Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22308 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 03/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15736-2012 proposto da:

S.I., M.R., rappresentati e difesi dall’avvocato

MAURO CASELOTTI;

– ricorrenti –

contro

D.F.C., rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe

Frigotto;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 229/2011 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI

SOAVE, depositata il 29/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità o il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Giudice di Pace di Soave, in data 26 ottobre 2009, pronunciava decreto ingiuntivo n. 462/2009 su domanda di D.F.C. nei confronti di M.R. e S.I. per il pagamento della somma complessiva di Euro 1.909,40, pari ad Euro 950,70 per ciascuno degli intimati, oltre interessi. L’istante D.F. richiedeva l’importo ingiunto a titolo di ripetizione pro quota del compenso liquidato al consulente tecnico d’ufficio nominato nella causa civile svoltasi davanti al Tribunale di Verona, compenso che con decreto del 15 luglio 2006 era stato provvisoriamente posto a carico solidale “degli attori” (quali, appunto, D.F.C., M.R., S.I. e tale P.G.) e pagato in via esecutiva dal medesimo D.F., a seguito del pignoramento eseguito nei suoi confronti dal CTU.

Notificato il decreto ingiuntivo il 6/17 novembre 2009, con atto di citazione del 26 aprile 2010 M.R. e S.I. convenivano davanti al Giudice di Pace di Soave D.F.C. per ottenere la revocazione del Decreto Ingiuntivo n. 462/2009, in quanto il provvisorio accollo del compenso del CTU a tutti gli attori in solido, disposto col decreto del 15 luglio 2006, era poi stato modificato dal Tribunale di Verona in sede di sentenza definitiva del 5 agosto 2009, con la quale le relative spese erano state messe a carico dei soli attori D.F.C. e P.G., nonchè dei convenuti soccombenti. Il Giudice di pace di Soave, con sentenza del 25 ottobre 2010, revocava il Decreto Ingiuntivo n. 462/2009 e dichiarava che M.R. e S.I. nulla dovessero a D.F.C.. Ad avviso del Giudice di pace, sussisteva, infatti, il contrasto, agli effetti dell’art. 395 c.p.c., n. 5, tra le statuizioni contenute nella sentenza, non impugnata, del 5 agosto 2009 ed il Decreto Ingiuntivo del 26 ottobre 2009. Veniva proposto appello da D.F.C. e il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con sentenza n. 229/2011 del 29 novembre 2011, accoglieva l’appello e dichiarava inammissibile la revocazione.

Osservava il Tribunale come l’art. 395 c.p.c., n. 5, richiamato dall’art. 656 c.p.c. con riguardo alla revocazione del decreto ingiuntivo divenuto esecutivo, configuri un caso di revocazione dovuta ad un vizio palese del provvedimento monitorio, ovvero al suo contrasto con un precedente giudicato (nella specie costituito dalla sentenza resa dal Tribunale il 5 agosto 2009). Il giudice d’appello affermava allora che M.R. e S.I. erano a conoscenza della sussistenza di un tale contrasto (come dimostrato anche dalla prodotta e-mail del (OMISSIS), in cui il loro difensore chiedeva al difensore del D.F. di rinunciare al decreto ingiuntivo, stante l’intervenuta sentenza definitiva) e, nonostante ciò, non avevano proposto tempestiva opposizione avverso l’ingiunzione. Concludeva il Tribunale, pertanto, che “gli ingiunti hanno fatto acquiescenza totale al d.i. non opposto nei termini di legge e non possono oggi dolersi di tale decreto proponendo la revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 5”, atteso che “la revocazione, infatti, per dottrina unanime, è un mezzo di impugnazione residuale che non può concorrere con i mezzi ordinari di impugnazione perchè ove vi siano ancora i termini per proporre i mezzi ordinari (nel caso di specie l’opposizione ex art. 645 c.p.c.) non può darsi ingresso alla revocazione”.

Avverso la sentenza del Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, M.R. e S.I. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi. Resiste con controricorso D.F.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso di M.R. e S.I. denuncia l’errata e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. per aver il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, ritenuto quale acquiescenza al decreto ingiuntivo la mancata opposizione ai sensi dell’art. 645 c.p.c., oltretutto in presenza della comunicazione a mezzo posta elettronica con cui il difensore dei ricorrenti chiedeva alla controparte di rinunciare al decreto ingiuntivo ed al precetto, riservandosi di proporre opposizione ed evidenziando il contrasto tra l’ingiunzione e la sentenza del 5 agosto 2009.

Il secondo motivo di ricorso censura il vizio di motivazione proprio quanto alla valutazione del messaggio di posta elettronica indicato già a sostegno del primo motivo.

Il terzo motivo ipotizza l’errata o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 4 e art. 345 c.p.c., e la nullità della sentenza, per aver il Tribunale posto a base della propria decisione un’eccezione di acquiescenza rilevata d’ufficio in appello e non indicata alle parti.

I tre motivi di ricorso, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono del tutto infondati.

La decisione di inammissibilità della revocazione adottata dal Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, è, infatti, conforme a diritto.

Il Tribunale ha ritenuto che, pur essendo M.R. e S.I. a conoscenza della sussistenza del contrasto tra il Decreto Ingiuntivo n. 462/2009 del 26 ottobre 2009 e la sentenza del 5 agosto 2009, essi, non di meno, non avevano proposto tempestiva opposizione avverso l’ingiunzione, con ciò rivelando di aver “fatto acquiescenza totale al d.i.”.

Ora, l’art. 656 c.p.c. consente l’impugnazione del decreto ingiuntivo per revocazione nei casi indicati nei dell’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 5 e 6 allorchè il decreto sia divenuto esecutivo per mancata opposizione o mancata costituzione dell’opponente, secondo le ipotesi espressamente previste dal richiamato art. 647 c.p.c..

L’assoggettamento del decreto ingiuntivo alla revocazione straordinaria per i motivi previsti dal cit. art. 395, nn. 1, 2 e 6 (come all’opposizione di terzo) in tanto ha ragione di esistere, del resto, in quanto l’esaurimento dell’esperibilità di quelli ordinari abbia già dato luogo al giudicato (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19429 del 06/10/2005). L’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto, comunque, non viene meno di per sè a seguito dell’opposizione tardivamente proposta, così come il passaggio in giudicato dello stesso non è impedito – o revocato dalla sua impugnazione con la revocazione straordinaria o l’opposizione di terzo (art. 656 c.p.c.), rimedi straordinari per loro natura proponibili avverso sentenze passate in giudicato.

Si esclude, di regola, la possibilità di un concorso tra revocazione ed opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., sicchè la revocazione non sarebbe ammissibile quando il debitore ingiunto si sia astenuto dal proporre tempestiva opposizione, pur essendo venuto a conoscenza, nella pendenza del termine di cui all’art. 641 c.p.c., comma 1, dei motivi di revocazione. Lo stesso art. 329 c.p.c., invocato dai ricorrenti nel primo motivo di ricorso, per il riferimento che il Tribunale fa all’acquiescenza, si apre con la riserva “salvi i casi di cui all’art. 395, nn. 1, 2, 3 e 6”, riserva che sta a significare che, in quei casi richiamati, in tanto può parlarsi di acquiescenza, in quanto il soccombente, appunto, conosca l’esistenza dei fatti costitutivi di tali motivi di revocazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6883 del 11/08/1987).

Diversamente opera la revocazione per contrarietà a precedente giudicato, espressamente riconosciuta dall’art. 656 c.p.c..

Deve, invero, considerarsi come l’art. 327 c.p.c., comma 1, assoggetti la revocazione per i motivi indicati nell’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5 agli ordinari termini di decadenza dall’impugnazione, decorrenti dalla pubblicazione della sentenza stessa ovvero dalla sua notificazione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1519 del 22/05/1974; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6322 del 05/06/1993). Qualora il contrasto con precedente giudicato non sia utilmente fatto valere mediante domanda di revocazione nel termine fissato dalla legge, il vizio della seconda pronuncia rimane sanato e, in applicazione del criterio temporale, il secondo giudicato prevale sul primo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23515 del 19/11/2010; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10623 del 08/05/2009; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2082 del 26/02/1998).

L’art. 395 c.p.c., n. 5, secondo unanime interpretazione di questa Corte, suppone, peraltro, che, perchè una sentenza (ovvero, agli effetti dell’art. 656 c.p.c., un decreto di ingiunzione) possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre che, prima dell’emanazione (e non prima del passaggio in giudicato) della sentenza (o del decreto ingiuntivo) impugnata per revocazione, sia intervenuto un’altra sentenza che abbia deciso in senso contrario, con efficacia di giudicato, tra le stesse parti e sullo stesso punto oggetto della decisione adottata nella pronuncia successiva. Il contrasto rispetto ad un giudicato esterno intervenuto successivamente all’emanazione della sentenza da impugnare è, invece, denunciabile con i mezzi ordinari di gravarne, non essendo l’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 5, evidentemente rimedio idoneo per tutte le situazioni di conflitto tra giudicati (Cass. Sez. L, Sentenza n. 5574 del 07/06/1999; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3158 del 23/05/1984; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 545 del 06/03/1970).

Deve pertanto rilevarsi come, al momento dell’emanazione del Decreto Ingiuntivo n. 462/2009 del 26 ottobre 2009, che condannava M.R. e S.I. al pagamento della somma di Euro 1.909,40 in favore D.F.C., sul presupposto del riparto interno tra le parti del compenso dovuto al consulente tecnico d’ufficio stabilito nel decreto di liquidazione provvisoria del 15 luglio 2006, non fosse ravvisabile il motivo di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 5, essendo in ogni caso inammissibile la revocazione quando il debitore ingiunto si sia astenuto dal proporre tempestiva opposizione, pur essendo venuto a conoscenza, nella pendenza del termine di cui all’art. 641 c.p.c., comma 1, dei motivi di revocazione.

Alcuna decisività hanno, quindi, i motivi di ricorso, tutti volti a negare la sussistenza di un’acquiescenza dei medesimi ricorrenti M. e S. al decreto ingiuntivo, intesa come preclusiva all’esperibilità della revocazione, ovvero ad affermare la non rilevabilità della medesima acquiescenza da parte del giudice d’appello.

Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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