Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22298 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. II, 05/09/2019, (ud. 08/03/2019, dep. 05/09/2019), n.22298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1343/2018 R.G. proposto da:

S.M., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Anastasia Giglio

ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Buccari, n. 3, presso

lo studio dell’avvocato Maria Dirito.

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso il decreto n. 6434 dei 24.4/6.7.2017 della corte d’appello di

Roma;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso ex lege n. 89 del 2001, alla corte d’appello di Roma depositato in data 28.5.2012 S.M., dichiarato fallito dal tribunale di Avellino con sentenza del (OMISSIS), si doleva per l’eccessiva durata della procedura fallimentare aperta a suo carico.

Chiedeva che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli per l’irragionevole durata del fallimento “presupposto” – chiuso con decreto in data 27.9.2016 – un equo indennizzo.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

Con decreto n. 6434 dei 24.4/6.7.2017 la corte d’appello di Roma accoglieva il ricorso e condannava il Ministero della Giustizia a pagare a S.M. la somma di Euro 5.200,00 con il favore delle spese processuali attribuite al difensore anticipatario.

Evidenziava la corte che l’irragionevole durata della procedura fallimentare – protrattasi dal 29.12.1995 al 27.9.2016 – doveva reputarsi pari a tredici anni ed otto mesi in considerazione della complessità delle operazioni di vendita dell’immobile gravato da ipoteca correlata a mutuo fondiario; che l’equo indennizzo poteva congruamente determinarsi in Euro 400,00 per ogni anno di irragionevole durata.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso S.M.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3, dell’art. 6, par. 1, della C.E.D.U., degli artt. 112 e 113 c.p.c..

Deduce che la corte di merito non solo ha ritenuto “sussistere una responsabilità concorsuale del ricorrente, in assenza del benchè minimo riscontro positivo in proposito, ma (…) immotivatamente (ha valutato) tale responsabilità prevalente rispetto a quella degli organi della procedura” (così ricorso, pag. 7).

Deduce che la durata irragionevole è complessivamente pari a tredici anni ed otto mesi, sicchè la corte avrebbe dovuto tener conto anche dell’ulteriore frazione di otto mesi e computare l’indennizzo in Euro 5.600,00 e non già in Euro 5.200,00.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Deduce che la corte distrettuale, alla stregua di valutazioni assolutamente inconciliabili, non ha quantificato l’indennizzo in modo congruo e commisurato al “grave patema d’animo” sofferto.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione all’art. 6, par. 1, C.E.D.U..

Deduce che la corte territoriale si è discostata in modo irragionevole dai parametri concernenti il quantum dell’indennizzo ed ha violato il principio di eguaglianza.

I motivi di ricorso sono evidentemente connessi; se ne giustifica perciò la disamina contestuale; in ogni caso fondato e meritevole di accoglimento è unicamente il secondo profilo di censura veicolato dal primo mezzo di impugnazione; vanno respinti di conseguenza il primo profilo di censura veicolato dallo stesso mezzo nonchè il secondo ed il terzo mezzo di impugnazione.

Ed invero – al di là dei rilievi concernenti il secondo profilo di censura del primo motivo – l’iter motivazionale che sorregge il decreto impugnato risulta ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

Con riferimento al profilo della correttezza giuridica per nulla si configurano i pretesi errores in iudicando.

Più esattamente, in sede di determinazione della misura annua – Euro 400,00 – dell’equo indennizzo, la corte di Roma ha puntualizzato che “alcuna prova ha esibito il ricorrente al fine di agevolare o anticipare la chiusura della procedura fallimentare” (così decreto impugnato, pag. 3).

Cioè ha assunto che, se fosse stato acquisito riscontro di attività del fallito volta ad agevolare la chiusura più celere del fallimento, avrebbe avuto ragione per determinare il quantum dell’equo indennizzo in misura superiore a quella – Euro 400,00 – reputata congrua.

A nulla vale dunque che il ricorrente adduca che “un’eventuale condotta omissiva o ostativa del fallito avrebbe dovuto necessariamente rinvenirsi in quel documento (id est: nella relazione del curatore)” (così ricorso, pag. 7); che “la responsabilità del fallito è presunta” (così ricorso, pag. 6).

Difatti la relazione L. Fall., ex art. 33, del curatore, fonte privilegiata di informazione, nulla riferiva al riguardo, sicchè correttamente la corte romana ha opinato nel senso del mancato riscontro di un comportamento di collaborazione.

Al contempo questo Giudice spiega che, in tema di equa riparazione da irragionevole durata del processo fallimentare, è congrua la liquidazione dell’indennizzo nella misura solitamente riconosciuta per i giudizi amministrativi protrattisi oltre dieci anni, rapportata su base annua a circa Euro 500,00, dovendosi riconoscere al giudice il potere, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, di discostarsi dagli ordinari criteri di liquidazione dei quali deve dar conto in motivazione (cfr. Cass. 16.7.2014, n. 16311; cfr. altresì Cass. (ord.) 19.5.2017, n. 12696).

Ebbene, su tale scorta si osserva quanto segue.

Da un canto, per nulla si giustificano le prospettazioni del ricorrente secondo cui la corte capitolina “non si è uniformata ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo così come accolti dalla Corte di Cassazione” (così ricorso, pag. 11) e secondo cui la corte capitolina sarebbe incorsa in disparità di trattamento “rispetto ai creditori delle procedure concorsuali (…) ai quali è di regola liquidato un indennizzo non inferiore a 500,00 Euro ad anno” (così ricorso, pag. 12).

D’altro canto, con riferimento al profilo della congruenza logico – formale della motivazione, nessuna delle ipotesi di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte – tra le quali non è annoverabile l’insufficienza della motivazione – si scorge nelle motivazioni dell’impugnato decreto. In particolare per nulla si scorge la pretesa “illogicità per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” (così ricorso, pag. 11).

Infatti la corte territoriale ha chiarito, alla luce, appunto, del mancato riscontro di comportamenti del S. volti ad agevolare la chiusura del fallimento, le ragioni per le quali ha inteso quantificare in Euro 400,00 per ogni anno di irragionevole durata l’equo indennizzo, ben vero nel solco dell’insegnamento – summenzionato – che quantifica all’incirca in Euro 500,00 il “moltiplicatore” annuale.

Si tenga conto che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

Si è anticipato che è viceversa fondato e meritevole il secondo profilo di censura veicolato dal primo mezzo.

La corte d’appello di Roma avrebbe dovuto tener conto dell’ulteriore irragionevole ritardo – otto mesi – accumulato dalla procedura fallimentare “presupposta”.

Negli esposti termini, in accoglimento del secondo profilo del primo motivo di ricorso, va cassato il Decreto n. 6434 dei 24.4/6.7.2017 della corte d’appello di Roma.

Ai fini della quantificazione dell’equo indennizzo correlato a tale ulteriore “ritardo” non si prospetta la necessità di accertamenti di fatto. Cosicchè nulla osta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., a che la causa sia decisa nel merito, con la liquidazione in Euro 270,00 dell’aggiuntivo indennizzo, sì che nel complesso l’equo indennizzo sia pari ad Euro 5.470,00, oltre agli interessi legali come riconosciuti – in motivazione – nell’impugnato dictum (cfr. decreto impugnato, pag. 3).

Le spese e competenze del giudizio innanzi alla corte d’appello di Roma possono regolarsi come da decreto impugnato.

Il ricorso a questa Corte di legittimità è stato accolto in minima parte. Il che giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità fino a concorrenza della quota di 3/4; il residuo 1/4, liquidato come da dispositivo, va posto a carico del Ministero intimato, che conseguentemente va condannato al relativo pagamento in favore dell’avvocato Anastasia Giglio, difensore del ricorrente, che ha dichiarato di aver anticipato le spese e di non aver riscosso gli onorari.

Al di là del parziale buon esito del ricorso, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

accoglie nei termini di cui in motivazione il primo motivo di ricorso, cassa (nei medesimi termini) il Decreto n. 6434 dei 24.4/6.7.2017 della corte d’appello di Roma e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, a pagare a S.M. la somma di Euro 5.470,00 oltre agli interessi legali come riconosciuti (in motivazione) nell’impugnato decreto;

rigetta il secondo ed il terzo motivo di ricorso;

condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, a pagare all’avvocato Mauro Pagliuca, difensore anticipatario del ricorrente innanzi alla corte d’appello di Roma, le spese processuali che si liquidano in Euro 915,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario della misura del 15%, ed in Euro 8,00 per spese, oltre i.v.a. e cassa come per legge;

compensa fino a concorrenza della quota di 3/4 le spese del presente giudizio di legittimità; condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, a pagare all’avvocato Anastasia Giglio, difensore anticipatario del ricorrente, il residuo 1/4 che si liquida in Euro 250,00, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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