Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22300 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 03/11/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 03/11/2016), n.22300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1600/2012 proposto da:

S.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Corso

Trieste 173, presso lo studio dell’avvocato TEODORA MARCHESE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAVIDE ODDO, come da

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SI.AN., SI.MA., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Asiago 8, presso lo studio dell’avvocato SILVIA VILLANI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ILARIA GRECO, come da procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 294/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 19/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2016 dal Consigliere Dott. Ippolisto Parziale;

uditi gli avvocati Amina Arsesi, delega orale Oddo, e Eleonora

Moscato, delega Greco, che si riportano agli atti e alle conclusioni

assunte;

udito il sostituto procuratore generale, Luisa De Renzis, che

conclude per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale.

“Con rituale citazione del 16 e 19 gennaio 2001 Si.An. e Si.Ma., premesso di essere proprietari di un’abitazione sita in (OMISSIS), e di avere stipulato con i confinanti S.S. e S.F. una scrittura privata avente ad oggetto la concessione reciproca ad eseguire opere al confine tra le due proprietà, lamentavano che S.S. avesse realizzato sul predetto confine un vano chiuso, munito di apertura, provocando in questo modo danni alla loro proprietà. Lo convenivano pertanto nanti il Tribunale di Sanremo per sentirlo condannare alla riduzione in ripristino ed al risarcimento dei danni.

Si costituiva il convenuto eccependo di aver realizzato dette opere senta alcuna violazione della scrittura privata e dell’atto pubblico successivamente concluso inter partes, e chiedeva, in via riconvenzionale, che gli attori fossero condannati all’eliminazione delle opere dagli stessi realizzate, che avevano comportato invece l’occupazione della sua proprietà.

Con sentenza del 26 luglio 2004 il Tribunale di Sanremo rigettava la domanda proposta dagli attori, condannava il convenuto al risarcimento del danno in favore degli attori, liquidato in Euro 600,00 oltre interessi legali e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, condannava gli attori alla riduzione in ripristino stato delle opere realizzate sul fondo di proprietà del dichiarava integralmente compensate tra le parti le pese di giudizio”.

B. Avverso tale decisione proponevano appello Si.An. e Si.Ma.. Si costituiva S.S. chiedendo il rigetto del gravame, mentre S.F. rimaneva contumace.

C. La Corte di appello di Genova accoglieva “l’appello principale per quanto di ragione ordinando la riduzione in pristino stato delle opere realizzate dal sig. S.S. in violazione del regime delle distanze dal conine”, rigettando nel resto e liquidando le spese del grado in favore dell’appellante.

1. La Corte locale riassumeva come segue la decisione di primo grado: “Riteneva il primo giudice che la scrittura privata sottoscritta dalle parti il (OMISSIS), nonchè l’atto pubblico stipulato dalle stesse il (OMISSIS), sancissero la possibilità per i sottoscriventi di realizzare qualsiasi opera fissa o precaria sul confine, senza precisazione alcuna in ordine alla tipologia ed alle caratteristiche della costruzione stessa. In forza di ciò, nessuna rilevanza poteva avere la invocata violazione della normativa urbanistica, che si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privato richiedente. Risultava invece fondata la domanda di risarcimento dei danni, essendo emerso ctu svolta che nella proprietà degli attori fossero individuabili forniture e fessurazioni procurate dalle opere realizzate dal convenuto. Parimenti, la ctu aveva accertato che vi fosse stato, ad opera degli attori, uno sconfinamento rispetto al confine catastale, mentre non era stata formalizzata ritualmente, nè appariva fondata, l’eccezione d’usucapione del diritto al mantenimento delle opere realizzate sul fonso altrui”.

2. La Corte di Genova, dopo aver riassunto i motivi e le posizioni delle parti, così sintetizzava gli elementi obiettivi raccolti nel corso del giudizio di primo grado. “Quanto agli elementi obiettivi raccolti nel corso del giudizio di primo grado, va qui anzitutto richiamato il contenuto della scrittura privata inter partes del (OMISSIS), che prevedeva che tra i due confinanti Si. e S., proprietari di alloggi ed aree prospicienti e confinanti, fosse convenuto il seguente accordo “poichè essendo le proprietà in oggetto confinanti, non esisterebbe possibilità per nessuno dei comparenti di eseguire rilevati o quanto sia passibile di autorizzazione comunale, concorda in virtù del buon rapporto fra vicini, la concessione reciproca ad eseguire opere fisse o precarie al confine fra le due proprietà”. La scrittura risulta sottoscritta in forma bilaterale e senza riserva alcuna fra le parti. Nella stessa data era stata predisposta una relazione tecnico illustrativa in merito alla domanda di autorizzazione, allegata al progetto, presentata al Comune da Si.An. per la costruzione di una tettoia di servizio all’alloggio. Tale relazione descrive il manufatto da eseguirsi, comprensivo di pilastrini, muretti, parapetto di protezione e una struttura di copertura in travi di legno con manto in tegole. Veniva precisato che l’opera sarebbe stata posta a confine, a sud, con la proprietà del S.S., “con la quale è stipulato accordo scritto per la deroga reciproca alla distanza per la realizzazione a confine di due manufatti simili costituenti in realtà un’unica opera su tutto il prospetto ovest dell’immobile”. Analoga relazione tecnico illustrativa risulta predisposta dallo stesso tecnico, in pari data, è allegata alla domanda di autorizzazione presentata al comune da S.S., in cui la descrizione del manufatto è del tutto identica. In essa è inserita la dicitura “si procederà inoltre alla demolizione del bagno esterno recuperando l’area con il piccolo ampliamento del soppalco interno e con il contemporaneo spostamento della scala dal lato sud a quello ovest. La soletta inferiore verrà abbassata al livello del terrazzo esterno, onde aumentare l’altezza fra il pavimento ed il soppalco per una migliore vivibilità dell’ambiente…. La porta di accesso al terrazzo verrà leggermente spostata verso sud…”. Vi è poi agli atti la ctu svolta nel primo grado, che ha anzitutto descritto gli immobili in oggetto. In particolare il ctu Geometra G. ha spiegato che l’appartamento dei S., ubicato nella zona sud del fabbricato, comprendeva un’area cortilizia ad ovest, e occupata da un porticato, poi trasformato in alloggio, ed in parte adibita a giardino. Alle stesse unità, confinanti tra loro, si accede anche da via (OMISSIS) attraverso un breve transito pedonale rettilineo, ricavato su proprietà Si., con diritto di passaggio a favore della proprietà S.. Ha poi descritto le opere realizzate dagli attori, elencando la costruzione, a ridosso del fabbricato originario e per il fronte di proprietà, di una tettoia o porticato di metri 6,73 di lunghea e metri 4,53 di profondità, la realizzazione di opere in muratura nella zona di ingresso, e cioè una struttura con copertura ad arco e calpestio in calcestruzzo, dotata di un cancello in ferro lavorato arretrato rispetto al margine esterno, e la ricostruzione del preesistente corpo staccato ad uso non abitativo posto nell’angolo nord ovest, di superficie lorda complessiva pari a metri quadri 32 circa, con la realizzione di locali interrati e conseguente costruzione del muro di contenimento a sostegno del giardino S.. Ha descritto quindi le opere realizzate dal convenuto, e cioè la costruzione nel cortile ovest, a ridosso del fabbricato originario, della tettoia o porticato, anche in questo caso per fronte di relativa proprietà, struttura che è stata successivamente chiusa a perimetro mediante tratti di muratura e finestre sui fianchi, vetrate e portafinestra d’ingresso, quindi trasformata in un locale ad uso abitativo, cucina-tinello, integrato nell’appartamento, nonchè opere di manutenzione straordinaria dell’alloggio con una nuova distribuzione interna, creazione di un bagno e trasformazione di porta in finestra con parapetto. Quanto al confine tra i fondi, esso risultava materializzato lungo il bordo delle opere recentemente realizzate dagli attori e lungo la parete nord del portico del convenuto. In merito il ctu dava atto che, a seguito delle trasformazione realizzate, non fossero più risibili i vecchi termini di confine. Individuava così il precedente confine catastale, ricavandolo sia dalle mappe, che dalle planimetrie prodotte, e da quanto ricavabile dai progetti degli attori. Sulla base di ciò, il ctu riteneva provato che la struttura di ingresso realizzata dagli attori avesse occupato la posizione del vecchio pilastro in pietra. Riteneva inoltre che le opere realizzate dagli attori non fossero in contrasto con le scritture stipulate tra le parti, considerandosi come confine effettivo quello attualmente materializzato, mentre esse avrebbero attuato uno sconfinamento rispetto al confine catastale. Quanto alle opere realizzate dal convenuto, infine, escludeva l’ipotesi di sconfinamento, rilevando solo che la finestra della parete nord e la vicina porta finestra fossero state realizzate a distanza inferiore a quella prevista per le vedute. Rilevava poi che la foratura della parete eseguita dal convenuto aveva dato luogo a fessure e piccole lesioni all’immobile di parte attrice, in quanto il primo aveva eseguito interventi in prossimità della sottile muratura divisoria. Il danno che ne era derivato veniva specificamente stimato in Euro 600,00″.

3. La Corte di appello, quindi, dopo aver rilevato che le parti anche in appello ponevano al centro delle loro argomentazioni il contenuto e l’interpretazione della scrittura privata, osservava quanto segue. “Tale profilo della vertenza non appare, però risolutivo. Va infatti ricordato che la normativa sulle distanze contenuta nei regolamenti edilizi, che stabiliscono anche le distanze delle costruzioni dal confine, è volta non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive fra edifici frontistanti, ma anche, e ben più, a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione all’ambiente, finalità quest’ultima di carattere pubblico, che viene realizzata dalle nome regolamentari stabilendo una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dall’art. 873 c.c.. Come tale, essa prevale su qualunque altro assetto convenzionale o civilisticamente assentito”. Richiama la Corte locale gli arresti di questa Corte n. 12966 del 2006 e n. 975 del 2010, così concludendo “Resta pertanto in merito dirimente ed assorbente l’assoluta inderogabilità del regime delle distanze, posto a tutela di un assetto fondato sul pubblico interesse. Non rimane, dunque, in questa sede che doversi ordinare la riduzione in pristino, ma per la sola parte dell’edificato che risulti in violazione delle distanze legali, il che induce all’accoglimento del gravarne, ma solo per quanto di ragione”. Osservava al riguardo la Corte locale che “con la domanda introduttiva l’attore aveva lamentato che S. aveva eretto “a confine col terrazzo di sua proprietà sul fonte ad esso speculare paratie murarie idonee ad intercludere lo spazio sottostante la tettoia e a trasformarlo mediante la chiusura del terzo lato in vano abitabile… muniva la veranda di porta d’accesso nonchè di una finestra aggettante sulla proprietà Si. a distanza regolamentare”.

D. Impugna tale decisione il signor S. che avanza un unico motivo di ricorso. Resistono con controricorso le parti intimate. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce: “violazione di norma di diritto errore nell’interpretazione ed applicazione al caso di specie della normativa sulle distane contenuta nei regolamenti edilizi”.

La Corte locale ha posto a fondamento della sua decisione il fatto che si tratti di “due edifici separati, ignorando completamente che trattasi di una costruzione unica ed unita, tanto da avere il medesimo solaio di copertura e costituire, con altre due unità abitative, un unico corpo condominiale”. Secondo il ricorrente, “tale circostanza impedisce l’applicazione della normativa delle distanze tra edifici, trattandosi, infatti, di un solo edificio diviso nella proprietà tra le due ed altre famiglie”. Rileva che “tale dato oggettivo è incontrovertibile e riscontrabile ictu oculi alla semplice vista del prospetto planimetrico agli atti, nonchè desumibile dalla individuazione catastale delle unità immobiliari in questione come emergente dalla relazione peritale in atti del 1^ grado, l’una individuata a foglio (OMISSIS) mappale (OMISSIS) e l’altra a foglio (OMISSIS) mappale (OMISSIS)”. Di conseguenza, “trattandosi di un unico fabbricato e consistendo l’accordo di cui trattasi in una deroga alle reciproche distane per la sola realizzazione di opere di complemento al medesimo fabbricato… appare del tutto evidente come in tale caso non operino le normative urbanistiche alle quali la Corte d’Appello fa riferimento, poichè trattasi ivi esplicitamente di norme che regolano le distane “tra fibbricati”, mentre nel caso che occupa si tratta di distanze interne ad “un solo fabbricato”. Da questo, la piena operatività e vigenza degli accordi tra le parti di cui in premessa, poichè non si pongono in alcun contrasto con le norme di ordine pubblico invocate dalla sentenza qui gravata”.

Chiede che venga affermato il principio di diritto secondo cui “nel caso di ampliamento contestuale di costruzioni facenti parte del medesimo fabbricato condominiale, non siano applicabili le norme sulla distanza tra edifici previste dal Codice Civile e dai Regolamenti Edili.

2. Il ricorso va rigettato.

Le censure proposte con l’unico motivo di ricorso sono in parte inammissibili e in parte infondate.

Sono inammissibili per violazione del principio di autosufficienza le censure relative alla scrittura privata ed alle planimetrie richiamate, entrambe invocate a sostegno delle costruzioni realizzate, posto che, nei termini indicati, il ricorrente non offre una ricostruzione in fatto adeguata e tale da consentire al collegio una valutazione della censura senza ricorrere ad un non consentito accesso agli atti.

Per le restanti censure, la corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di rispetto delle distanze tra edifici, ancorchè tra loro adiacenti, qualificando le relative norme non derogabili. Nè può ritenersi che tali norme, nei limiti dell’applicazione fatta dalla Corte locale, possono ritenersi non applicabili con riguardo alla dedotta specificità degli immobili, costituendo, secondo la prospettiva del ricorrente, essi un unico fabbricato. Al di là degli aspetti di ammissibilità in questa sede non risultando la specifica questione trattata dalla corte d’appello, ciò che rileva, anche nella prospettiva del ricorrente, è che l’intero edificio fu realizzato, nel rispetto della normativa edilizia applicabile, senza il porticato poi costruito successivamente. Nell’ambito di tale porticato sono state realizzate le ulteriori volumetrie che si pongono, proprio per questo, in contrasto con la predetta normativa. Di qui, la pronuncia della corte locale limitatamente alle opere così realizzate in violazione delle distanze.

Del resto, l’inderogabilità delle norme al riguardo, prevista per una evidente ragione di ordine pubblico, finirebbe per essere invece vanificata da accordi tra privati in violazione delle stesse e per opere non previste nel progetto originario assentito, soltanto perchè successivamente realizzate, così da sottrarle, proprio perchè realizzate successivamente, alla preventiva verifica del rispetto della normativa edilizia vigente.

3. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per compensi e Euro 200,00 (duecento) per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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