Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22300 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 15/10/2020), n.22300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8274-2019 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIOVANNI CLEMENTE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ACROPOLI, in persona del Sindaco prò tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO FIORILLO;

– controricorrente –

awerso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il

19/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. P.G. ricorre in cassazione con quattro motivi avverso l’ordinanza in epigrafe indicata con cui la corte di appello di Salerno, decidendo su due ricorsi riuniti introdotti ex art. 702-bis c.p.c. e ss., ha rigettato le domande dal primo proposte – in qualità di affittuario e coltivatore diretto di un terreno esteso circa 49 ettari, di natura seminativa – di determinazione dell’indennità aggiuntiva prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42, nella misura del valore reale di mercato, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

La corte di merito ha ritenuto il terreno coltivato per la produzione di foraggio e come tale mancante dei requisiti del terreno seminativo e quindi della presenza di colture tipiche della zona o di colture erbacee avvicendate, diverse dal foraggio, configurandosi, piuttosto e di fatto, come terreno adibito al pascolo.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione ed erronea o falsa applicazione, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, punto 4 e art. 42 nonchè degli artt. 817 e 818 c.c..

La corte di appello avrebbe ritenuto legittima la stima effettuata dal consulente dell’ente non rispettando l’insegnamento giurisprudenziale che vuole l’opposizione alla stima introduttiva come un giudizio sul rapporto e non sull’atto amministrativo ed aveva in tal modo preso in considerazione per la quantificazione dell’indennità aggiuntiva solo la superficie di terreno coltivata di ha 44.63.37 escludendo le tare, quali strade e piste, di ha 5.17.40 in tal modo disapplicando gli artt. 817 e 818 c.c. e quindi del principio che le pertinenze di un terreno seguono le sorti del principale e tutelano il maggior valore che la cosa principale assume per il rapporto funzionale con la cosa accessoria.

2.1. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.

2.1.1. Il ricorrente deduce che la corte di merito avrebbe attinto dalla consulenza del Comune di Agropoli la valutazione del terreno e denuncia all’esito la violazione dell’indirizzo giurisprudenziale che vuole che oggetto del giudizio sia il rapporto e non l’atto amministrativo, senza però confrontarsi con l’ordinanza impugnata.

La corte territoriale muove infatti, per accettare la consistenza del terreno quanto alle colture ivi praticate, la altro materiale di prova (accertamento incidentale contenuto nella sentenza del tribunale di Vallo della Lucania; ammissioni ricorrente); in ogni caso si tratta di attività valutativa del giudice del merito che ove congniamente motivata non vale a scardinare la struttura del giudizio di opposizione alla stima quale accertamento sul rapporto e non determina alcuna violazione dal modello processuale (così per l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 cit.).

2.1.2. Il motivo è ancora inammissibile per manifesta infondatezza là dove denuncia la violazione del principio di pertinenzialità di cui agli artt. 817 e 818 c.c. che deduce debba trovare applicazione alle “tare” del terreno espropriato ai fini della quantificazione della relativa indennità.

La destinazione a pertinenza di una cosa considerata accessoria rispetto ad altra considerata principale presuppone una destinazione “funzionale” dell’una al servizio dell’altra ed è ratio alla quale resta estraneo il rapporto che sussiste, ai fini della quantificazione dell’indennità aggiuntiva ai sensi del D.P.R. n. 327 cit., ex art. 40, comma 4, (là dove si stabilisce che “Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un’indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticatà”), tra il terreno coltivato e le cdd. tare, ovverosia quelle superfici aziendali che non interessano direttamente la produzione vegetale, ma che tuttavia sono necessarie all’azienda, quali le strade, le piste, le aree occupate dai fabbricati e comunque quelle destinate a qualsiasi altro uso non agricolo.

La diversità dell’uso, agricolo in un caso e non agricolo nell’altro, esclude infatti l’indicato rapporto funzionale.

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Risultata omessa o errata l’applicazione degli artt. 40 e 42 citt., – che stabiliscono che l’indennità aggiuntiva a favore dell’affittuario va determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura praticata sul fondo che la parte sia costretta ad abbandonare in esito all’esproprio e quindi dell’intero terreno oggetto del rapporto agrario e non soltanto della superficie netta coltivata -, la corte di merito aveva omesso di pronunciare ex art. 112 c.p.c..

3.1. Il motivo è inammissibile per una duplice ragione.

3.1.1. Vero è infatti, da un canto, che la corte territoriale pronuncia invece sulla estensione del terreno indennizzabile.

3.1.2. D’altra parte la dedotta violazione delle norme sostanziali in cui i giudici di merito sarebbero incorsi – tanto si afferma in ricorso all’interno del medesimo motivo – è censura diversa ed in contraddizione con il denunciato error in procedendo ex art. 112 c.p.c.. L’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale, poichè quest’ultima censura presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente scorretto (vd. Cass. n. 329 del 12/01/2016Cass. n. 7871 del 18/05/2012).

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’erronea o falsa applicazione del Reg. UE 2017/2393 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2017 che modifica i Reg. nn. 1305, 1306 e 1307 del 2013 recanti norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune e del decreto ministeriale 7 giugno 2018 (G.U. 18 luglio 2018 n. 167) avente ad oggetto disposizioni nazionali di applicazione del Reg. UE n. 1307/13, art. 31, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La decisione del 13 dicembre citata aveva modificato la definizione di “prato permanente” prevista dai precedenti regolamenti stabilendo che le foraggere annualmente arate e seminate non vanno in tali termini classificate in quanto restano tali solo le superfici effettivamente pascolate. Per stabilire la natura pascolativa di un terreno si deve consultare il registro regionale previsto dal D.M. n. 1922 del 2015, art. 3, gestito da Agea, adempimento non curato dai giudici di merito.

Il tribunale di Vallo della Lucania, giudice agrario, aveva considerato le attività colturali praticate sul fondo per stabilire le capacità dell’affittuario agli effetti di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 6 e non aveva assunto alcuna determinazione in ordine alla natura e classificazione del terreno.

4.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

4.1.1. Il motivo non è autosufficiente.

Il ricorrente non indica, quanto alla differente classificazione del terreno per le indicate. fonti comunitarie e strumenti attuativi nazionali, in quale atto del giudizio di merito ha allegato le dedotte circostanze, integrative di questioni miste, incorrendo pertanto nella novità della deduzione (Cass. n. 32804 del 13/12/2019).

4.1.2. Quanto al diverso accertamento incidentale che si vuole operato nella sentenza del tribunale di Vallo della Lucania che, quale giudice agrario, non avrebbe indicato, di contro a quanto ritenuto nell’impugnata ordinanza, natura e classificazione del terreno, si tratta di questione non rilevante.

La corte di appello di Salerno ha infatti apprezzato la sentenza del tribunale di Vallo della Lucania limitatamente alla ivi accertata “condizione oggettiva” del terreno, segnatamente nella parte in cui il giudice agrario afferma che il “terreno è destinato per coltivazioni di foraggio”. Su siffatto dato la corte di merito ha poi ritenuto la non riconducibilità del terreno a quello seminativo escludendo siffatta classificazione quanto al terreno che sia adibito alla coltivazione del foraggio.

La questione della classificazione resta pertanto fuori dalla portata critica che è come tale non concludente.

5. Con il quarto motivo si deduce dal ricorrente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omessa considerazione delle “tare”.

Il motivo è inammissibile perchè nel suo complesso è diretto ad una sostanziale rivalutazione dei fatti storici non consentita nel giudizio di legittimità (Cass. SU n. 34476 del 27/12/2019) e comunque perchè individua una questione, quella della non espunzione delle cdd. tare dal computo dell’stensione del terreno su cui riconoscere l’indennità aggiuntiva ai sensi del D.P.R. n. 321 cit., ex art. 40, comma 4, che, assorbita dagli esiti dello scrutinio del motivo precedente, non riesce a dare conto di un’autonoma ratio decidendi dell’ordinanza impugnata.

6. Il ricorso è conclusivamente infondato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto (ex Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Comune di Agropoli le spese di lite che liquida in Euro 5.200,00 per compensi ed Euro 100,00 per esborsi, spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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