Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2228 del 03/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2228 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

ORDINANZA
sul ricorso 5869-2011 proposto da:
SCHIAVULLI MARCELLO SCHMCL37M26H501Y, ALTAMURA
ANNA LTMNNA41R6OH501P, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA TARANTO 6, presso lo studio dell’avvocato ALTAMURA
GIUSEPPE, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrenti contro

ALBERTI GLORIA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 2657/2010 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 17/06/2010, depositata il 22/09/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

Data pubblicazione: 03/02/2014

è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE.

Ric. 2011 n. 05869 sez. M3 – ud. 05-12-2013
-2-

R.g.n. 5869-11 (c.c. 5.12.2013)

Ritenuto quanto segue:
§1. Anna Altamura e Marcello Schiavulli hanno proposto ricorso per Cassazione
contro Gloria Alberti avverso la sentenza del 22 settembre 2010, con cui la Corte
d’Appello di Roma ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da essi ricorrenti contro
la sentenza n. 5514 del 2009 del Tribunale di Roma, pronunciata su una controversia inter
partes di rito locativo.
Il giudice d’appello ha ritenuto improcedibile l’appello sul presupposto che la

notificazione del ricorso introduttivo del gravame non fosse stata effettuata nel termine
previsto dall’articolo 435, comma secondo, c.p.c., cioè nei dieci giorni dalla
comunicazione del deposito del decreto di fissazione dell’udienza di cui al primo comma
dell’alt. 435 c.p.c.
Nella specie, essendo stato tale decreto emesso il 15 ottobre 2009 per l’udienza ex
art. 420 c.p.c. dell’Il marzo 2010 ed essendo stato comunicato a mezzo fax al difensore
degli appellanti il 22 ottobre 2009 o comunque dal medesimo conosciuto, la notificazione
del ricorso e del decreto era avvenuta il 18 novembre 2009.
§2. Al ricorso non v’è stata resistenza dell’intimata.
§3. Prestandosi il ricorso ad essere deciso con il procedimento di cui all’art. 380-bis
c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata all’avvocato
dei ricorrenti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.
Considerato quanto segue:
§1. La relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. ha avuto il seguente tenore:
«[…] §3. Il ricorso può essere deciso con il procedimento di cui all’art. 380-bis
c.p.c., in quanto l’unico motivo di ricorso – con cui si denuncia “violazione di legge —
Violazione degli artt. 435 comma II c.p.c. e 156 c.p.c. — Violazione dell’art. 24 e 111 della
Costituzione” e si censura l’eroneità dell’esegesi del secondo comma dell’art. 435 c.p.c.
data dalla Corte capitolina – appare manifestamente fondato.
Le ragioni della sua manifesta fondatezza emergono dalla ormai costante
giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetute volte censurato il principio di diritto
con cui la Corte capitolina è pervenuta a dichiarare l’improcedibilità dell’appello, cioè
quello per cui «Al mancato rispetto del termine di dieci giorni per la notifica previsto
dall’articolo 435, comma 2, c.p.c., consegue l ‘improcedibilità del proposto appello, non
essendo consentito al giudice, alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente
orientata, assegnare ex art. 421 c.p.c. all’appellante, previa fissazione di un’altra udienza
di discussione, un termine perentorio per provvedere a una nuova notifica ex art 291 c.p.c.
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Est. Con’. Raffaele Frasca

R.g.n. 5869-11 (c.c. 5.12.2013)

non rilevando, in contrario, l’avvenuta notifica nel termine non minore di venticinque
giorni prima dell’udienza di discussione>>.
Il consolidato orientamento di questa Corte è, invece, nel senso che <> (Cass. (Ord.) n. 21358 del 2010).
A conferma di tale principio la Corte ha ulteriormente affermato che <>
(Cass. n. 26489 del 2010).
Successivamente si vedano, anche con riguardo al rito locativo: Cass. (ord.) n. 8411
del 2011; (ord.) n. 15590 del 2011; n. 4960 del 2012; (ord.) n. 12158 del 2012; (ord.) n.
19256 del 2012; (ord.) n. 19288 del 2012; (ord.) n. 19258 del 2012.
L’analisi delle motivazioni di queste decisioni, che si sono fatte carico anche
dell’avallo dato dalla giurisprudenza costituzionale alla soluzione prospettata proprio nel
disattendere questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte capitolina (si vedano Corte
cost. (ord.) n. 60 del 2010 e n. 253 del 2012, che hanno avallato il diritto vivente di cui alla
giurisprudenza di questa Corte), ed in particolare di Cass. n. 8411 del 2011, evidenzia che
del tutto impropriamente la Corte capitolina adduce a sostegno del suo orientamento Cass.
sez. un. n. 20604 del 2008, la quale ha statuito che <>.
È stato, infatti, già rilevato dalla ricordata giurisprudenza che la corretta lettura di
questo principio di diritto evidenzia che esso si riferisce alla eventualità che la notifica sia
inesistente perché il ricorrente ometta qualsiasi attività pur oltre il termine di dieci giorni di
cui al secondo comma dell’art. 435 c.p.c. (o comunque, se si ritiene che il decreto debba
essere comunicato, dalla sua comunicazione) e soltanto all’udienza ai sensi dell’art. 435

c.p.c. insti per ottenere un nuovo termine. In tal caso l’istanza non può e non deve essere
accolta (salva l’incidenza di situazioni che evidenziano ragioni per una rimessione in
termini), sia perché il suo accoglimento confliggerebbe con l’art. 154 c.p.c., che vieta la
proroga di un termine pur ordinatorio, qual è quello di cui al secondo comma, dell’art. 435
c.p.c. dopo la sua scadenza, sia e soprattutto perché lo stesso art. 291 c.p.c. verrebbe in tal
caso applicato oltre i suoi limiti, che si correlano all’ipotesi di notificazione eseguita in
modo nullo e non comprendono l’ipotesi della notificazione inesistente.
E’ da aggiungere che la soluzione sostenuta dalla consolidata giurisprudenza sopra
richiamata (e da quella costituzionale) non è in alcun modo in contraddizione con
l’esclusione, in ragione del suo carattere ordinatorio, della prorogabilità del termine di cui
al decreto di fissazione dell’udienza dopo la sua scadenza. Invero, consentire in tal caso
alla parte di provvedere comunque alla notificazione sua sponte ed escludere ch’essa possa
chiedere la proroga, non è contraddittorio, in quanto l’esecuzione della notificazione oltre
il termine ma in un momento tale che risulti rispettato il termine per la comparizione,
realizza una normale fattispecie nella quale, al verificasi di una nullità, cioè di una
inosservanza delle forme per il mancato rispetto del termine di cui al secondo comma
dell’art. 435 c.p.c. ed alla preclusione della possibilità di chiedere che alla nullità rimedi il
giudice con un provvedimento di proroga del termine (impedito dall’art. 154 c.p.c.),
consegue uno sviluppo procedimentale tale che riesce assicurato comunque lo scopo cui
era finalizzata la fissazione ex lege del termine di cui al secondo comma dell’art. 435 c.p.c.
Invero, questo scopo, nelle intenzioni del legislatore è di consentire un sollecito
svolgimento processuale, come rivela la previsione del primo comma della stessa norma
che l’udienza di discussione debba essere fissata non oltre sessanta giorni dalla data di
deposito, ma sia preservata la realizzazione della garanzia del termine a difesa previsto
dalla disposizione di cui al terzo comma successivo. Il che significa che il giudice adito
deve necessariamente fissare l’udienza in modo che, sommando il termine di cui al
secondo comma (ed anzi considerandolo come termine da osservarsi con la notificazione
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Est. Coi. Raffaele Frasca

R.g.n. 5869-11 (c.c. 5.12.2013)

non solo dal punto di vista del notificante, ma anche dal punto di vista del perfezionamento
per il destinatario), risulti assicurata la possibilità di garanzia del termine di cui al terzo
comma.
Ora, allorquando l’ufficio adito non osservi il termine di cui al primo comma, com’è
di norma giustificato in ragione dei carichi di lavoro, fermo che l’inosservanza non è in
alcun modo sanzionata sul piano processuale e, quindi, non determina alcuna nullità del
procedimento (trattandosi di termine fissato al giudice, di carattere ordinatorio e la cui

inosservanza potrebbe, se priva di giustificazione, rilevare solo, in ipotesi, ai fini
disciplinari), risulta evidente che lo scopo cui è finalizzata l’imposizione del termine di
dieci giorni di cui al secondo comma risulta automaticamente irrealizzato e lo è per il
comportamento dell’ufficio.
Ne deriva che la parte ricorrente, di fronte alla fissazione di un’udienza ben oltre i
sessanta giorni di cui al primo comma, nel compiere la notificazione di cui al secondo
comma, pur non potendo chiedere la proroga del termine di cui al decreto (perché lo vieta
la legge), dopo la sua scadenza, pone in essere un’attività che, essendo mancata la
realizzazione degli scopi previsti dalle disposizioni di cui al primo e secondo comma, si
connota come priva di correlazione ad essi ed ormai da apprezzare, alla stregua dei principi
sulle nullità, con riferimento all’attività successiva della sequenza processuale, che è la
tenuta dell’udienza in un momento che, in relazione all’attività di notificazione oltre il
termine fissato nel decreto, sia utile per preservare il termine a difesa di cui al terzo comma
dell’art. 435.
Le stesse considerazioni possono svolgersi per il caso in cui l’udienza si stata fissata
nei sessanta giorni di cui al primo comma della norma e la notificazione avvenga oltre il
termine di cui al secondo comma, ma in tempo utile per garantire l’osservanza del termine
a di cui al terzo comma.
§3.1. Le esposte argomentazioni — di recente esposte da Cass. (ord.) n. 17910 del
2013 – evidenziano che la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata con rinvio ad altra
Sezione della Corte di Appello di Roma, che dovrà considerare procedibile l’appello e
esaminarlo, non ricorrendo le condizioni per deciderlo nel merito in questa sede.>>.
§2. Il Collegio condivide le argomentazioni e conclusioni della relazione alle quali
nulla è da aggiungere.
La sentenza impugnata è, dunque, cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di
Appello di Roma, comunque in diversa composizione, che dovrà considerare procedibile

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Est. Con Raffaele Frasca

R.g.n. 5869-11 (c.c. 5.12.2013)

l’appello e esaminarlo, non ricorrendo le condizioni per deciderlo nel merito in questa
sede.
§3. Al giudice di merito è rimesso di provvedere anche sulle spese del giudizio di
cassazione.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia, anche per le spese
del giudizio di cas azione, ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, comunque in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile 3, il 5
dicembre 2013.

P. Q. M.

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