Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22279 del 13/09/2018

Cassazione civile sez. III, 13/09/2018, (ud. 04/06/2018, dep. 13/09/2018), n.22279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1085/2016 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GREZ STUDIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO GIGANTE giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI SANTI

APOSTOLI 66, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CELLAMARE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO CELLAMARE giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2663/2015 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata

il 31/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

l’avvocato L.G., quale difensore distrattario dell’avvocato Matteo Malandrino, intimava con precetto a S.V. il pagamento di spese processuali liquidate da un’ordinanza emessa in sede di reclamo cautelare;

S.V. si opponeva al precetto sia perchè erano state indicate somme secondo tariffe abrogate, sia perchè erano stati richiesti oneri di registrazione già evasi dall’opponente, sia perchè era stato ingiunto il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto che era a carico della parte vittoriosa,la quale, come soggetto d’imposta, trattando l’originaria controversia di compensi professionali forensi, aveva titolo per recuperarla portandola in detrazione;

il giudice di pace rigettava l’opposizione con pronuncia parzialmente riformata dal tribunale che riduceva le spese autoliquidate a titolo di compensi professionali, ma disattendeva la pretesa di esclusione dell’i.v.a.;

avverso questa decisione ricorre per cassazione S.V. formulando due motivi e depositando memoria;

resiste con controricorso L.G.;

Rilevato che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 41, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, comma 8, poichè il tribunale avrebbe errato nell’affermare dovuta l’i.v.a., posto che era recuperabile dal committente quale soggetto d’imposta che poteva detrarla, essendo avvocato egli stesso e trattandosi di somme dovute a titolo di compensi per attività professionale;

con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., poichè il tribunale avrebbe errato nel compensare le spese del giudizio di opposizione a precetto, avendo accolto quasi tutti i motivi di gravame;

Ritenuto che:

il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del secondo e pronuncia nel merito, non essendo necessari altri accertamenti;

la condivisibile giurisprudenza di questa Corte ha precisato che l’avvocato distrattario può richiedere alla parte soccombente solamente l’importo dovuto a titolo di onorario e spese processuali e non anche l’importo dell’i.v.a. che gli sarebbe dovuta, a titolo di rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla. Ciò in quanto, in materia fiscale costituisce principio informatore l’addebitabilità di una spesa al debitore solo se sussista il costo corrispondente e non anche qualora quest’ultimo venga normalmente recuperato, poichè non può essere considerata legittima una locupletazione da parte di un soggetto altrimenti legittimato a conseguire due volte la medesima somma di denaro (Cass., 21/02/2012, n. 2474);

nel più risalente precedente invocato dalla sentenza di appello (Cass., 01/04/2011, n. 2474), la fattispecie era diversa: il giudice di pace aveva affermato erroneamente che il difensore fosse distrattario negando la debenza dell’i.v.a. òin carenza di fatturazione, e questa Corte rilevò che, invece, l’avvocato, non distrattario, aveva ricevuto il pagamento dell’imposta dalla s.r.l. sua cliente, unica legittimata passiva alla domanda di restituzione, laddove l’addebito del tributo era implicato necessariamente dalla condanna al pagamento delle spese legali, fermo restando, però, il diritto del soccombente di contestare con l’opposizione a precetto la non debenza per la sua deducibilità (pag. 7 dell’arresto);

nel caso qui in delibazione si è proprio in sede di opposizione a precetto per la ragione in parola: il difensore precettante è pacificamente anticipatario e l’importo a titolo di i.v.a. è altrettanto pacificamente deducibile dalla parte vittoriosa e committente la prestazione professionale liquidata, sicchè il destinatario passivo finale del pagamento del tributo, potendo normalmente detrarla, deve ritenersi non sopportare alcun costo effettivo, che, perciò, non è suscettibile di pretesa, altrimenti finendo con l’essere pagata la somma, per il medesimo titolo, due volte (in sede di rivalsa dal committente obbligato e legittimato a detrarla, e in adempimento del precetto dal soccombente);

quanto sopra comporta la cassazione della sentenza limitatamente alla censura accolta e la possibilità di decisione nel merito sul punto, non essendo necessari altri accertamenti, con assorbimento del secondo motivo;

le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’oppposizione al precetto e dichiara non dovuta la somma di Euro 455,53 intimata a titolo di i.v.a. Condanna il controricorrente alla rifusione delle spese processuali del ricorrente liquidate in Euro 300,00 per il primo grado, Euro 600,00 per il secondo grado, ed Euro 1.200,00 per il giudizio di legittimità, oltre a Euro 200,00 per esborsi, e accessori legali dovuti.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2018

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