Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22276 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18881-2019 proposto da:

DIABY MOUSTAFA, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIACINTO CORACE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INETERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PRESSO LA PREFETTURA

DI MILANO, UTG DI MILANO – SEZIONE DI MONAZA E DELLA BRIANZA;

– intimato –

avverso il decreto n. 4118/2019 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 07/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

SCALIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. D.M. ricorre in cassazione con tre motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, adito D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis ne aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale, nelle forme del rifugio e della protezione sussidiaria, nonchè di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella ritenuta non credibilità del racconto reso dinanzi alla competente commissione territoriale e nella insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle misure.

2. Con il primo motivo il ricorrente – che aveva dichiarato dinanzi alla competente commissione amministrativa di avere abbandonato il proprio paese, la Costa d’Avorio, per sfuggire ad un “maleficio” a causa del quale egli non era più riuscito a camminare per i dolori riportati ad una gamba ed ai piedi – fa valere, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27 per inosservanza dell’onere di collaborazione istruttoria relativamente alle condizioni del paese di origine e per erroneità del giudizio formulato sulla non credibilità del racconto.

Il tribunale nel valutare la credibilità del richiedente aveva confrontato le informazioni da lui rese, in assenza di un interprete di lingua parlata, in sede di formalizzazione della domanda di asilo, nel cd. mod. C3, ed i fatti narrati in sede di interrogatorio libero reso davanti al giudice.

Le informazioni riportate dal tribunale avrebbero avuto riguardo alla regione di provenienza con riferimento alla situazione generale di sicurezza e non invece allo specifico timore di persecuzione rappresentato dal ricorrente e tanto in violazione delle norme CEDU (artt. 2, 3, 4, 7, 8 e 9), della Convenzione di Ginevra del 1951 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 10, comma 1, lett. e).

I giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere al richiedente la. posizione di rifugiato in ragione delle gravità delle persecuzioni da egli subite nel passato che avrebbero integrato un serio indizio per ritenere che persecuzioni e gravi danni si sarebbero ripetuti.

Il motivo è inammissibile.

valutazione in ordine credibilità del racconto del cittadino straniero

costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. e). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Tanto è destinato a valere nell’ulteriore rilievo, operato da questa Corte di cassazione, che, attesa la natura indicativa dei parametri enunciati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) la norma non preclude altresì la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza (Cass. n. 20580 del 31/07/2019).

L’esclusione della credibilità del racconto, osta poi, secondo orientamento consolidato di questa Corte di legittimità, ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 27/06/2018), non riscontrabili nella fattispecie.

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il tribunale di Milano, pur prendendo in considerazione l’esistenza in Costa d’Avorio di trattamenti inumani e degradanti, aveva ritenuto che non vi fosse un rischio di persecuzione per il ricorrente omettendo però di vagliarne la situazione di persecuzione personale, il tribunale avrebbe dovuto attivarsi ufficiosamente chiedendo informazioni sulle caste considerate inferiori e sulla situazione di conflitto interno per poi valutare il danno grave a cui si sarebbe trovato esposto il ricorrente (D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 14).

Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte nella valutazione della prima censura e quindi in ragione di un giudizio di non credibilità del racconto che è stato apprezzato, dai giudici di merito con motivazione non censurabile in sede di legittimità, quanto alle fattispecie individuate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Del resto il motivo è generico e quindi inammissibile là dove contesta la corretta applicazione dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. cit. per gli estremi del conflitto armato o della violenza indiscriminata.

Il tribunale ha scrutinato rettamente (sulla base di fonti di informazione specificamente individuate) l’indicato estremo escludendolo) nella definizione datane dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (Caso Diakite 285/12) come ripresa da questa Corte di cassazione (Cass. n. 18306 del 08/07/2019) e la censura, proposta in modc) aspecifico e senza confronto con la motivazione impugnata, insiste in modo inconcludente per l’applicazione della norma.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dell’art. 10 Cost., comma 3, e motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione per motivi umanitari ed omesso esame di fatti decisivi.

Il rimpatrio avrebbe imposto al ricorrente condizioni di vita inadeguate in spregio agli obblighi di solidarietà nazionale ed internazionale (art. 10 Cost.; artt. 19, 20, 25 Dichiarazione universale diritti dell’uomo; l’atto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e Patto internazionale relativo a diritti civili e politici), integrativi dei “seri motivi” di carattere umanitario.

Il motivo è inammissibile per genericità e difetto di allegazione.

La non credibilità del racconto del richiedente protezione esclude l’esistenza del rischio individuale riferito (vd Cass. 24/04/2019 n. 11267), da compararsi alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

L’estremo della individualizzazione del rischio è infatti richiesto poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. n. 9304 del 03/04/2019).

La deduzione dell’esistenza di fonti costituzionali e sovranazionali integrative dei “seri motivi” di carattere umanitario è come tale generica ed assertiva ed il richiamato generale contesto di violazioni dei diritti umani in Costa d’Avorio, nelle sopraindicate premesse, non si coniuga in modo concludente con la motivazione sul racconto del richiedente.

Nel resto, citiamo al giudizio di bilanciamento tra la situazione goduta in Italia e quella del paese di origine, il ricorrente deduce in modo inefficace ed in violazione dell’autosufficienza del ricorso – mancando di indicare in quale atto del giudizio di merito egli lo abbia fatto onde dar modo alla Corte di controllare “ex artis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. n. 1435 del 22/01/2013; Cass. n. 27568 del 21/11/2017; Cass. n. 16347 del 21/06/2018) – lo svolgimento di attività lavorativa in Italia senza neppure confrontarsi con la motivazione sul punto resa dal tribunale che del primo rileva invece: la mancanza di un’attività lavorativa regolare -, il mero impegno come volontario ed il difetto di una autonomia abitativa.

5. Il ricorso è, pertanto, in via conclusiva inammissibile.

Nulla sulle spese, essendo l’Amministrazione rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SL n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a eludo, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

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