Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22289 del 27/09/2013

Civile Sent. Sez. 2 Num. 22289 Anno 2013
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

Costituzione
tardiva
Rendita vitalizia

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26558/07) proposto da:
A.A.,

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avv.to Prof. Piergiovanni Alleva del foro di Ancona ed elettivamente domiciliata presso lo
studio dello stesso in Roma, via degli Scipioni n. 268/A;
– ricorrente contro
B.B. C.C., rappresentati e difesi dall’Avv.to Renato Olivieri
del foro di Ascoli Piceno, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed
elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to Fiormonte in Roma, via Bafile n. 5;
– controricorrenti e contro

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Data pubblicazione: 27/09/2013

F.F., A.A.

– intimati avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 96 depositata il 10 marzo 2007.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 25 giugno 2013 dal

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Costantino
Fucci, che — in assenza della parti costituite – ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 5 giugno 1985 B.B., in qualità di eredi
di A.D., chiamati all’eredità di G.D. evocavano, dinanzi al Tribunale
di Ascoli Piceno, la coerede A.A. per sentir dichiarare aperta la successione del
defunto G.D. e disporsi la divisione dell’asse ereditario.
Instauratosi il contraddittorio, si costituiva la convenuta la quale aderiva alla domanda di
scioglimento della comunione ereditaria, chiedendo in via riconvenzionale ricostruirsi l’asse
ereditario, con inclusione anche dei diritti pari ad un mezzo della proprietà di un fondo rustico in
Comunanza, suscettibile di sfruttamento come cava di inerti, ceduto in vita dal de cuis alla figlia
Gina, madre degli attori, in cambio della costituzione di rendita vitalizia, consistente in prestazioni
vitalizia di mantenimento in favore del medesimo cedente, assumendone la A.A. la

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

nullità per mancanza dell’elemento causale aleatorio stante la avanzata età del cedente (85 anni)
al momento della stipula del negozio. Interveniva nel giudizio anche F.F., in
proprio e quale esercente la potestà parentale su G.D., deducendo di
essere cointestataria del 50% di un immobile, rientrante sull’asse ereditario, sito in piazza Luzi di
Comunanza, per cui chiedeva, per quanto di ragione, lo scioglimento della comunione.

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Espletata istruttoria con c.t.u., il Tribunale adito respingeva la domanda riconvenzionale della A.A., rilevata la inammissibilità per novità della domanda di riduzione per lesione della
riserva di legittima; nel merito, procedeva alla divisione dell’asse ereditario sulla scorta dello
schema divisionale elaborato dal c.t.u..

della decisione del giudice di prime cure circa la dedotta nullità della cessione del fondo rustico
riproducendo le difese prospettate in primo grado, in via subordinata, lumeggiava sussistere
ipotesi di negotium mixtum cum donatione, la Corte di appello di Ancona, nella resistenza dei
B.B. C.C., costituiti in limine della fase cognitiva, respingeva il gravame e per l’effetto
confermava la sentenza impugnata.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale — premesso che la soluzione della prima
questione circa la esistenza di valida rendita vitalizia faceva logicamente venire meno quella
subordinata di negotium mixtum cum donatione, con conseguente inesperibilità della sottesa
richiesta di riduzione — evidenziava che il mero dato dell’età avanzata non era sufficiente ad
escludere l’elemento causale, tenuto conto della funzione ‘sociale’ della rendita vitalizia concepita
proprio in funzione delle esigente di soggetti di età avanzata.
Aggiungeva che comparando il valore della rendita con il valore della controprestazione
consistente nella cessione del bene, alla luce della comune esperienza, ragguagliato l’arco di
sopravvivenza del de cuius in almeno sei anni, i costi di mantenimento venivano quantificati in €.
10.000/12.000 per anno, per un totale di €. 60.000/70.000, mentre il valore del bene era stato
stimato dal c.t.u. in E. 148.000.000, da cui andavano detratti i costi di sistemazione del suolo,
altrimenti conservando il fondo la sola vocazione agricola generica. Concludeva nel senso che
non pareva esservi alcuna sproporzione sinallagmatica fra le prestazioni.

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In virtù di rituale appello interposto da A.A., con il quale lamentava la erroneità

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione
la A.A., articolato su due motivi, al quale hanno resistito con controricorso i B.B. C.C.,
illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c., non costituiti gli intimati F.F. e A.A..

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 190 e 293 c.p.c. e del
principio del contraddittorio, con conseguente nullità della sentenza per avere la corte di merito
tenuto conto delle difese degli appellati B.B. C.C. nonostante la memoria di costituzione
difensiva sia stata depositata dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ed oltre il termine
perentorio per il deposito della comparsa conclusionale. A corollario del mezzo viene posto il
seguente quesito di diritto: “se l’avere la corte di appello consentito la costituzione dell’appellato

contumace in procedimento retto dal vecchio rito dopo la udienza di precisazione delle
conclusioni e rimessione della causa al collegio, con deposito di memoria di costituzione tardiva
rispetto ai termini di cui all’art. 190 c.p.c., ed avere inoltre utilizzato ai fini della decisione
argomenti ed elementi difensivi in tale memoria contenuti e richiamati dia luogo a nullità della
sentenza per violazione degli artt. 190 e 293 c.p.c. e del principio del contraddittorio”.
Con il secondo motivo è censurato il vizio di motivazione sulla questione fondamentale
dell’esistenza di un equilibrio sinallagmatico ovvero di una equivalenza dei rischi nel contratto di
rendita vitalizia, che implica un giudizio di esistenza o inesistenza di circostanze fattuali quali il

MOTIVI DELLA DECISIONE

costo di mantenimento e cura del vitaliziando e per altro verso la sussistenza di costi di
necessaria sopportazione al fine di sfruttabilità della cava. La corte di merito ha stabilito dei valori
per il mantenimento senza minimamente motivarli e senza giustificare l’amplissimo scarto rispetto
all’importo di £. 6.000.000 annui stimato dal c.t.u.. Inoltre lo stesso c.t.u. ha determinato il valore
del fondo tenendo conto anche del costo estrattivo, voce che perciò è stata duplicata dal giudice
distrettuale.

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Ritiene il Collegio di procedere preliminarmente all’esame del secondo mezzo per le
ragioni che di seguito si illustreranno.
Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.
La Corte di appello si è correttamente attenuta al principio di diritto secondo cui nel contratto

negozio anzidetto, va accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto, essendo
in funzione della incertezza obiettiva iniziale della vita contemplata e della conseguente eguale
incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante
(dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiano, ma anche dalle sue condizioni di
salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale
ceduto in corrispettivo del vitalizio (Cass. 7 giugno 1971 n. 1694; Cass. 29 agosto 1992 n. 9998).
Il giudice del merito – proprio in considerazione della natura aleatoria del contratto, che è
caratterizzato dalla indeterminatezza della prestazione complessiva cui risulterà obbligato il
debitore, commisurata all’incerta durata della vita umana e alla variabilità dei bisogni alimentari, di
cura e di assistenza del vitaliziato, e che pertanto postula l’esistenza di una situazione di
incertezza circa il vantaggio o lo svantaggio che potrà alternativamente realizzarsi nello
svolgimento e nella durata del rapporto – ha respinto la tesi secondo cui potesse venire in rilievo il
denunciato squilibrio (in ogni caso escluso in concreto) tra il valore delle prestazioni offerte dalla
vitaliziante ed il valore della proprietà del fondo rustico ceduto dal vitaliziato.
A ciò aggiungasi che, nel contratto di vitalizio assistenziale, con riferimento all’età e allo stato di
salute l’alea, è esclusa soltanto se, al momento della conclusione, il beneficiano era affetto da
malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, la
quale ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, o se questi aveva un’età talmente
avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche,
oltre un arco di tempo determinabile.

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atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, l’aleatorietà, costituente elemento essenziale del

È stato ulteriormente evidenziato che, nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale,
l’alea è più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall’art. 1872 c.c., in
quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per

1996 n. 8825).
Nella specie, la Corte territoriale, attenendosi a tali principi, ha esaminato e valutato le prestazioni
a carico di ciascuna parte, giungendo alla conclusione che, in considerazione della ragionevole
incertezza sulle possibilità di sopravvivenza di G.D. e sulla gravosità delle
prestazioni assunte dalla vitalizzante, ben poteva ravvisarsi l’elemento dell’alea, costituito
dall’impossibilità di prevedere in anticipo i vantaggi e le perdite ai quali le parti andavano incontro
con la stipulazione dell’atto.
Tale valutazione risulta sorretta da una motivazione adeguata, con la quale, in particolare, è stato
evidenziato che le condizioni di salute del G.D. non erano tali da farne prevedere il decesso
a distanza di qualche mese, nè l’età del G.D. non era talmente avanzata da autorizzare la
fondata previsione della sua morte nel volgere di pochi mesi; inoltre, il vitalizio era rappresentato,
in via principale, da prestazioni assistenziali integrali (“sostanziatesi in prestazioni integrali di
mantenimento “), che andava ben oltre il valore dei meri alimenti, oltre a presumibili, continuative
e consistenti spese farmaceutiche e mediche, non suscettibili di predeterminazione in un
ammontare certo, ma erano variabili, giorno per giorno, secondo i bisogni del beneficiario (il

giorno, secondo i bisogni (anche in ragione dell’età e della salute) del beneficiario (Cass. 9 ottobre

giudice distrettuale ha poi tentato l’ipotesi di un costo medio annuo per poterlo ragguagliare al
valore del bene, accertamento da ritenersi effettuato a solo scopo indicativo).
In altri termini, i giudici del merito – procedendo all’esame delle risultanze probatorie – sono giunti
alla motivata conclusione che il vitaliziato era sì ottantacinquenne al momento della conclusione
del contratto, ma senza processi patologici noti con proiezione infausta; hanno altresì sottolineato
che queste risultanze non potessero essere messe in discussione dal fatto che il valore della

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quota di bene ceduta fosse stata stimata dal c.t.u. in £. 148.000.000, considerandone la virtuale
sfruttabilità come cava di inerti, dovendo essere detratto il considerevole costo di sistemazione
del suolo, avente vocazione agricola.
Il motivo di ricorso, oltre a denunciare violazioni di legge che in realtà non sono ravvisabili nella

valutazione del giudizio circa i valori del mantenimento – una nuova valutazione, non consentita in
sede di legittimità, delle stesse risultanze di causa già prese in considerazione ed adeguatamente
ponderate dalla Corte territoriale. D’altro canto la c.t.u. posta a fondamento della decisione è stata
espletata in primo grado e non risulta essere stata rivolta critica alcuna alle conclusioni raggiunte
dall’ausiliare del giudice da parte dell’appellante, odierna ricorrente.

Passando all’esame del primo motivo, con il quale viene dedotto un error in procedendo,
occorre premettere che non è controverso tra le parti che l’atto di appello sia stato regolarmente
notificato agli appellati i quali, pur in assenza di una formale dichiarazione di contumacia da parte
dell’istruttore, si sono costituiti dopo la precisazione delle conclusioni — oltre il termine per il
deposito della comparsa conclusionale ex art. 190 c.p.c. – quando la causa era già stata rimessa
al collegio per la discussione.

La situazione processuale innanzi evidenziata comporterebbe l’accoglimento della doglianza
formulata dalla ricorrente poiché, se è vero che la costituzione del convenuto in cancelleria,
qualora non avvenga col rispetto del termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione,
può aver luogo in qualsiasi momento fino a quando la causa non sia rimessa al collegio, come
risulta dal combinato disposto degli artt. 166 e 293 c.p.c. (cfr Cass. 4 giugno 1992 n. 6905), va
tuttavia ribadita la preclusione alla costituzione del contumace in un momento successivo, poiché
essa risponde a inderogabili esigenze di coordinamento tra l’attività difensiva delle parti e
l’esercizio della funzione decisoria, secondo quella che è l’interpretazione assolutamente univoca

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sentenza impugnata, finisce con il richiedere – là dove denuncia travisamento ed errata

e costante della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10 giugno 1972 n. 1908; Cass. 16 luglio
1982 n. 4177; Cass. 2 agosto 1991 n. 8512). Accertata la tardiva costituzione degli appellati,
tuttavia la doglianza non merita di essere accolta per le considerazioni che seguono.
Ed invero, come rilevato da questa Corte, oltre ad essere denunziata la violazione, va anche

tutela il semplice interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria (conf. Cass. n. 5837 del
1997). Nella specie, con il motivo di ricorso per cassazione non sono state esposte le modifiche
che si sarebbero volute apportare alle istanze formulate nell’atto di citazione in appello,
introduttivo del processo e non si è, quindi, precisato il pregiudizio concreto che sarebbe derivato
alla parte dalla tardiva costituzione degli appellati, dal momento che il giudice del gravame
avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare la contumacia degli stessi, stante peraltro l’esito del giudizio
nel merito, confermato in sede di legittimità, per quanto esposto con riferimento al secondo
mezzo. Né ha inciso sulla regolazione delle spese processuali che sono state compensate.
Non vale osservare in senso contrario che in tal modo si renderebbe facoltativa l’osservanza
delle norme procedimentali previste dalla legge, condividendosi a riguardo le considerazioni
svolte in motivazione da Cass. n. 9163/95, secondo cui “principio generale del nostro
ordinamento processuale è quello della tassatività delle cause di nullità, per cui non può essere
dichiarata la nullità per l’inosservanza di una determinata norma, ove tale nullità non sia
espressamente prevista, temperato dall’altro, per cui la nullità può pronunciarsi qualora
l’inosservanza impedisca all’atto di raggiungere il proprio scopo malgrado non esista un’espressa
comminatoria di legge. I principi ora enunciati comportano, quindi, la inidoneità della dedotta
inosservanza a determinare, di per se stessa ed in difetto di espressa previsione, la nullità del
procedimento, ove, ciò malgrado, lo scopo voluto dalla legge sia comunque stato raggiunto”.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.

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indicato lo specifico pregiudizio da essa causato al diritto di difesa, in quanto l’ordinamento non

In considerazione dell’oggettiva controvertibilità delle questioni trattate e della particolarità della
specie, sussistono giusti motivi di compensazione delle spese di giudizio di Cassazione.

La Corte, rigetta il ricorso;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 25 giugno 2013.

P.Q.M.

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