Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22278 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18956-2019 proposto da:

D.S.H., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO

RIBOTY, 23, presso lo studio dell’avvocato VALERIA GERACE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI (OMISSIS),

(OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 4100/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato

il 09/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. D.S.H. ricorre in cassazione con tre motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Napoli – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione intemazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, adito D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, ne aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale, nelle forme del rifugio e della protezione sussidiaria, nonchè di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella ritenuta insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle misure.

2. Con il primo motivo il ricorrente – che aveva dichiarato dinanzi alla competente commissione amministrativa di essere nato in Mali ma di essersi trasferito con la famiglia all’età di un anno nella città di (OMISSIS) in Costa d’Avorio presso uno zio per curare la madre malata in seguito alla cui morte per gli screzi insorti con lo zio – che non gli permetteva di giocare a calcio e di frequentare la scuola, si rifiutava di acquistargli abiti e lo costringeva a lavorare a casa e nei campi – e con la moglie di questi, decideva di lasciare il proprio paese, fa valere la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 e del D.Lgs. n. 251 del 200, art. 14, “in relazione all’esigenza di accordare protezione al ricorrente o altre forme residuali”.

Il tribunale ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato avrebbe definito la situazione generalizzata del Mali “sicura” là dove esisteva invece una violazione generalizzata dei diritti umani, come attestato da fonti internazionali. Siffatto estremo non sarebbe stato valutato in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria per gli aspetti personali della vicenda. Non sarebbe stata neppure valutata la condizione delle libertà ed i diritti in Costa d’Avorio ed in Mali.

Il motivo è inammissibile per genericità cumulando in un unico contesto rimedi tra loro distinti (protezione internazionale per riconoscimento del rifugio, della sussidiaria e di quella umanitaria) rispetto ai quali declina in modo indifferenziato la situazione generale del paese di provenienza del richiedente che invece assolve, in ordine a ciascuno dei primi, un differente ruolo.

Il ricorso in tal modo non si fa carico della necessaria individualizzazione del rischio legata al rientro nel paese di origine ai fini del riconoscimento del rifugio (D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8), ed anche ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria nei casi previsti dal cit, art. 14, lett. a) e b); nè contempla distintamente la situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, di cui all’art. 14, lett. e), e la condizione di vulnerabilità personale integrativa del riconoscimento di un permesso per motivi umanitari.

Neppure, poi, il motivo si confronta con la motivazione là dove essa esclude, per la ritenuta sua lacunosità, la verosimiglianza del racconto in ordine al periodo vissuto dal richiedente presso lo zio ed ai maltrattamenti ricevuti.

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione della Dir. Europea 29 aprile 2004, n. 2004/83/CE, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Il tribunale aveva mancato all’onere di collaborazione istruttoria e non aveva ritenuto credibile la dichiarazione del richiedente sulla sua provenienza dal Mali.

Il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la ratio del decreto impugnato. Il tribunale ha ritenuto non rilevante la circostanza che il richiedente fosse nato in Mali per essere egli stato in quel paese solo sino al raggiungimento di un anno di età.

Il ricorrente non contraddice sul punto deducendo circa un proprio rientro in Mali in caso di rimpatrio, e non in Costa d’Avorio dove egli invece deduce, nel racconto reso, di essersi trasferito da piccolo con la propria famiglia e che era il paese da cui si era allontanato.

Nè, ancora, il primo allega di aver fatto tempestivamente valere dinanzi al giudice di merito il timore di un proprio rientro in Mali quale paese di rimpatrio (sul difetto di allegazione explurimis: Cass. n. 27568 del 21/11/2017).

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia che la “Corte” non avrebbe approfondito la storia del ricorrente e non avrebbe tenuto conto della situazione degli omosessuali in Mali il cui codice penale punisce gli atti di pubblica indecenza.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e novità della questione in fatto non allegando il ricorrente di aver tempestivamente dedotto l’indicata evidenza dinanzi al giudice di merito (Cass. n. 27568 cit; Cass. n. 16347 del 21/06/2018).

5. Il ricorso è, pertanto, in via conclusiva inammissibile.

Nulla sulle spese, essendo l’Amministrazione rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

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