Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22310 del 03/11/2016

Cassazione civile sez. II, 03/11/2016, (ud. 30/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8701-2012 proposto da:

S.T., (OMISSIS), ALPI SRL (OMISSIS), P.D.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZZA CAVOUR presso la

CORTE di CASSAZIONE rappresentati e difesi dall’avvocato BERNARDINO

PASANISI;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

POMA 4, presso lo studio dell’avvocato MARCO BALIVA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO ANGARANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE sezione

distaccata di TARANTO, depositata il 13/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato PASANISI Bernardino, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento delle difese esposte riportandosi al

contenuto del ricorso;

udito l’Avvocato TORALDO Edoardo, difensore del resistente c chiesto

l’accoglimento delle difese in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.T., P.D. e Alpi s.r.l. impugnavano la delibera condominiale del 22 aprile 2004 con la quale era stato conferito all’amministratore del Condominio di corso (OMISSIS), l’incarico di porre in essere ogni attività necessaria alla rimozione di alcune canne fumarie installate dalla società attrice, conduttrice di un immobile locato ad uso commerciale, appartenente alla predetta S., lungo la facciata interna dello stabile condominiale.

Il Condominio si costituiva; chiedeva il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, domandava la condanna degli attori alla rimozione della canna fumaria, con riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

Il Tribunale di Taranto rigettava la domanda attrice e accoglieva quella riconvenzionale.

Sul gravame interposto da S., P. e Alpi la Corte di appello di Lecce pronunciava sentenza pubblicata in data 13 febbraio 2012, con cui era decisa anche l’impugnazione incidentale spiegata dal Condominio. Riteneva il giudice distrettuale che l’eccezione di carenza di legittimazione dell’amministratore del Condominio fosse infondata, posto che la detta legittimazione poteva evincersi dal contesto dell’impugnata delibera e posto, altresì, che nessuna autorizzazione era necessaria per la resistenza in giudizio e per la proposizione della domanda riconvenzionale. Rilevava altresì che il Condominio fosse munito dell’interesse ad agire, venendo in questione la conservazione di una struttura comune, quale il muro perimetrale del fabbricato condominiale, da preservare a fronte dell’appoggio di manufatti. Osservava, inoltre, che il regolamento condominiale predisposto dall’originaria proprietaria era stato richiamato delle successive cessioni e quindi accettato da ogni singolo condomino acquirente. Assumeva, in proposito, che il giudice di prima istanza aveva correttamente interpretato le clausole del regolamento condominiale che assumevano rilievo nella concreta fattispecie e riteneva inammissibili le deduzioni degli appellanti afferenti la nullità della delibera assunta. Infine reputava che nessuna doglianza potesse sollevarsi con riferimento a presunti diritti reali implicati nella controversia, posto che il tema del decidere era circoscritto alla legittimità dell’impugnata delibera, e disattendeva la censura concernente l’omesso preventivo inserimento della questione relativa alla rimozione della canna fumaria nell’ordine del giorno dell’assemblea. Il gravame principale era dunque respinto. Veniva invece accolto l’appello incidentale, che concerneva il tema delle spese processuali.

Contro detta sentenza ricorrono per cassazione S., P. e Alpi s.r.l., che fanno valere undici motivi di impugnazione; resiste con controricorso il Condominio. I ricorrenti, in prossimità dell’udienza, hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è lamentata violazione di legge e nullità del procedimento in relazione agli artt. 948, 949, 1131 e 460 c.c., oltre che con riferimento agli artt. 81 e 100 c.p.c.. Sottolineano i ricorrenti che le azioni reali nei confronti di terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni dell’edificio esulano dall’ambito degli atti meramente conservativi e non possono essere quindi proposte dall’amministratore in rappresentanza del condominio.

Il motivo è infondato.

In tema di condominio negli edifici, l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare, potendo anche gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacchè l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (Cass. 23 gennaio 2014, n. 1451). Nessuna questione può poi porsi quanto alla legittimazione e all’interesse dell’amministratore a proporre la domanda riconvenzionale diretta a dare esecuzione alla delibera oggetto di impugnazione: infatti, non è stata censurata la ratio decidendi della sentenza in base alla quale l’autorizzazione a stare in giudizio doveva evincersi dal tenore della delibera, con cui si era dato mandato all’amministratore “di porre in essere ogni attività opportuna per la rimozione della canna fumaria” (provvedimento impugnato, pag. 5). Peraltro, a norma dell’art. 1131 c.c., comma 1, l’amministratore del condominio ha la facoltà di agire in giudizio “nei limiti stabiliti dall’art. 1130” e, in base a quest’ultimo (comma 1, n. 1), compete all’amministratore “eseguire le deliberazioni dell’assemblea”.

Ammessa la legittimazione, non si vede, poi, come possa negarsi l’interesse ad agire. Con l’esecuzione della delibera condominiale che vieta l’apposizione della canna fumaria l’ente di gestione mira, infatti, al conseguimento di un risultato utile, costituito dalla rimozione dell’innovazione che assume attuata nell’inosservanza delle prescrizioni del regolamento di condominio.

Con il secondo motivo viene denunciata violazione di legge in relazione agli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1370 e 1371 c.c..

La censura investe il profilo attinente alla interpretazione del regolamento condominiale contrattuale: in particolare, secondo gli istanti, la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto la sussistenza di un diritto esclusivo di uso dei muri perimetrali in favore di un solo condomino, il proprietario dei locali ad uso diverso dall’abitazione – siti ai piani terraneo e tredicesimo: ciò, in esito a un’attività ermeneutica condotta in violazione delle richiamate norme civilistiche.

Il terzo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo e controverso. La critica investe l’interpretazione del regolamento condominiale sul versante motivazionale, avendo riguardo ai diversi passaggi dell’iter logico seguito dal giudice dell’impugnazione.

Con il quarto motivo la sentenza è censurata, ancora, per insufficiente e contraddittoria motivazione. E’ rilevato, in particolare, come la Corte di merito avesse impropriamente attribuito rilievo al fatto che l’immobile degli appellanti era adibito ad attività di ristorazione e non rientrasse quindi nella tipologia di immobili destinati a negozi, banche agenzie descritti nel regolamento condominiale: immobili in favore dei quali era consentito l’utilizzo delle mura perimetrali per l’apposizione di canne fumarie.

Il quinto motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto controverso e decisivo per il giudizio.

Viene ivi rilevato che l’utilizzo delle mura perimetrali per l’appoggio di canne fumarie costituiva facoltà normalmente correlata ai diritti dei condomini sulle parti comuni e non implicava alcun abuso e rischio di fastidiose immissioni.

I quattro motivi possono esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, e vanno disattesi, essendo precluso un riesame dei profili fattuali su cui si regge l’attività interpretativa spesa dalla Corte distrettuale.

Quest’ultima ha evidenziato che l’art. 8 del regolamento condominiale consentiva ai titolari di immobili diversi da quello condotto da Alpi s.r.l. la predisposizione di canne fumarie sui muri perimetrali, mentre l’art. 10 faceva divieto ai condomini di eseguire innovazioni ed opere sulle parti comuni, fatta eccezione per quanto previsto dal cit. art. 8. Tale eccezione – ha precisato il giudice dell’impugnazione – concerneva i locali siti al piano tredicesimo e quelli ubicati al piano terra che erano adibiti a negozi, uffici, banche e agenzie, categorie delle quali non rientrava l’attività di ristorazione esplicata dalla società oggi ricorrente, e andava coordinata con l’esigenza di evitare abusi, di conservare il normale assetto dei muri perimetrali e di impedire fastidiose immissioni.

Ciò posto, l’interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici (Cass. 31 luglio 2009, n. 17893; Cass. D23 gennaio 2007, n. 1406).

L’attività ermeneutica svolta dai giudici di merito non è allora censurabile in questa sede. Essa infatti valorizza, come aveva già fatto il Tribunale, il dato della precisa indicazione, nel corpo del regolamento condominiale, di alcune, specifiche, attività commerciali, tra cui non era inclusa quella di ristorazione.

L’operazione interpretativa, oltre a basarsi su di un dato testuale che la Corte di merito non ha ritenuto confliggente con il contenuto della volontà negoziale (sicchè legittimo appare, sotto tale profilo, il rilievo conferito al dato letterale: Cass. 9 dicembre 2014, n. 25840), presenta certamente, sul piano logico, una sua ragionevolezza.

Va ricordato, in proposito, che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un negozio non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254, Cass. 20 novembre 2009, n. 24539).

Con il sesto motivo sono sollevate doglianze aventi ad oggetto la violazione di legge e la nullità del procedimento: questo in relazione agli artt. 1421, 112 e 102 c.c.. Osservano i ricorrenti che la Corte distrettuale aveva errato nel ritenere tardiva la proposizione della questione relativa alla nullità delle clausole di cui agli artt. 8 e 10 del regolamento condominiale.

La censura non merita accoglimento.

Ha osservato la Corte di merito che la deduzione circa la nullità delle disposizioni di cui agli artt. 8 e 10 del regolamento condominiale – proposta dagli odierni ricorrenti solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., e basata sul rilievo per cui le nominate clausole avrebbero violato le norme imperative che impongono lo smaltimento oltre la quota del tetto dei gas di scarico – risultava intempestiva; ha altresì rilevato che la nullità stessa non era rilevabile d’ufficio, in quanto il correlativo accertamento non costituiva un passaggio logico necessario della decisione circa la validità della delibera.

Deve rilevarsi in proposito, che, secondo la giurisprudenza più recente delle Sezioni Unite di questa Corte, il giudice ha sempre l’obbligo di rilevare e di indicare alle parti una causa di nullità negoziale, potendo dichiarare nel provvedimento decisorio sul merito (nel dispositivo o nella motivazione) la nullità del negozio, rigettando in tal modo non solo la domanda di adempimento, ma anche quelle di risoluzione, annullamento o di rescissione del negozio stesso (Cass. S.U. 12 dicembre 2014, n. 26242 e Cass. S.U. 12 dicembre 2014, n. 26243).

Correlativamente, l’eccezione di nullità del negozio è sempre deducibile nel corso del giudizio di merito in cui si dibatta dell’annullabilità di esso. E’ da osservare, tuttavia, che i ricorrenti non hanno nemmeno dedotto, nel motivo, che nella fattispecie fosse stata prospettata una nullità della delibera condominiale oggetto di impugnativa: gli istanti si sono infatti limitati a prospettare la nullità delle norme del regolamento condominiale sulla scorta delle quali venne assunta la decisione, senza affermare alcunchè in ordine ad un vizio di radicale invalidità della delibera. Per altro verso, è da considerare che la questione divisata non ha nemmeno in astratto ad oggetto una nullità negoziale, dal momento che il regolamento condominiale, – in base a quanto accertato dai giudici di merito – non permette l’utilizzo delle mura perimetrali dell’edificio per apporvi canne fumarie al servizio di un esercizio di ristorazione.

Essa non si pone in conflitto con la richiamata disciplina che impone lo smaltimento dei fumi oltre la quota del tetto, essendo anzitutto compatibile con la destinazione dell’immobile ad utilizzi che non esigono la dotazione di una canna fumaria e non imponendo, comunque, lo scarico dei gas al di sotto della suddetta quota (lo scarico stesso potendo sempre teoricamente attuarsi con modalità congruenti con la disciplina di legge: e così, ad esempio, con la costituzione di servitù volontarie).

Con il settimo motivo è lamentata violazione di legge, in relazione all’art. 1136 c.c. e nullità del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c.. La censura concerne l’assunto dei giudici di merito secondo cui non poteva configurarsi l’eccepita nullità o inesistenza dell’atto impugnato, sotto il profilo della prospettata impossibilità di qualificare lo stesso come deliberazione assembleare: i ricorrenti avevano infatti dedotto nelle precorse fasi del giudizio che la determinazione dell’assemblea fosse affetta dai radicali vizi sopra indicati, essendo stata assunta in assenza di una maggioranza qualificata e, all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, essi avevano eccepito la nullità o inesistenza della deliberazione impugnata.

Il motivo non ha fondamento.

La Corte di merito ha osservato, sul punto, che la questione era stata prospettata tardivamente, dal momento che l’inesistenza della prescritta maggioranza determinava la mera annullabilità della delibera. Tale affermazione è indubbiamente corretta, dovendo qualificarsi annullabili, tra le altre, le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea e quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale (Cass. S.U. 7 marzo 2005, n. 4806; Cass. 20 luglio 2010, n. 17014; Cass. 21 febbraio 2007, n. 4014).

L’ottavo mezzo denuncia nullità del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c. e si basa sul rilievo per cui il Condominio, nella memoria di replica depositata il 11 maggio 2007, aveva espressamente dichiarato di non voler esercitare alcuna azione di natura reale.

La censura va disattesa.

Essa risulta carente di autosufficienza, dal momento che il motivo di ricorso non riproduce il contenuto della memoria in cui sarebbe stato contenuto il dedotto atto di rinuncia alla domanda svolta.

Con il nono motivo è lamentata violazione di legge in relazione all’art. 66 disp. att. c.c.. La doglianza attiene all’esame dell’eccezione, già proposta dei ricorrenti, relativa alla mancata menzione, all’interno dell’ordine del giorno dell’assemblea, della questione relativa alla rimozione della canna fumaria.

Il motivo non è fondato.

I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di appello, nel decidere la questione indicata, abbia affermato che “la delibera di rimozione della canna fumaria individuale si poneva come sviluppo logico-argomentativo rispetto alla questione posta all’ordine del giorno relativa alla richiesta d’uso della canna fumaria condominiale” e sostenuto, poi, che il condomino dissenziente che accetti la discussione non può impugnare la delibera per il difetto di un valido ordine del giorno. Trascurano, però, di considerare che quest’ultima ratio decidendi è senz’altro corretta. Infatti, l’omessa indicazione di un argomento, poi deliberato, all’ordine del giorno di un’assemblea condominiale non può essere rilevata dal condomino dissenziente nel merito, se non ha preliminarmente eccepito in quella sede l’irregolarità della convocazione (cfr. Cass. 19 novembre 2009, n. 24456, citata nella sentenza impugnata). Andava poi opportunamente censurata attraverso la deduzione del vizio di motivazione la ritenuta mancata proposizione, in sede di assemblea, della questione relativa alla regolarità della convocazione; sul punto, oltretutto, il motivo risulta carente di specificità, dal momento che esso non indica i passaggi del verbale di assemblea rilevanti a tal fine.

Il decimo mezzo denuncia nullità del procedimento in relazione all’art. 102 c.p.c.. Sostiene parte ricorrente che la domanda riconvenzionale, coinvolgendo i rapporti tra condominio e condomino titolare esclusivo del diritto d’uso, avrebbe dovuto essere trattata nel contraddittorio con quest’ultimo soggetto, indicato come “unico titolare del diritto d’uso”.

Nemmeno tale motivo merita condivisione.

Esso risulta articolato in modo poco chiaro e pare fondarsi su di una premessa non rispondente al vero: e cioè sul fatto che il giudizio avesse ad oggetto l’accertamento del diritto rivendicato da uno dei condomini su un bene di proprietà comune. Vero invece, che la domanda riconvenzionale del Condominio mirava all’attuazione della delibera impugnata, la quale concerneva la rimozione della canna fumaria posta in opera da Alpi s.r.l.. Rispetto a tale domanda la legittimazione del singolo condomino menzionato nel corpo del motivo non ha alcuna ragion d’essere.

Con l’undicesimo motivo ci si duole della violazione di legge e della nullità del procedimento in relazione agli artt. 2697 e 2659 c.c., oltre che dell’art. 112 c.p.c., nonchè della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto controverso e decisivo per il giudizio. Viene in questione il divieto alla posa in opera della canna fumaria che, secondo la Corte di merito, era contenuto nel regolamento condominiale. Secondo gli istanti il loro atto di acquisto conteneva, a tale riguardo, un richiamo assolutamente generico, perciò inidoneo ad imporre limiti al diritto d’uso e alla costituzione di servitù reciproche. Inoltre il giudice del gravame aveva trascurato di prendere in esame quanto rilevato dai ricorrenti in ordine alla circostanza per cui le limitazioni inerenti ai diritti reali su parti comuni, eventualmente contenute nel regolamento condominiale di natura contrattuale, dovevano essere riportate integralmente nella nota di trascrizione.

Il motivo è carente di autosufficienza e risulta essere comunque infondato.

Sotto il primo profilo, è da osservare che ricorrenti omettono di riprodurre il contenuto dell’atto di acquisto e della nota di trascrizione da loro richiamati e non pongono quindi questa Corte nella condizione di apprezzare il fondamento di quanto rilevato con riguardo a un tale oggetto. Oltretutto, la censura appare diretta a un inammissibile riesame dell’accertamento di fatto compiuto dai giudici del merito.

Sotto il secondo profilo va rilevato che la Corte di merito ha osservato come l’eccezione inerente alla mancata trascrizione del regolamento condominiale era stata sollevata tardivamente in grado di appello. Ora, anche a voler prescindere dal fatto che, in termini generali, il difetto di trascrizione di un atto non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepito dalla parte interessata a farlo valere in proprio favore (Cass. 27 maggio 2011, n. 11812) – il che dovrebbe implicare l’assoggettamento del mezzo di difesa in questione al regime delle eccezioni in senso stretto – deve evidenziarsi che l’ingresso della questione nel giudizio non potrebbe mutarne l’esito, giacchè le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio: regolamento ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. 31 luglio 2009, n. 17886; Cass. 3 luglio 2003, n. 10523). Ebbene, il richiamo del regolamento nei vari atti di cessione è stato accertato dalla Corte di merito sulla scorta dello stesso riconoscimento della circostanza da parte degli appellanti (pag. 6 della sentenza).

In conclusione, il ricorso va respinto.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, in data 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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