D.lgs. 178/91).
Trattandosi, pertanto, di attività valutativa dei fatti e delle
prove, la responsabilità ex art. 2 della citata legge 117 è

territoriale, che non manca di aggiungere, ancora, come
l’ulteriore circostanza dell’omessa valutazione della mancata
produzione di lotti di farmaci nel periodo intercorrente tra il
9 luglio 1999 e il 27 settembre 1999 non risultasse mai dedotta
nel corso del giudizio penale, mentre dagli atti del processo
risultava addirittura acclarata l’opposta circostanza della
produzione dei medicinali nel periodo in contestazione, alla
luce degli elementi di prova a disposizione dell’autorità
giudiziaria.
Con il secondo motivo,

si denuncia violazione ex art. 360 nn. 3

e 5 c.p.c. – violazione art. 113 c.p.c., artt. 2 comma 2 e 3 L.
117/88 – violazione artt. 2 comma 5 e 3 comma 2 lett. c) Dlgs.
178/1991.
Si censura, con esso, la valutazione compiuta dalla Corte di
appello calabrese in punto di sovrapposizione di una
(astrattamente legittima) attività interpretativa ad un
(concretamente illegittimo) travisamento del contenuto della
comunicazione a mezzo fax del luglio 1999, idonea ex se ad
escludere ogni soluzione di continuità nella direzione tecnica
della Iris.

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stata condivisibilmente ritenuta insussistente dalla Corte

Non sul piano dell’interpretazione, bensì su quello della
rilevazione degli elementi disponibili, l’errore ascrivibile ai
giudici penali si sarebbe, pertanto, concretizzato, e come tale
avrebbe potuto e dovuto dar luogo ad un giudizio di
ammissibilità della domanda risarcitoria.
si denuncia violazione art. 360 comma 1 nn.

3 e 5 c.p.c. – violazione art. 113 c.p.c. – violazione art. 2
comma 2 e 3 della legge 117/88.
Lamenta il ricorrente, con riferimento alla omessa deduzione,
nel corso del procedimento penale, della circostanza relativa
alla (mancata) produzione dei farmaci nel periodo
luglio/settembre 1999, che tale circostanza poteva essere
esclusa già dalla lettura del verbale di sequestro, oltre ad
essere attestata, tra l’altro, dalla nota dell’AIFA dell’ottobre
2006.
Con il quarto motivo,

si

denuncia

violazione art. 360 comma 1

nn. 3 e 5 c.p.c. – violazione art. 113 c.p.c. – violazione art.
2 comma 2 e 3 della legge 117/88 – violazione artt. 112 e 113
c.p.c..
Si censura nuovamente, sotto altro profilo e con riferimento
alla condotta tenuta dal GIP, la circostanza relativa alla
mancata produzione del provvedimento idoneo a verificare la
configurabilità dei fatti contestati

sub specie della ritenuta

omissione di allegazione e prova del fatto gravemente colposo
ascritto al magistrato, contestandosi alla Corte territoriale la
illegittimità dell’esame compiuto con riferimento non soltanto

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Con il terzo motivo,

ai profili di ammissibilità del ricorso, ma anche e soprattutto
a quelli attinenti alla fondatezza nel merito della domanda
risarcitoria.
Le censure che precedono possono essere tutte congiuntamente
esaminate, attesane la intrinseca connessione.

La Corte di appello, difatti, con motivazione scevra dai vizi
oggi contestati, ha fornito, come si è già avuto modo di
rilevare nel corso dell’esame del motivo che precede, ampia ed
esaustiva spiegazione delle ragioni per cui, sotto il duplice
profilo dell’esame del fax e della circostanza della produzione
di medicinali nel periodo in contestazione, la condotta tenuta
dai magistrati Auferi e Rana non integrasse alcuna delle ipotesi
di cui all’art. 2 della legge 117/1988, trattandosi di attività
stricto sensu

interpretativa e di valutazione di elementi

probatori a favore 1″imputato, alcuni dei quali nemmeno dedotti
in sede di giudizio.
La impredicabilità, nel caso di specie, di una inescusabile
negligenza così come delineata, nei suoi elementi costitutivi,
dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Cass.
7272/2008; 15227/2007; 13339/2000 ex multis) risulta, a giudizio
del co9llegio, sufficientemente e coerentemente argomentata, e
fa sì che tutti i motivi di censura così come dianzi riportati
siano destinati ad infrangersi su quel corretto impianto
motivazionale, dacché essi, nel loro complesso, pur formalmente
abbigliati in veste di denuncia di una (peraltro del tutto

7

Esse sono infondate.

generica) violazione di legge e di un (non meglio argomentato)
difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una
(ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di
fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di
merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa

all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa
lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e
ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata
sentenza censure del tutto inaccoglibili,
mancata trascrizione, in parte qua,

da un canto, per la

degli atti di causa la cui

interpretazione egli assume errata (con conseguente violazione
del noto principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione),

dall’altro, perché la valutazione delle risultanze

probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute
più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento
di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il
quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della
propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre,
nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di
altre (pur astrattamente possibili e logicamente non
impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare
le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro
tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza
processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’
principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 36

8

Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui

del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun
aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il
merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo
controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a
diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al

del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa
significazione), controllandone la logica attendibilità e la
giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali
alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di
prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema
ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur
denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della
sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in
contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del
giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova
valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate
effectum)

quoad

sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del

procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia
trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non
consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere
analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di
fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità
maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione
procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di
appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di

9

quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti

ottenerne la sostituzione con altre più consone ai
desiderata

propri

, quasi che nuove istanze di fungibilità nella

ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente
proponibili dinanzi al giudice di legittimità.
Con il quinto motivo,

si denuncia violazione art. 360 comma 1

2 comma 2 e 3 della legge 117/88 – violazione art. 4 comma 5
Dlgs. 178/1991; violazione direttive CE 65/65, 319/75, 570/83,
21/87.
La censura è inammissibile, ponendo a questa Corte una questione
del tutto nuova rispetto a quelle sollevate in sede di merito,
senza che il ricorrente indichi in quale fase del giudizio la
questione stessa sia stata tempestivamente sollevata ed
illegittimamente pretermessa o disattesa.
Il ricorso è pertanto rigettato.
La disciplina delle spese – che possono essere in questa sede
compensate per motivi equitativi – segue come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma, li 30.4.2014

nn. 3 e 5 c.p.c. – violazione art. 113 c.p.c. – violazione art.

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