Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22303 del 05/08/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/08/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 05/08/2021), n.22303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G.M. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA R.M. – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13177/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

– controricorrente incidentale –

contro

Sahara di G.B. & C. s.n.c., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via

Ottaviano n. 42, presso lo studio dell’avv. Bruno Lo Giudice, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. Franco Zangheri giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

e contro

B.E.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 39/19/11, depositata il 7 aprile 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 dicembre 2020

dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mucci Roberto, che ha concluso per l’accoglimento dei

motivi terzo e sesto del ricorso principale ed il rigetto del

ricorso incidentale.

Udito l’avv. Fabrizio Urbani Neri per la ricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 39/19/11 del 07/04/2011, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto da Sahara di G.B. & C. s.n.c. (di seguito Sahara) e del socio amministratore B.E. avverso la sentenza n. 45/03/08 della Commissione tributaria provinciale di Forlì (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso proposto dai contribuenti e concernente due avvisi di accertamento, l’uno nei confronti della società per IRAP e IVA e l’altro nei confronti del socio per IRPEF, entrambi relativi all’anno d’imposta 2002.

1.1. Come emerge anche dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento nei confronti della società era stato emesso in ragione di tre fatture ricevute per provvigioni e consulenza prive di presupposti giustificativi; l’avviso di accertamento nei confronti del socio, invece, veniva emesso in conseguenza della rettifica del reddito della società e imputato per partecipazione; analoghi avvisi di accertamento per reddito di partecipazione risultavano notificati anche agli altri soci G.B., B.E. e N.F.M..

1.2. La CTR, per quanto ancora interessa in questa sede, motivava l’accoglimento dell’appello della società contribuente evidenziando che: a) non vi era violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14 in materia di litisconsorzio necessario: da un lato, non era stata mai chiesta la riunione dei singoli procedimenti riguardanti i soci G.B. ed B.E., i cui procedimenti erano stati definiti dalla medesima Sezione della CTP e dallo stesso collegio, dall’altro, N.F.M. non aveva mai impugnato l’avviso di accertamento che lo riguardava; b) la mancata risposta al questionario da parte della società contribuente poteva determinare unicamente una sanzione, non già l’indeducibilità dei costi; c) i costi erano certi e determinabili in base alla convenzione commerciale ed erano stati sostenuti “nella prospettiva di realizzare ricavi “sperati”, soltanto in parte realizzati, tanto da indurre la società a cessare la propria attività nell’anno successivo”, sicché gli stessi erano correlati ai ricavi attesi nel 2002 (sebbene sostenuti nel 2001) e inerenti; d) era del tutto irrilevante che la dichiarazione di intenti era stata ricevuta successivamente alle operazioni alla quale la stessa si riferiva.

2. l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

3. Sahara resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

4. Con ordinanza depositata il 21/07/2020, la Corte disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di B.E., litisconsorte necessario, e l’Agenzia delle entrate provvedeva all’incombente.

5. B.E. non si costituiva in giudizio e restava, pertanto, intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente evidenziato che, a seguito dell’integrazione del contraddittorio con B.E. e come già sottolineato con l’ordinanza del 21/07/2020, il contraddittorio deve ritenersi integro, in quanto: a) il ricorso per cassazione è stato proposto nei confronti della società e del socio B.E., cioè dei soggetti nei cui confronti si è svolto il giudizio di appello; b) il rilievo officioso della disintegrità del contraddittorio nei confronti degli altri soci G.B., B.E. e N.F.M. è precluso in ragione della mancata impugnazione del capo della sentenza della CTR che ha escluso la sussistenza del litisconsorzio necessario (Cass. n. 3024 del 28/02/2012; Cass. n. 20260 del 19/09/2006).

2. Sempre in via pregiudiziale va rigettata la generica eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, avendo la ricorrente, nel contesto del ricorso, specificamente fatto riferimento agli atti e ai documenti su cui lo stesso è fondato, sicché l’atto introduttivo del giudizio è autosufficiente.

3. Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la CTR fondato la propria decisione su motivi nuovi, proposti per la prima volta in sede di appello.

3.1. In particolare, la ricorrente si duole: a) della statuizione concernente la corretta fatturazione senza IVA nei confronti di soggetto esportatore abituale in ragione della presentazione di regolare dichiarazione d’intenti, sia pure successiva alla esecuzione delle prestazioni; b) della declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento notificato al socio in epoca successiva alla notificazione dell’avviso di accertamento alla società e, quindi, in difetto di conoscenza di quest’ultimo avviso.

4. Il motivo va disatteso per le considerazioni che seguono.

4.1. La questione sub a) è infondata.

4.2. Secondo quanto emerge dallo stesso ricorso per cassazione, la CTP aveva affermato che “la S.n.C. SAHARA non aveva titolo per la fatturazione in esenzione d’imposta, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 delle fatture (OMISSIS), dato che le stesse risultano emesse 8 giorni prima della dichiarazione d’intento che, per legge, deve necessariamente precedere la documentazione attestante la prestazione di servizio o la cessione di beni”.

4.3. Ne consegue che, laddove la società contribuente si duole della superiore affermazione, non propone alcuna domanda nuova, ma intende infirmare la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla legittimità della emissione di fatture in sospensione d’imposta, valutazione espressa in adesione a quanto ritenuto dall’Ufficio nelle proprie difese; ne consegue che, da un lato, è stata la stessa Agenzia delle entrate ad estendere l’oggetto del giudizio e, dall’altro, la CTR non fa altro che prendere posizione sula valutazione del giudice di primo grado, affermando che la CTP non avrebbe considerato “che l’unica condizione per la quale un soggetto sia qualificabile come “esportatore abituale”, classificando come esempi tutte le operazioni poste in essere, è quella per la quale il soggetto abbia ottenuto la “dichiarazione d’intenti. Tutto ciò si è verificato ed è irrilevante che detta dichiarazione sia intervenuta successivamente in quanto la medesima poteva essere fornita anche verbalmente e poi formalmente confermata con la redazione dell’apposito modulo”.

4.4. La questione sub b) e’, invece, inammissibile per difetto di interesse.

4.5. Sahara ha contestato, in primo grado, un generico vizio della motivazione dell’avviso di accertamento notificato al socio, vizio in ordine al quale la CTP non prende posizione, rigettando implicitamente la questione (si fa, infatti, un generico riferimento alle motivazioni dell’avviso di accertamento notificato al socio, che sarebbero le stesse di quello notificato alla società). Non risulta, peraltro, che i contribuenti abbiano specificamente eccepito, così come fatto in appello, che l’avviso di accertamento notificato al socio sia nullo in ragione della notificazione solo successiva dell’avviso di accertamento alla società.

4.6. Il menzionato fatto è stato allegato solo in grado di appello e costituisce, indubbiamente, una domanda nuova che la CTR non avrebbe potuto esaminare, con conseguente nullità della sentenza in parte qua.

4.7. Tuttavia, l’Agenzia delle entrate, che vede rigettati i motivi di ricorso proposti con riferimento all’annullamento dell’avviso di accertamento nei confronti della società; come si dirà nel prosieguo), non ha interesse all’accoglimento del menzionato motivo, atteso che l’annullamento dell’avviso di accertamento nei confronti della società comporterebbe l’annullamento anche dell’avviso di accertamento nei confronti del socio, dallo stesso direttamente dipendente.

5. Con il secondo motivo di ricorso principale si contesta la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la società contribuente, non avendo risposto al questionario inoltrato dall’Ufficio, non avrebbe potuto utilizzare i documenti oggetto di richiesta, salva la prova di non avere potuto adempiere per fatto non imputabile.

6. Il motivo è ammissibile, diversamente da quanto eccepito in controricorso.

6.1. Secondo la difesa della società contribuente, la censura sarebbe inammissibile in quanto: a) l’avviso di accertamento non farebbe riferimento alla decadenza dalla produzione documentale; b) i documenti esaminati in giudizio sarebbero stati prodotti dalla difesa erariale.

6.1.1. In realtà, la sentenza di secondo grado ha affermato che: a) la vicenda oggetto del giudizio trae origine proprio dalla mancata risposta al questionario da parte della società contribuente; b) secondo la CTP, la mancata risposta al questionario si sarebbe “trasformata in una mancata produzione dei documenti giustificativi dei costi, con la conseguente indeducibilità dei medesimi”; c) tale affermazione non sarebbe condivisibile in quanto la mancata risposta al questionario comporterebbe unicamente una sanzione; d) conseguentemente, non sarebbero stati considerati “i documenti prodotti in giudizio dalla società che ha fornito le prove documentali richieste”.

6.1.2. Da quanto affermato dalla CTR emerge, pertanto, che la questione fa parte del giudizio ed è stata esaminata sia dal giudice di primo grado che dal giudice di appello. Inoltre, la sentenza impugnata dà atto che la deducibilità dei costi è stata ritenuta proprio in ragione della documentazione prodotta dalla società contribuente.

6.1.3. Ne consegue l’infondatezza dell’eccezione proposta.

6.2. Il motivo e’, peraltro, infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

6.3. A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, (nella versione applicabile ratione temporis), richiamato a fini IVA, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, u.c., “Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”.

6.3. Orbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 solo in presenza dello specifico presupposto, la cui prova incombe sull’Amministrazione, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza” (Cass. n. 27069 del 27/12/2016; Cass. n. 11765 del 26/05/2014; con specifico riferimento ai questionari, cfr. Cass. n. 22126 del 27/09/2013; Cass. n. 453 del 10/01/2013).

6.3.1. Peraltro, la sanzione dell’inutilizzabilità riguarda solo “i documenti espressamente richiesti dall’Ufficio, in quanto detta disposizione normativa deve essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. e con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.” (Cass. n. 16548 del 22/06/2018).

6.4. Nel caso di specie, non è dubbio che la CTR sia incorsa in errore sostenendo che la mancata risposta ai questionari comportasse unicamente la comminatoria di una sanzione a carico della società contribuente; tuttavia, è onere dell’Amministrazione finanziaria fornire la prova, da un lato, di quali informazioni sono state chieste con i questionari, atteso che la sanzione di inutilizzabilità riguarda unicamente i documenti cui gli stessi fanno specifico riferimento; dall’altro, di avere avvisato il contribuente delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla mancata risposta.

6.5. Da quanto indicato in ricorso, anche in ragione della mancata trascrizione delle richieste dell’Amministrazione finanziaria alla società contribuente, non risulta che detto onere sia stato assolto, sicché dalla semplice mancata risposta ai questionari non può conseguire, sic et simpliciter, l’inutilizzabilità della documentazione prodotta da Sahara al fine di giustificare la deducibilità dei costi.

7. Con il terzo motivo di ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 (Testo unico delle imposte sui redditi – TIJIR), evidenziandosi che la CTR avrebbe errato nel considerare di competenza dell’anno d’imposta 2002 alcuni costi sostenuti nel 2001 e inerenti a ricavi solo sperati e concretamente non realizzati.

8. Con il sesto motivo di ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla circostanza che la CTR avrebbe considerato i costi concernenti fatture emesse nel 200:1 come deducibili nell’anno 2002, evidenziando come detti costi siano stati sostenuti nella prospettiva di realizzare ricavi sperati.

9. I motivi, che possono essere unitariamente considerati, sono inammissibili.

9.1. La CTR ha affermato che i costi contestati dall’Agenzia delle entrate: a) sono di competenza dell’anno 2002 in quanto inerenti a ricavi prodotti o sperati per detto anno, anche se effettivamente sostenuti nell’anno 2001; b) sono tutti documentati da regolari fatture; c) sono certi e determinabili in quanto si fa riferimento ad una convenzione commerciale idonea a regolare i rapporti di consulenza tra le società interessate; d) non sono sproporzionati rispetto ai ricavi dell’anno 2002 in quanto si fa riferimento a ricavi non solo conseguiti ma anche solo sperati (e proprio la circostanza che i ricavi siano stati realizzati solo in parte ha determinato la cessazione dell’attività) e, in ogni caso, l’art. 109 TUIR non fa alcun riferimento alla congruità dei costi.

9.2. La motivazione della sentenza impugnata valuta nel merito la deducibilità dei costi sotto il profilo della competenza temporale, dell’inerenza, della certezza e della determinabilità, con motivazione che non viola in alcun modo la disposizione di legge richiamata e che, di per sé, non è né illogica, né contraddittoria.

9.3. In realtà, l’Agenzia delle entrate chiede una rivalutazione nel merito dei medesimi fatti già esaminati dalla CTR, proponendo degli stessi una diversa interpretazione, il che è precluso in sede di legittimità.

10. Con il quarto motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate deduce la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che non possono essere emesse fatture in sospensione di imposta nei confronti di acquirenti esportatori abituali senza che questi ultimi abbiano fatto previamente pervenire al cedente la necessaria dichiarazione d’intenti.

11. Il motivo è infondato.

11.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di IVA, il regime di cessione all’esportazione in sospensione d’imposta, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c), (vigente “ratione temporis”), può essere legittimamente applicato dal cedente anche prima della ricezione della dichiarazione di intenti di cui al D.L. n. 746 del 1983, art. 1, comma 1, lett. c), conv., con modif., in L. n. 17 del 1984 (applicabile “ratione temporis”), purché lo stesso dimostri la sussistenza di tutti i presupposti di fatto caratterizzanti detta cessione, in quanto derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria” (Cass. n. 9586 del 05/04/2019).

11.2. Nel caso di specie, la CTR si è pienamente conformata al superiore principio di diritto in quanto, pur essendo la dichiarazione d’intenti pervenuta alla società contribuente otto giorni dopo l’emissione delle fatture, viene dato formalmente atto della circostanza che la cessione in sospensione d’imposta sia avvenuta nei confronti di un esportatore abituale, come tale legittimato all’emissione della dichiarazione d’intenti e a godere della sospensione.

12. Con il quinto motivo di ricorso principale si deduce la violazione o la falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto lo scostamento temporale tra la notificazione dell’avviso di accertamento alla società e al socio sarebbe conseguenza delle modalità di notificazione prescelte e, comunque, non inciderebbe sulla legittimità dell’avviso di accertamento nei confronti di B.E..

13. Il motivo resta assorbito in ragione del rigetto dei motivi di ricorso proposti avverso l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, con conseguente caducazione anche dell’avviso nei confronti del socio.

15. Con l’unico motivo di ricorso incidentale Sahara si duole della violazione degli artt. 91 e 336 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo il giudice di appello compensato le spese di lite senza tenere conto del fatto che la società contribuente è risultata integralmente vincitrice.

16. Il motivo è infondato.

16.1. Il giudice di appello ha ritenuto la sussistenza di giustificati motivi per la compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (nella versione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche apportate a far data dal 04/07/2009).

16.2. La società contribuente, peraltro, non si duole né della genericità della motivazione di compensazione (il giudice di appello non ha, infatti, indicato gli specifici motivi che lo hanno indotto alla compensazione delle spese), né della effettiva insussistenza di valide ragioni giustificanti il provvedimento adottato, limitandosi ad affermare che la parte integralmente vincitrice non può sopportare l’onere delle spese.

16.3. In realtà, nel caso di specie l’onere delle spese non viene integralmente posto a carico della parte vincitrice, ma le spese sono state compensate con provvedimento che rientra nella discrezionalità del giudice di merito, discrezionalità le cui modalità di esercizio non sono state oggetto di contestazione.

14. In conclusione, vanno rigettati il ricorso principale e quello incidentale. Tenuto conto del complessivo esito della lite, che ha visto soccombente la società contribuente unicamente sul capo della sentenza concernente le spese di lite, sussistono giusti motivi per la compensazione tra la ricorrente e la cortroricorrente delle spese del presente giudizio in ragione di un quinto, dovendo porsi i restanti quattro quinti delle stesse – liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di Euro 153.980,00 – a carico dell’Agenzia delle entrate. Nulla per le spese tra l’Agenzia delle entrate e B.E., rimasto intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, di quattro quinti delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie, agli esborsi per Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara compensato tra le parti l’altro quinto delle spese.

Si dà atto che, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, la presente sentenza è sottoscritta unicamente dal Presidente del Collegio per impedimento del Consigliere estensore a recarsi nella città di Roma in ragione dell’emergenza sanitaria Covid-19.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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