Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22296 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. II, 05/09/2019, (ud. 08/03/2019, dep. 05/09/2019), n.22296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5774/2018 R.G. proposto da:

C.A., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

alla via Antonio Baiamonti, n. 10, presso lo studio dell’avvocato

Pasquale Pontoriero che lo rappresenta e difende in virtù di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 5943 dei 7/18.7.2017 della corte d’appello di

Salerno;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso ex lege n. 89 del 2001, alla corte d’appello di Salerno depositato in data 23.4.2014 C.A. si doleva per l’eccessiva durata del processo penale n. 89/2007 instaurato a suo carico nel maggio del 2007 dinanzi al tribunale di Vibo Valentia e definito con sentenza dell’8.4.2013, di non doversi procedere per prescrizione del reato.

Chiedeva condannarsi il Ministero della Giustizia a corrispondergli un equo indennizzo per l’irragionevole durata del giudizio “presupposto”.

Con decreto n. 625/2014 il consigliere designato rigettava il ricorso.

C.A. proponeva opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter. Resisteva il Ministero della Giustizia.

Con Decreto n. 5762 del 2015, la corte di Salerno rigettava l’opposizione.

Con sentenza n. 26628/2016 questa Corte di legittimità accoglieva il ricorso esperito da C.A. e cassava il Decreto n. 5762 del 2015.

Con decreto n. 5943 dei 7/18.7.2017 la corte d’appello di Salerno, in sede di rinvio, rigettava l’iniziale ricorso.

Evidenziava la corte che la condotta tenuta da C.A. nell’ambito del processo penale celebratosi a suo carico non era stata di collaborazione e di agevolazione ai fini della riduzione dei tempi processuali e della celere definizione del giudizio; che dunque al decorso del termine di prescrizione aveva contributo anche l’imputato, il quale si era così giovato della pronuncia favorevole di estinzione del reato.

Evidenziava quindi che operava la previsione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, secondo cui “non è riconosciuto alcun indennizzo (…) nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte”.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso C.A.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, come modificato dal D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012.

Deduce che l’esame dei verbali delle udienze, innanzi al g.u.p. e dibattimentali, in nessun modo dà ragione di condotte volte a dilatare i tempi del processo.

Deduce in particolare che il rifiuto che il proprio difensore ebbe, all’udienza dibattimentale del 27.2.2012, ad opporre ai fini dell’utilizzazione dinanzi al nuovo giudice dei verbali delle prove testimoniali assunte dal giudice in precedenza titolare del processo, “non può (…) considerarsi quale condotta dilatoria o strumentale” (così ricorso, pag. 14), trattandosi di esplicazione di una legittima facoltà.

Il motivo di ricorso è destituito di fondamento.

Si premette che il motivo di ricorso si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero con l’esperito mezzo di impugnazione il ricorrente sostanzialmente censura il giudizio “di fatto” cui la corte di Salerno ha atteso ai fini del riscontro delle condotte dilatorie rilevanti nel segno della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, applicabile ratione temporis (“occorre verificare se, nel caso di specie, vi siano state effettivamente delle “condotte dilatorie” poste in essere dall’allora imputato”: così ricorso, pag. 10; “premesso quanto sopra in punto di corretta ricostruzione degli accadimenti (…)”: così ricorso, pag. 15).

Del resto questa Corte spiega, sì, che l’equa riparazione per irragionevole durata del processo penale non può essere esclusa per il solo fatto che il ritardo nella definizione del giudizio abbia prodotto l’estinzione del reato per prescrizione. E nondimeno soggiunge che occorre apprezzare – come espressamente affermato dal D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012, confermativo dell’anteriore orientamento maggioritario giurisprudenziale – se l’effetto estintivo sia intervenuto per l’utilizzazione, da parte dell’imputato, di tecniche dilatorie o strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa ovvero dipenda, in tutto o in parte (e, in tal caso, con valenza preponderante), dal comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest’ultima ipotesi, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell’imputato medesimo valga ad elidere, di per sè, il danno derivante dall’irragionevole durata (cfr. Cass. 9.6.2016, n. 11841; Cass. (ord.) 9.11.2918, n. 28784; Cass. 2.9.2014, n. 18498).

Non si prospetta dunque questione alcuna circa il “se la norma invocata dalla Corte territoriale per escludere l’indennizzo sia stata interpretata correttamente secondo diritto” (così ricorso, pag. 10).

D’altronde è il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Su tale scorta gli asseriti vizi motivazionali che il motivo di ricorso veicola, sono evidentemente da vagliare nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In quest’ottica si osserva quanto segue.

Da un canto, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte salernitana ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (“come si evince dagli atti del processo in verifica, (…)”: così decreto impugnato, pag. 3).

D’altro canto, la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante la res litigiosa, ossia la sussistenza o meno di condotte dilatorie.

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge l’impugnato dictum risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico-formale.

Si tenga conto che il ricorrente, in fondo, sollecita questa Corte ad un riesame delle risultanze dei verbali delle udienze innanzi al g.u.p. ed al giudice del dibattimento (cfr. ricorso, pagg. 10 – 15).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese; nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. cit. (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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