Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22289 del 21/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 22289 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 19783-2012 proposto da:
D’URSO ANTONIO C.F. DRSNTN53H08F839U, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 16, presso lo studio
dell’avvocato DARIO IMPARATO, rappresentato e difeso
dall’avvocato BRUNO ARENA, giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
2303

contro

ARPAC MULTISERVIZI S.R.L.

(già PAN – PROTEZIONE

AMBIENTE E NATURA S.P.A.) C.F. 04709971274, in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, VIA CONTI ROSSINI CARLO 13, presso lo studio

Data pubblicazione: 21/10/2014

dell’avvocato IVAN CANELLI, rappresentata e difesa
dall’avvocato LUIGI TREMANTE, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5274/2011 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 13/12/2011 r.g.n. 1379/2010;

udienza del 25/06/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato ARENA BRUNO;
udito l’Avvocato TREMANTE LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Il giudice del lavoro del Tribunale di Napoli accolse la domanda proposta da
D’Urso Antonio nei confronti della Arpac Multiservizi s.r.l. e, ritenuto che tra le parti
era intercorso un rapporto di lavoro subordinato da aprile del 2003 al 31.12.2004

la società al pagamento degli importi di € 35436,96, per differenze retributive, di €
53.733,00, per indennità di preavviso, di € 194.783,00, per indennità
supplementare, e di € 12.498,23 per T.F.R.
Con sentenza del 12.7 / 13.12.2011, la Corte d’appello di Napoli, pronunziando
sull’appello principale della società e su quello incidentale del lavoratore, ha
parzialmente riformato la sentenza gravata, dichiarando il diritto del secondo a
percepire il compenso denominato di “lavoro a progetto”, relativamente al solo
anno 2004, per la somma di € 74.400,00 da corrispondersi in ratei mensili di pari
importo e condannando la società al pagamento delle sole differenze non
corrisposte dal luglio del 2004 nella misura complessiva di € 18.600,00, oltre
accessori di legge.
La Corte è pervenuta a tale decisione dopo aver ritenuto che dal complesso degli
elementi acquisiti era emersa unicamente la prova di un rapporto di consulenza
professionale parasubordinato, dovendosi escludere ogni estremo di
subordinazione.
Per la cassazione della sentenza ricorre il D’Urso con un solo motivo.
Resiste con controricorso la Arpac Multiservizi s.r.l.
Motivi della decisione
Con un solo motivo D’Urso Antonio censura l’impugnata sentenza per violazione e
falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e degli artt. 61, 62 e 69 del d.lgs. n. 276 del
2003, nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti
decisivi della controversia ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.

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con diritto del ricorrente alla qualifica di dirigente d’azienda industriale, condannò

Ritiene il ricorrente che la Corte partenopea, nel tentativo di escludere il vincolo
della subordinazione, ha erroneamente attribuito rilievo sostanziale al “nomen
iuris” dei contratti intercorsi tra le parti, mentre ha omesso di trarre le dovute

conseguenze dalla mancata indicazione nel contratto a progetto del relativo

caratteristiche della prestazione lavorativa, così come emerse dalle deposizioni
testimoniali che, se tenute in debito conto, avrebbero condotto ad una diversa
pronunzia in ordine alla configurazione giuridica dello stesso rapporto.
In particolare, secondo il ricorrente, dovendosi tener conto delle attività intellettuali
che contraddistinguevano il rapporto in esame, il criterio da seguire per la corretta
applicazione della norma di cui all’art. 2094 cod. civ. era quello di considerare i
cosiddetti elementi sussidiari o complementari della subordinazione, da valutare
complessivamente e comparativamente e non in maniera atomistica.
Il ricorso è fondato.
Invero, la Corte d’appello è pervenuta al risultato di escludere ogni ipotesi di
dipendenza del D’Urso rispetto alla società appellante e di ritenere, invece,
sussistente un rapporto di consulenza professionale parasubordinato, basando il
suo convincimento sostanzialmente sul “nomen iuris” del contratto intervenuto tra
le parti, senza tener conto del fatto che il nome attribuito da queste ultime al
rapporto tra loro in essere rappresentava solo uno degli elementi di valutazione
per qualificarne la natura, dovendosi, invece, inquadrare giuridicamente il rapporto
stesso sulla base delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. Lav. n. 16119 del 27/10/2003) che “ai fini della
qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, poiché
l’iniziale contratto dà vita ad un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che
esso esprime ed il “nomen iuris” non costituiscono fattori assorbenti, diventando
viceversa il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto
elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione, ma anche

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A

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programma di lavoro ed ha, altresì, ignorato le risultanze processuali sulle effettive

utilizzabile per l’accertamento di una nuova diversa volontà eventualmente
intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare singole
clausole contrattuali e talora la stessa natura del rapporto inizialmente prevista;
tale principio si applica anche nel caso in cui il rapporto trovi la sua origine in una

accertare se il rapporto, pur sorto in base ad una volontà che, dando attuazione
alla legge, ne abbia recepito anche la qualificazione, abbia poi avuto una
esecuzione che, per la sua diversità dalla previsione normativa, esprima una
nuova sopravvenuta volontà negoziale, la quale conferisca nuovo contenuto al
rapporto.”
Di tutto ciò non ha tenuto conto la Corte d’appello che, nel riferirsi al progetto di
lavoro, ha evidenziato che esso appariva sufficientemente enunciato nel contratto
sottoscritto dalle parti, nel quale il corrispettivo risultava congruamente
commisurato, non solo con riguardo al risultato avuto di mira, ma anche alla
professionalità del ricorrente, come appurato nel supplemento d’istruttoria
testimoniale, mentre le pretese creditorie del lavoratore non potevano ritenersi
fondate sulla base di un’unica testimonianza in qualche modo a lui favorevole.
Si osserva, però, che anche nel contratto di lavoro a progetto disciplinato dall’art.
61 del d. Igs. 10 settembre 2003, n. 276, che prevede una forma particolare di
lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti
specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale
determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al
potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione, il “nomen iuris” non
costituisce un fattore assorbente, rilevandosi, invece, necessaria la disamina del
comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto per
l’accertamento di una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso

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A,

legge che ne abbia previsto o favorito l’instaurarsi, dovendosi anche in tale ipotesi

dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare talora la stessa natura del
rapporto inizialmente prevista (v. ad es. Cass. Sez. lav. n. 15922 del 25/6/2013).
In ultima analisi la Corte d’appello non ha fatto riferimento alle risultanze
processuali rilevanti ai fini della individuazione della natura giuridica del rapporto in

eseguire una disamina comparativa di tutti gli elementi utili alla verifica della
sussistenza o meno del vincolo della subordinazione.
Invero, non va dimenticato che ogni attività umana economicamente rilevante può
essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo e che
l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è
costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei
confronti del datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo,
direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del
lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie
lavorative corrispondenti all’attività di impresa (tra le numerose decisioni V. Cass.
3 aprile 2000 n. 4036; Cass. 9 gennaio 2001 n. 224; Cass. 29 novembre 2002, n.
16697; Cass. 1 marzo 2001, n. 2970, Cass. 15 giugno 2009 n. 13858 e Cass. 19
aprile 2010 n. 9251).
Viene, però, precisato, in tali pronunzie che l’esistenza del vincolo va
concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito;
d’altronde, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella
distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi
fondamentali ora indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a
criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione
imprenditoriale ovvero l’incidenza del rischio economico, l’osservanza di un orario,
la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito.
È stato, di conseguenza enucleata la regula iuris – che va in questa sede ribadita secondo la quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia

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questione, soffermandosi solo sugli aspetti formali dello stesso e trascurando di

estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di
esecuzione, oppure, all’opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di
notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione
tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato

e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto,
significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far
ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le
modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la
presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento
al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un
effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Pertanto, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio del
procedimento alla Corte d’appello di Napoli che, in diversa composizione,
esaminerà di nuovo, tenendo conto dei principi sopra richiamati, tutte le risultanze
istruttorie non valutate e provvederà anche in ordine alle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche
per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 25 giugno 2014
Il Consigliere estensore

dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo

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