Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22310 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, (ud. 01/10/2020, dep. 15/10/2020), n.22310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25063-2019 proposto da:

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO 22, presso

lo studio dell’avvocato ANGELA GEMMA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALBERTO DUFFINI;

– ricorrente –

contro

M.A., C.E., M.V., nella qualità

di eredi di M.U., elettivamente domiciliati in ROMA,

LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE MARIA ANTONIO ALMA, rappresentati e difesi dall’avvocato

NICOLA VARESE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 167/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 29/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 01/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 29/1/2019, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da L.L. per la condanna dell’avvocato M.U. (e, a seguito del relativo decesso, dei relativi eredi) al risarcimento dei danni asseritamente sofferti dall’attore a seguito della mancata attivazione, da parte del professionista convenuto, del procedimento per il conseguimento, in favore del L., dell’indennità per l’ingiusta detenzione subita;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato, tra le restanti argomentazioni, come l’attore non avesse fornito alcuna adeguata dimostrazione dell’effettivo conferimento, in capo all’avvocato M., dell’incarico per l’introduzione del procedimento diretto al conseguimento dell’indennità per l’ingiusta detenzione;

avverso la sentenza d’appello, L.L. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

C.E., M.V. e M.A., quali eredi di M.U., resistono con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., i controricorrenti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1710,1218,2230 e 2236 c.c., e dell’art. 1176 c.c., comma 2 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la responsabilità dell’avvocato M. in ragione della mancata dimostrazione, da parte dell’attore, del rilascio della procura speciale indispensabile ai fini dell’introduzione del procedimento per il conseguimento dell’indennità per l’ingiusta detenzione subita;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come l’odierno ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

nel caso di specie, varrà sottolineare come il giudice a quo – pur avendo evidenziato, tra le restanti argomentazioni, il mancato rilascio, da parte del L., della procura speciale per l’attivazione del procedimento inteso al conseguimento dell’ingiusta detenzione – abbia in ogni caso rilevato come la ragione dirimente dell’infondatezza della domanda proposta dall’attore consistesse nella decisiva circostanza della mancata dimostrazione, da parte del L., dell’effettivo conferimento, in capo al M., dell’incarico di agire ai fine di promuovere il giudizio per il conseguimento dell’ingiusta detenzione, con la conseguente mancata acquisizione della prova della conclusione del contratto d’opera professionale in relazione al quale l’odierno ricorrente ancora invoca il riconoscimento del relativo inadempimento;

ciò posto, la censura in esame, nell’insistere sul preteso erroneo mancato riconoscimento degli inadempimenti del M. in relazione agli obblighi contrattuali (a dire del ricorrente) assunti, deve ritenersi inammissibile per le ragioni indicate;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale integralmente trascurato l’esame della circostanza consistita nell’avvenuta accettazione dell’incarico professionale da parte del M., come dimostrato dalla dichiarazione resa in giudizio dalla teste A.L.;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inattendibili i testi condotti in giudizio dall’attore a causa della relativa vicinanza a quest’ultimo;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

osserva il Collegio come, attraverso le censure critiche articolate con i motivi d’impugnazione qui illustrati, il ricorrente si sia inammissibilmente spinto a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione;

deve qui, infatti, ribadirsi il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020, Rv. 656802 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);

nella specie, la Corte d’appello di Brescia ha espressamente evidenziato come l’estrema vicinanza dei testi escussi su sollecitazione dell’appellante inducesse necessariamente a valutare con grande attenzione la portata delle deposizioni rese, a tacere del fatto che nulla era stato riferito – perchè ovviamente non ascoltato dei testi – circa l’accettazione dell’incarico da parte del difensore, tenuto conto del fatto che l’imputato aveva anche in altre circostanze fatto ricorso ad altri difensori per le sue esigenze di difesa penale e che l’appellante era rimasto anche in debito per le varie prestazioni professionali eseguite dall’avvocato M. in precedenza (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata);

si tratta di considerazioni che il giudice d’appello ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma, dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 1 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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