Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22283 del 21/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 22283 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 20170-2012 proposto da:
CARL ZEISS VISION ITALIA S.P.A. (già Sola Optical
Italia) P.I. 02142330121, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo studio
dell’avvocato VIANELLO LUCA, che la rappresenta e
2014
2070

difende unitamente agli avvocati ALBERTO CAJOLA,
ROBERTO CORDINI, giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

DIGREGORIO

DOMENICO

C.F.

DGRDNC50C14B998U,

Data pubblicazione: 21/10/2014

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA EUCLIDE N.
2, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARZIOLI,
rappresentato e difeso dall’avvocato FATONE SAVERIO,
giusta delega in atti;
– controricorrente

di BARI, depositata il 26/06/2012 R.G.N. 5489/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/06/2014 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato VIANELLO LUCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 3247/2012 della CORTE D’APPELLO

R.G. n. 20170/12
Ud. 11.6.2014

Il Tribunale di Bari, in parziale accoglimento della
domanda proposta da Digregorio Domenico nei confronti di Sola
Optical Italia S.p.A., ora Cari Zeiss Vision Italia S.p.A.,
condannava detta società al pagamento a favore del ricorrente,
quale agente della stessa, della somma di C 139.883 a titolo di
provvigioni, indennità di cessazione del rapporto, indennità
sostitutiva del preavviso e rimborso spese. Rigettava la domanda
di indennità di maneggio di danaro nonché la domanda
riconvenzionale spiegata dalla società, avente ad oggetto il
risarcimento dei danni per l’asserita illecita condotta di
concorrenza commessa dall’agente e l’indennità sostitutiva del
preavviso.
Su appello principale della società ed incidentale
dell’agente, la Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il
26 giugno 2012, rigettava il primo e, accogliendo il secondo,
condannava la società al pagamento dell’ulteriore somma di E
11.424 a titolo di indennità di maneggio denaro e rideterminava,
in misura più favorevole all’agente, le spese processuali.
Nel respingere l’appello della società, la Corte di merito
osservava che il recesso dell’agente era assistito da giusta causa,
posto che la società, benché più volte sollecitata, non aveva dato
risposta alle informazioni richieste dall’agente per l’espletamento
del mandato e non aveva altresì fatto partecipare lo stesso agente
ad un viaggio in Messico, avente ad oggetto la promozione di
affari per la clientela, e ad una riunione organizzativa tenutasi a
Roma; che era da escludere che il Digregorio avesse svolto
attività concorrenziale contro la società; che erano infondate le

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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critiche mosse dalla società alla consulenza tecnica espletata in
primo grado con riguardo agli affari conclusi dall’agente e al
mancato riconoscimento dello star del credere; che era infondata
la censura relativa alla indennità di fine rapporto, avendo la
società continuato a trarre benefici dall’attività dell’agente dopo
la cessazione del rapporto medesimo.
all’indennità di maneggio di denaro, la Corte territoriale
osservava che l’attività di incasso dell’agente non era limitata
alla riscossione dei soli insoluti, ma riguardava anche l’incasso
delle fatture, attività questa svolta con continuità su richiesta
della mandante e con pronta rimessa delle somme incassate.
Contro questa sentenza propone ricorso per cassazione la
società Carl Zeiss Vision Italia S.p.A. sulla base di sei motivi,
illustrati da memoria. Il Digregorio resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 1750 e 2119 cod. civ. nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo
della controversia, la società ricorrente deduce che erroneamente
la Corte di merito ha ritenuto che il recesso dal rapporto operato
dal Digregorio fosse sorretto da giusta causa. Al riguardo
sarebbe stato necessario un inadempimento da parte della
società preponente di non scarsa importanza e colpevole, ciò che
nella specie non era avvenuto. Non potevano considerarsi tali il
mancato invio del ricorrente al viaggio promozionale in Messico
ed alla riunione di Roma, mentre le richieste inoltrate alla
società dall’agente, asseritamente inevase, erano state
regolarmente riscontrate, ancorchè non sempre in forma scritta.
In realtà, aggiunge la ricorrente, l’agente ha allegato la
sussistenza di presunti inadempimenti da parte della
proponente, al solo scopo di potersi liberare, senza obblighi di
preavviso, dal rapporto di agenzia.

Nell’accogliere l’appello incidentale dell’agente, relativo

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2. Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione dell’art. 2598 cod. civ. nonché vizio di motivazione
su un punto decisivo della controversia, la ricorrente lamenta
che la Corte territoriale abbia ritenuto insussistente la violazione
del patto di non concorrenza da parte dell’agente nonché il
tentativo di sottrazione di due collaboratori alla società per
la medesima attività.
Precisa che l’agente era consigliere delegato, nonché socio
al 49%, della società O.V. Bari s.r.1., depositaria di Sola Optical
Italia S.p.A., socia quest’ultima di maggioranza della predetta
società; che il Digregorio gestiva anche un deposito in Lecce di
prodotti in concorrenza; che nel maggio 1997, allorché cedette la
propria quota di partecipazione a Sola Optical Italia, si era
impegnato a non svolgere, direttamente o indirettamente, fino a
che fosse stato agente di Sola Optical Italia, attività di
depositario per prodotti in concorrenza; che l’agente aveva
violato tale patto, iniziando a gestire, nel luglio 1997, tramite un
proprio cugino, un punto vendita di lenti presso l’ex deposito di
Lecce, in concorrenza con la società e nella zona di pertinenza di
questa, proponendo a due ex dipendenti di Sola Optical Italia di
lavorare presso il punto vendita anzidetto; che la proposta di
lavoro dianzi indicata risultava provata attraverso una lettera del
cugino del Digregorio ad una delle predetti dipendenti.
3. Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché vizio di
motivazione su un punto decisivo della controversia, la
ricorrente deduce che la Corte di merito ha compiuto una
istruttoria parziale, non ammettendo taluni capitoli di prova
ritenendoli inammissibili o inconferenti, mentre, viceversa,
erano rilevanti ai fini della decisione. Inoltre ha erroneamente
valutato le risultanze processuali ed in particolare la prova
testimoniale, ritenendo attendibili taluni testi piuttosto che altri.
Ancora, ha affermato che l’inadempimento della preponente

essere impiegati in un negozio dello stesso agente, che svolgeva

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fosse più grave rispetto a quello dell’agente, senza alcuna
motivazione sul punto.
4. Con il quarto motivo la ricorrente, nel denunziare
violazione e falsa applicazione degli artt. 191 e segg. cod. civ.,
115 e 166 cod. proc. civ., rileva che la Corte territoriale non ha
esaminato le censure svolte dalla preponente alla consulenza
competenze” fosse idoneo a dimostrare gli affari promossi e
conclusi; ha escluso erroneamente che fosse stato provato dalla
società lo star del credere; ha omesso di esaminare la
documentazione prodotta al riguardo, aderendo pienamente alle
conclusioni del c.t.u.
5. Con il quinto motivo la ricorrente, denunziando
violazione e falsa applicazione degli artt. 1751 cod. civ., 115 e
116 cod. proc. civ., rileva che la Corte di merito, nel riconoscere
l’indennità di cessazione del rapporto, non ha tenuto conto che
essa è volta a compensare l’agente dalla perdita di provvigioni
derivante dagli affari da lui promossi che rimangono acquisiti al
preponente e da cui questo continua a ricevere un sostanziale
beneficio per l’attività svolta dall’agente.
Al riguardo, aggiunge, la Corte d’appello ha erroneamente
valutato le dichiarazioni dei testi, trascurando quelle da cui
risultava che parte della clientela aveva cessato i rapporti con la
società e parte aveva ridotto gli ordinativi; ha errato nel valutare
taluni documenti prodotti dall’agente asseritamente dimostrativi
della permanenza di sostanziali vantaggi per la proponente; ha
affermato che vi era stato un “calo di fatturato”, ma poi ha
riconosciuto l’indennità in questione; ha omesso “di motivare
sull’esistenza dell’altro requisito, ossia l’equità, che subordina il
riconoscimento dell’indennità anche alle provvigioni che l’agente
perde”.
6. Con il sesto motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione “dell’AEC 16/11/98”, la ricorrente rileva che il
giudice d’appello ha errato nel riconoscere all’agente l’indennità

tecnica; ha erroneamente ritenuto che “il prospetto liquidazione

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di maneggio denaro. Egli infatti aveva svolto l’attività di recupero
insoluti e non già quella di riscossione per conto della
preponente, ipotesi questa prevista dalla clausola contrattuale ai
fini dell’indennità in questione.
Anche sul punto, aggiunge, la Corte di merito ha
erroneamente valutato i documenti prodotti dall’agente a

7. Il primo motivo non è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che l’istituto del
recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119, primo comma,
cod. civ. in relazione al contratto di lavoro subordinato, è
applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia
tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che
in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia – in corrispondenza
della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi,
tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle
finalità aziendali – assume maggiore intensità rispetto al
rapporto di lavoro subordinato. Ne consegue che, ai fini della
legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore
consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di
merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e
correttamente motivata (Cass. 26 maggio 2014 n. 11728; Cass. 4
giugno 2008 n. 14771).
Il controllo sulla congruità e sufficienza della motivazione,
consentito dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non deve
risolversi in un nuovo giudizio di merito attraverso una
autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di
causa, risultando ciò estraneo alla funzione assegnata
dall’ordinamento al giudice di legittimità (cfr. Cass. 26 luglio
2010 n. 17514; Cass. 23 febbraio 2009 n. 4369; Cass. 10
dicembre 2007 n. 25743; Cass. 7 giugno 2005 n. 11789).
Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto giustificato il
recesso dell’agente, avendo accertato, attraverso la
documentazione prodotta, il mancato riscontro da parte della

sostegno della pretesa.

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società preponente di alcune missive “necessarie per lo
svolgimento del mandato” ad essa trasmesse dall’agente. Inoltre,
ha aggiunto la Corte, la società non ha mai dato risposta alle
“precise richieste” avanzate dall’agente su fogli di
“comunicazione interna”, che la stessa società ha ammesso di
aver ricevuto. Tali fatti, unitamente al mancato invio del
una riunione organizzativa tenutasi a Roma nel dicembre 1997,
hanno reso, secondo la Corte territoriale, legittimo il recesso.
Trattandosi di motivazione coerente, logica e priva di vizi, il
motivo in esame deve essere rigettato.
8. Anche il secondo motivo è infondato.
La Corte territoriale non ha ravvisato nella condotta
dell’agente una violazione del patto di non concorrenza, rilevando
che dall’oggetto sociale della società avente sede nel punto
vendita sito nell’ex deposito O.V. di Bari, costituita dal cugino del
Degregorio e facente capo asseritamente a questi, non era dato
inferire alcunché in ordine ad un’attività di potenziale
concorrenza; che l’attività concorrenziale non aveva trovato
riscontro nella prova testimoniale; che non erano ravvisabili
profili in tal senso nella proposta fatta alle ex dipendenti della
società Sola Optical Italia di lavorare in detto punto vendita, non
essendovi prova che in esso dovesse svolgersi attività
concorrenziale.
Anche qui la ricorrente censura le valutazioni di merito
effettuate dalla Corte territoriale, riproponendo – come aveva
fatto in sede di appello – a questa Corte una diversa lettura delle
risultanze processuali ed affermando che dal complesso degli
elementi acquisiti era evincibile la violazione del patto di
concorrenza.
Ed allora è bene ricordare che il ricorso per cassazione non
introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la
mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi,
invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a

Digregorio, nel 1998, ad un viaggio promozionale in Messico e ad

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cognizione determinata dall’ambito della denuncia dei vizi
previsti dall’art. 360 cod. proc. civ.; che, con riguardo alla
denunzia di omessa o insufficiente motivazione, tale vizio, per
consolidata giurisprudenza di questa Corte, sussiste solo se nel
ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza,
sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi
apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello
preteso dalla parte perché la citata norma non conferisce alla
Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito
della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le
fonti del proprio convincimento e all’uopo, valutarne le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le
risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti
in discussione.
Anche questo motivo deve pertanto essere rigettato, non
ravvisandosi nella motivazione della sentenza impugnata lacune
o vizi di sorta.
9. Parimenti infondati sono il terzo, il quarto ed il quinto
motivo, con i quali vengono censurati gli elementi di prova
acquisiti dal giudice d’appello nonché gli accertamenti effettuati
dal consulente tecnico d’ufficio.
Al riguardo, deve osservarsi che spetta in via esclusiva al
giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova.
Conseguentemente il vizio di motivazione su un asserito
punto decisivo della controversia sussiste solo se nel
ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza,

della controversia, e non può invece consistere in un

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sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi
della controversia, e non può invece consistere in un
apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello
preteso dalla parte.
Né il giudice di merito è tenuto a compiere un’analisi
approfondita di tutte le deduzioni delle parti ovvero a prendere in
sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di
quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed
adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo
convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto
decisivo, dovendosi ritenere legittimamente disattese, anche solo
in maniera implicita, le deduzioni difensive che siano
logicamente incompatibili o palesemente irrilevanti rispetto alla
decisione adottata (cfr., per tutte, Cass. 27 luglio 2006 n.
18375).
In particolare sono senza pregio le censure rivolte alla
consulenza tecnica.
La ricorrente censura singoli aspetti della relazione di
consulenza, rilevando che il c.t.u. è stato tutt’altro che
imparziale e lamentando che il giudice d’appello ha omesso di
motivare sui rilievi al riguardo sollevati in quella sede.
Ma, la sentenza impugnata ha dato risposta, anche qui, ai
rilievi mossi dalla società, rilevando che ess4 erano in parte
inconferenti; che l’analisi contabile effettuata dal consulente si
fondava sui tabulati forniti dalla stessa società; che anche le
critiche relative al mancato riconoscimento dello star del credere
erano infondate, avendo il c.t.u. più volte invitato la parte
convenuta a comprovare il mancato pagamento delle fatture
oggetto di perdita, senza che tale invito fosse stato raccolto.
Quanto all’indennità di cessazione del rapporto la Corte
territoriale ha accertato, anche qui con valutazioni non
censurabili in questa sede, che ricorrevano le condizioni di cui

esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo

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all’art. 1751 cod. civ., avendo la preponente ricevuto sostanziali
vantaggi dagli affari conclusi dall’agente.
A tale conclusione il giudice d’appello è pervenuto sulla
scorta della documentazione in atti, degli accertamenti eseguiti
dal c.t.u. e delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio
formale dal procuratore speciale della società Sola Optical Italia
secondo cui la società, dopo la cessazione del rapporto, ha
continuato a sviluppare affari con i clienti procurati dall’ex
agente.
Né, ha aggiunto, era rilevante che nel 1997 vi fosse stato un
calo del fatturato rispetto al precedente anno, posto che la
circostanza di aver procurato nuovi clienti al preponente o di
aver sviluppato affari con i clienti esistenti andava accertata e
valutata nell’arco dell’intera durata del rapporto e non solo nella
fase finale.
Deduce la ricorrente che la Corte di merito ha omesso, con
riguardo all’indennità in questione, di “motivare sull’esistenza
dell’altro requisito, ossia l’equità, che subordina il
riconoscimento dell’indennità anche alle provvigioni che l’agente
perde. L’agente, terminato il rapporto nel dicembre 97 ha iniziato
il nuovo mandato con Essilor nel gennaio 98, né ha dimostrato
di aver subito calo di introiti rispetto all’anno precedente”.
La censura è inammissibile, atteso che la questione non
risulta affrontata dalla sentenza impugnata e la ricorrente non
deduce di averla proposta in appello e in quali termini.
10. Infondato è infine il sesto motivo.
La Corte di merito, sulla scorta degli accertamenti eseguiti
dal c.t.u., ha accertato che l’agente svolgeva con continuità
un’attività di incasso delle fatture con pronta rimessa dei relativi
importi alla preponente, aggiungendo che la rilevanza di detta
attività era dimostrata anche dal cospicuo importo di tali incassi
negli anni 1995, 1996 e 1997.

S.p.A. e dal legale rappresentante della società ricorrente,

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Ha quindi ritenuto che fosse dovuta all’agente l’indennità di
maneggio denaro, posto che l’accordo collettivo del 16 novembre
1988, prodotto in atti, stabiliva che non sussisteva l’obbligo di
corrispondere le provvigioni per il caso in cui l’agente avesse
svolto la sola attività di recupero de gli insoluti.
Anche qui la ricorrente contesta tali accertamenti,
Digregorio al riguardo consisteva “per lo più in relazioni
accompagnatorie dell’agente relativi ad invii di assegni e/o
cambiali a copertura di precedenti fatture scadute”.
Ma le indagini sul punto eseguite dal c.t.u. e condivise dal
giudice d’appello dimostrano il contrario, essendo stata accertata
un’attività di incasso vera e propria delle fatture.
11. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, previa
condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo
giudizio, liquidate come in dispositivo.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore del
resistente, in € 100,00 per esborsi ed C 5.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma in data 11 giugno 2014.

richiamando una serie di documenti e rilevando che l’attività del

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