Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22283 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18275-2019 proposto da:

I.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato FABIO FRANCESCO

FRANCO, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO MORGESE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 7804/2018 del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 03/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto del 3 maggio 2019 il Tribunale di Lecce rigettava il ricorso proposto da I.T., cittadino della (OMISSIS) proveniente dal Delta State, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale, dopo aver osservato che i fatti narrati dal richiedente asilo non attenevano a motivi di persecuzione di natura tale da consentire di riconoscere lo status di rifugiato, rilevava, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2207, ex art. 14, lett. b) e c), che il racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di essere fuggito, dopo l’omicidio della madre, a pano, città in cui aveva trovato impiego nell’officina di una persona che poi aveva scoperto essere un ladro d’auto e da dove si era allontanato dopo essere stato aggredito perchè ritenuto complice dei furti e nel timore di essere ucciso) non era credibile;

il collegio di merito riteneva poi che nel Delta State non vi fosse una situazione di violenza indiscriminata e diffusa tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), osservando infine che la mancata deduzione di condizioni di vulnerabilità soggettiva, con riferimento alla vicenda personale narrata, e l’assenza di un serio percorso integrativo ostassero al riconoscimento della protezione umanitaria;

2. per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso “Pony I., prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 19, comma 8, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in quanto il Tribunale avrebbe rigettato il riconoscimento di tutte le forme di protezione richieste con una motivazione generica e stereotipata senza curarsi di vagliare, nel concreto, la credibilità del racconto del migrante, specificando le presunte contraddizioni in cui questi sarebbe incorso, e di esaminare in maniera adeguata le informazioni internazionali esistenti sul paese di origine;

3.2 il motivo è, nel suo complesso, inammissibile;

3.2.1 il Tribunale non si è limitato sostenere che il “racconto del richiedente asilo” era “intriso di contraddizioni e di elementi vaghi e generici”, ma ha giustificato la propria valutazione, da un lato richiamando e integralmente condividendo le valutazioni già espresse dalla commissione territoriale, dall’altro sottolineando come risultasse inverosimile che il migrante non fosse in grado di riferire alcun particolare sull’uccisione della madre nè di indicare le ragioni per cui non si era rivolto alle autorità dopo l’aggressione subita;

si tratta quindi di una motivazione che, facendo riferimento ai criteri di coerenza e plausibilità previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c, reca, direttamente o per relationem, la rappresentazione di ragioni obbiettivamente idonee a rappresentare l’iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione;

3.2.2 allo stesso modo il Tribunale (richiamando, oltre al rapporto annuale Amnesty International 2017 – 2018, proprio il sito “Viaggiare Sicuri” da cui il ricorrente vuole trarre argomenti a sostegno della propria tesi) ha indicato le fonti internazionali consultate, spiegando come le loro risultanze inducessero a ritenere che nel sud della Nigeria, dove si trova il Delta State, non sussista una condizione di violenza generalizzata idonea a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c);

anche in questo caso la motivazione offerta consente di percepire il fondamento della decisione, spiegando il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento;

3.2.3 il Tribunale infine, nel vagliare la richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria, ha preso in esame le situazioni rilevanti a tal fine, constatando che non erano state dedotte condizioni di vulnerabilità soggettiva nè risultava dimostrato un serio percorso integrativo;

3.2.4 la doglianza in esame trascura gli argomenti offerti dal giudice di merito e intende nella sostanza contestare, più che l’apparenza, la congruità della motivazione, proponendo una diversa lettura dei fatti di causa, inammissibile però in questa sede di legittimità;

4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 8, e art. 115 c.p.c. in quanto il Tribunale avrebbe deciso senza che la commissione territoriale avesse trasmesso le C.O.I. utilizzate per la propria decisione e facendo riferimento a fonti internazionali estranee al dibattito processuale;

4.2 il motivo è manifestamente infondato;

il Tribunale ha preso in esame informazioni aggiornate sulla situazione esistente in Nigeria e nel Delta state (costituite, come detto, dal rapporto annuale 2017/2018 di Amnesty International, oltre che dalle risultanze del sito Viaggiare Sicuri pubblicate il 13 agosto 2018 e da una serie di siti internet contenenti informazioni sulla febbre di Lassa);

l’omessa sottoposizione al contraddittorio di tali COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente non lede di per sè il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè quando l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali è sufficiente che il Tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione (cfr. Cass. 29056/2019);

il ricorrente non ha poi sostenuto nè allegato con la necessaria autosufficienza di aver indicato al giudice di merito COI di tenore opposto a quelle utilizzate d’ufficio (ipotesi in cui, invece, sarebbe sussistita una violazione del diritto di difesa del richiedente asilo in caso di mancata formazione del contraddittorio sul punto);

5.1 il terzo motivo di ricorso assume la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, poichè il grado di violenza indiscriminato che caratterizza il conflitto armato in corso in tutta la Nigeria avrebbe giustificato il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, umanitaria;

5.2 il motivo risulta inammissibile, in parte infondato;

ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (v. Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame le informazioni in precedenza indicate al fine di trarre argomenti sulla situazione esistente nella parte meridionale della Nigeria ed in particolare nel Delta State;

la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

quanto invece al mancato esame della situazione di violenza incontrollata diffusa esistente in Nigeria ai fini della domanda relativa alla concessione della protezione umanitaria, se è ben vero che il giudizio di inattendibilità della narrazione del richiedente non precludeva di per sè la valutazione di diverse circostanze che concretizzassero una situazione di vulnerabilità (Cass. 10922/2019), occorre tuttavia rilevare che a tal fine non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine; in vero il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente;

ne consegue che a tal fine non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità;

6. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in 2.100 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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