Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22275 del 25/09/2017

Cassazione civile, sez. I, 25/09/2017, (ud. 22/06/2017, dep.25/09/2017),  n. 22275

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10491/2011 proposto da:

Unicredit S.p.a., e per Essa Unicredit Credit Management Bank S.p.a.

(già Ugc Banca S.p.a.) quale mandataria, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

C. Sabatini n.150 vb5/1, presso lo studio dell’avvocato Amatucci

Andrea (c/o studio Cepparulo), rappresentata e difesa dall’avvocato

Bonito Francesco Paolo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.n.c. e di D.A. in proprio, in

persona del curatore fall.re avv. T.R., domiciliato in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Claudio Preziosi,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1088/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2017 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Francesco Paolo Bonito che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Claudio Preziosi che ha

chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Fallimento della (OMISSIS) convenne in giudizio la Banca di Roma, esponendo che la menzionata (OMISSIS) aveva dato in pegno alcuni titoli di credito di sua proprietà, a garanzia di un finanziamento, che dovevano essere acquisiti all’attivo della procedura concorsuale e che la banca si rifiutava di restituire; pertanto, chiese di accertare la natura di pegno regolare del rapporto e di condannare la banca a restituire i titoli ovvero, se già monetizzati, a pagare il loro controvalore.

La Banca di Roma replicò che si trattava di pegno irregolare, essendo i titoli stati vincolati all’esatto adempimento delle obbligazioni della società, e di avere legittimamente compensato i crediti verso la società con il debito concernente i suddetti titoli.

2.- Il Tribunale di Avellino accolse la domanda, qualificando il pegno come regolare e condannò la banca alla restituzione dei titoli.

3.- La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 26 marzo 2010, ha rigettato il gravame di Unicredit (già Banca di Roma) e, in accoglimento del gravame incidentale del Fallimento, ha condannato la banca anche alla restituzione del controvalore dei titoli, se già monetizzati. La Corte ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione processuale del curatore e di nullità della procura ad litem conferita al difensore ed ha confermato la qualificazione del contratto come pegno regolare, avendo ravvisato elementi incompatibili con il pegno irregolare di cui all’art. 1851 c.c..

4.- Avverso questa sentenza Unicredit ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; il Fallimento ha resistito con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 2, a causa dell’omessa indicazione delle parti e, in particolare, del socio D.R., dichiarato fallito in proprio.

1.1.- Il motivo è infondato.

La omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti; essa comporta viceversa la nullità della sentenza stessa qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c. e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intera sentenza, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce (Cass. n. 7343/2010, n. 8242/2003). Nella specie, sebbene la dichiarazione di fallimento abbia riguardato anche il socio in proprio, non sussisteva alcuna situazione di incertezza, nè un’ipotesi di contraddittorio violato, poichè parte sostanziale è il Fallimento della società (OMISSIS), che è parte del contratto.

2.- Con il secondo motivo, che denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 31, commi 2 e 3 e art. 25, comma 6 e vizio di motivazione, è riproposta la questione del difetto di legittimazione processuale del curatore fallimentare, con conseguenziale nullità della procura alla lite rilasciata al difensore, a causa del mancato riferimento nel decreto autorizzativo del giudice delegato al tipo di azione da esercitare.

2.1.- Il motivo è inammissibile, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la sentenza impugnata deciso in senso conforme alla giurisprudenza di legittimità.

Infatti, l’autorizzazione a promuovere un’azione giudiziaria, conferita dal giudice delegato al curatore del fallimento, si estende, senza bisogno di specifica menzione, a tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell’obiettivo del giudizio cui si riferisce (Cass. n. 614/2016); inoltre, essendosi il giudice di merito pronunciato sulla questione, il mezzo impugnatorio consentito è quello dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, negli stretti limiti in cui è consentito il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. 10652/2011). Nella specie, la Corte d’appello ha adeguatamente argomentato in ordine al fatto che l’autorizzazione rilasciata dal giudice delegato era riferita all’istanza del curatore, ove si indicava l’azione giudiziaria contro la Banca di Roma per la restituzione dei titoli o del loro controvalore.

3.- Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1723,1782,1851,1853,1997,2784 c.c. e vizio di motivazione, per avere qualificato il pegno come regolare, anzichè irregolare, sulla base di elementi irrilevanti o travisati, come la stipula del contratto su un modulo a stampa predisposto dalla banca o la previsione della richiesta di pagamento da parte della stessa o del possibile deposito dei titoli, inteso come sinonimo di custodia, mentre la società aveva trasferito i titoli con girata piena alla banca creditrice, volendo determinare l’effetto dell’acquisto della titolarità degli stessi, al fine di soddisfarsi per qualsiasi credito vantato nei suoi confronti.

3.1.- Il motivo è inammissibile, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1. La sentenza impugnata ha deciso in senso conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale qualora il cliente, a garanzia del proprio adempimento, vincoli un titolo di credito a favore della banca depositaria, si configura un pegno irregolare solo quando sia espressamente conferita alla banca la facoltà di disporre della relativa somma (da essa acquisita e da restituire, in caso di inadempimento, per la parte eccedente l’ammontare del credito garantito), nel qual caso il creditore ha diritto di soddisfarsi al di fuori del concorso con gli altri creditori. Al contrario, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facoltà, si rientra nella disciplina del pegno regolare, in base alla quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, ma è tenuta a restituire il titolo e il documento e ad insinuarsi nel passivo fallimentare per il soddisfacimento del proprio credito, dovendosi escludere la compensazione, che opera invece nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione (Cass. n. 16618/2016, n. 18597/2011, 26154/2006).

Nella fattispecie in esame, la Corte di merito ha adeguatamente argomentato nel senso dell’esistenza di un pegno regolare, a causa del mancato trasferimento della proprietà dei titoli al creditore e della previsione di un obbligo di custodia dei titoli (presso la Banca d’Italia).

Il motivo sollecita una impropria interpretazione della volontà contrattuale delle parti in un senso opposto a quella plausibilmente operata dalla sentenza impugnata, appuntandosi su profili secondari e non decisivi della motivazione (come il perfezionamento del pegno su un modulo a stampa predisposto dalla banca o la previsione di una formale intimazione al debitore, ai fini della realizzazione del pegno, in caso di mancato pagamento del debito garantito).

4.- Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio motivazionale, per avere omesso di pronunciare sulla questione della nullità dell’azione di restituzione dei titoli, come risulterebbe da una lettera raccomandata del 27 aprile 2000, con la quale la banca aveva informato la curatela di avere già monetizzato i titoli, essendo in tal modo venuto meno l’oggetto del pegno, ciò rendendo impossibile la restituzione.

4.1.- Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha implicitamente pronunciato nel senso dell’ammissibilità dell’azione restitutoria, poichè la banca creditrice aveva l’obbligo di insinuarsi nel passivo, senza possibilità di soddisfarsi direttamente monetizzando i titoli avuti in pegno, al di fuori della procedura fallimentare. Inoltre il motivo non precisa se, in quale atto e momento processuale la ricorrente abbia introdotto nel giudizio di merito la questione, non trattata nella sentenza impugnata, della nullità (o inammissibilità) della domanda restitutoria.

5.- In conclusione, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 10200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2017

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