Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22288 del 04/08/2021

Cassazione civile sez. I, 04/08/2021, (ud. 23/04/2021, dep. 04/08/2021), n.22288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17626/2020 proposto da:

I.B., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e difeso

dall’Avvocato Andrea Maestri giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato per legge in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, n. 1462/2020

depositata il 20/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/04/2021 dal Cons. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Bologna, confermando l’ordinanza pronunciata dal locale Tribunale, ha rigettato l’opposizione proposta da I.B. avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e del riconoscimento di un permesso per ragioni umanitarie.

2. I.B. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla eventuale discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I.B., che nel racconto reso in fase amministrativa aveva dichiarato di essere fuggito dal paese di origine, l’Edo State in Nigeria, dopo essere stato aggredito per la proprietà di terreni che aveva ricevuto in eredità dal padre, articola due motivi di ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione: dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 117 Cost.; degli artt. 2, 3, 4 e 8 CEDU; dell’art. 13 della Dichiarazioni Universale dei diritti umani; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 4, art. 19, commi 1 e 1.1; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il motivo è inammissibile perché affastella in un unico contesto denunce per violazione di legge e vizio di motivazione là dove denuncia la bontà del giudizio formulato dalla Corte di merito sulla non credibilità del ricorrente ed opera, nella diversa ricomposizione del quadro istruttorio vagliato da quella Corte, una alternativa ed inammissibile, in questa sede, rivalutazione del fatto deducendo sulla riferibilità al ricorrente di un episodio di violenza riportato in un quotidiano.

La decisività della prova documentale integrata dalla notizia riportata dal quotidiano visionato dalla Corte di merito non dà conto, con carattere di autosufficienza, della riferibilità al richiedente del fatto ivi rappresentato.

La contestazione poi portata all’apprezzamento del certificato medico relativo agli esiti delle lesioni riportate dal richiedente è del tutto generico e puramente assertivo.

La situazione del paese di origine e la diversa qualificazione della stessa per ritenerne, anche, l’integrazione della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è poi dedotta, all’interno del medesimo motivo, per una serie di fonti riportate discorsivamente senza alcun raccordo con la motivazione impugnata, nella finalità di qualificare quelle indicate dal giudice del merito come travisate o superate da altre e successive per un puntuale richiamo al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, neppure contenuto in ricorso (Cass. n. 4037 del 18/02/2020).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 2Cost., art. 10Cost., comma 3, artt. 13, 29, 32 e 117 Cost.; degli artt. 2, 3, 4 e 8 CEDU; dell’art. 13 della Dichiarazioni Universale dei diritti umani; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 4, art. 19, commi 1 e 1.1; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

La Corte d’Appello aveva negato la protezione umanitaria in violazione delle norme richiamate, fondando il proprio giudizio solo sulla inattendibilità del racconto del richiedente e aveva mancato nel comparare, nel vagliare la situazione di vulnerabilità del richiedente integrativa dei “gravi motivi” sui quali riconoscere la protezione, i due contesti di riferimento, quello di integrazione in Italia e quello goduto in Nigeria, quanto al godimento dei diritti fondamentali, per coglierne una incolmabile sproporzione.

I trattamenti disumani subiti dal richiedente in Libia per i loro postumi biologici e psicologici sarebbero valsi al riconoscimento della protezione umanitaria.

Il giudizio di comparazione affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4455 del 2018) trova svolgimento nell’impugnata sentenza e nel resto la portata critica sortisce l’effetto di sconfinare nel merito diversamente ricomponendo gli elementi fattuali vagliato dalla Corte di merito.

3. Il ricorso è in via conclusiva infondato.

Nulla sulla spese nella tardività della costituzione dell’Amministrazione, rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13. comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

 

 

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